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LA CRISI

Libia, solo chiacchiere al “congresso di Vienna”

Continuando a girare a vuoto l’esecutivo voluto dall’Onu rischia di collassare prima ancora di aver messo piede nei ministeri di Tripoli. Ieri a Vienna è stato deciso che gli occidentali riapriranno le ambasciate ma “solo tra qualche mese”. Con un simile coraggio Europa e USA riusciranno ad aiutare ben poco il loro “pupillo” al-Sarraj.

Esteri 17_05_2016
Il ministro degli Esteri Gentiloni

Quello tenutosi ieri a Vienna non verrà certo ricordato come il vertice risolutivo della crisi libica. Più che trovare soluzioni, il summit voluto da Stati Uniti e soprattutto Italia è servito a ribadire l’esistenza di una minaccia rappresentata dall’instabilità della Libia e a configurare iniziative che hanno ben poche possibilità di concretizzarsi.

Certo Roma aveva bisogno di acquisire visibilità per coprire il flop della sua politica libica che in un anno ha bruciato la residua influenza nazionale sulla ex colonia. L’anno scorso abbiamo sostenuto Tobruk facendo arrabbiare gli islamisti di Tripoli e oggi abbiamo abbandonato Tobruk per sostenere il governo di Fayez al-Sarraj i cui sponsor di riferimento sono i “padrini” dei Fratelli Musulmani, cioè Turchia e Qatar, che non ha un esercito e non si è ancora insediato a Tripoli.

Continuando a girare a vuoto l’esecutivo voluto dall’Onu rischia di collassare prima ancora di aver messo piede nei ministeri di Tripoli. Per ora quindi al-Sarraj è alla testa di un governo di cartone del tutto inconcludente. Pretende di guidare un comando congiunto per la guerra all’Isis che a cui dovrebbe obbedire anche l’esercito di Tobruk guidato dal generale Khalifa Haftar, che però ha alle spalle un vero governo (laico), un vero parlamento eletto dai cittadini e un vero esercito che combatte tutte le milizie islamiste, non solo l’Isis.

Ieri a Vienna è stato deciso che a Tripoli gli occidentali riapriranno le ambasciate ma “solo tra qualche mese” come ha detto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e “quando il governo libico potrà garantire la sicurezza in città”. Con un simile coraggio l’Europa e gli USA riusciranno ad aiutare ben poco il loro “pupillo” al-Sarraj che resta barricato nel porticciolo militare di Abu Sittha e per ragioni di sicurezza non mette piede a Tripoli.

Senza una capitale, senza un palazzo governativo e senza un esercito Al Sarraj ha ricevuto ieri il via libera da Usa e Italia a forniture di armi per militari di cui non dispone se si esclude un piccolo reparto di guardie del Corpo pomposamente ribattezzato “guardia presidenziale”. E poi queste forniture militari dovrebbero misteriosamente materializzarsi, chissà come, pur senza violare l’embargo decretato nel 2011 dall’Onu sulle armi alla Libia.

Intanto però americani ed europei hanno declinato persino l’invito dell’Onu a fornire truppe per proteggere la sede della missione del Palazzo di Vetro, quella guidata dall’inviato speciale Martin Kobler, che deve trasferirsi da Tunisi a Tripoli e ha bisogno di guardie armate.

Da anni parlano di intervento in Libia ma gli euro-americani non vogliono saperne di inviare neppure un pugno di soldati (per ragioni di sicurezza, ovviamente) e a proteggere Kobler e i suoi consiglieri ci penseranno i soldati nepalesi.

Al limite della barzelletta anche l’annuncio che il governo libico distribuirà al più presto aiuti umanitari in tutto il Paese a partire da Bengasi, in Cirenaica, città che le forze I Haftar hanno quasi del tutto liberato dalle milizie jihadiste. Al-Sarraj non riesce a insediarsi a Tripoli ma promette di inviare aiuti in una Libia che non controlla?

Che dire poi dell’ennesima disponibilità espressa dall’Italia ad addestrare le truppe di al-Sarraj, ovviamente se il governo libico lo chiederà. Per ora nessuna fazione libica ha chiesto truppe straniere sul terreno e lo stesso al-Sarraj pretende aiuti non combattenti, cioè vuole denaro per comprare il consenso di tribù e milizie. In ogni caso non ha un esercito, quindi non c’è nessuno da addestrare.

In questo contesto anche l’intenzione di Washington di favorire l’afflusso di armi ad al-Sarraj per combattere lo Stato Islamico appare aleatoria. Contro l’Isis combatte l’esercito di Haftar e le milizie di Misurata, queste ultime rimediando finora scarsi successi e molte sconfitte.

"E' importante e urgente - ha sottolineato il segretario di Stato John Kerry - risolvere la situazione in Libia il più velocemente possibile, tutti conoscono il prezzo inaccettabile delle rivalità interne che stanno infliggendo al popolo libico, all'economia e alla sicurezza e l'aumento dell'estremismo che sta traendo vantaggio".

Kerry ha ribadito che il governo Serraj è "l'unico legittimo della Libia" minacciando sanzioni a coloro che non lo sosterranno. Un’ipotesi già criticata duramente dal Parlamento di Tobruk, eletto dai cittadini libici e a maggioranza laica che finora si è rifiutato di votare la fiducia ad al-Sarraj, sorretto dagli islamisti e con un programma in cui svetta la sharia come “unica fonte della legge”.

Infine, uno dei punti cardine del summit di Vienna doveva essere il coinvolgimento del generale Haftar nel governo. "Cercheremo di rafforzare l'accordo politico, per combattere contro l'Isis, incluso il generale Haftar, ma serve il riconoscimento pieno" del governo di unità nazionale ha detto Gentiloni in conferenza stampa congiunta con Kerry e al-Sarraj a Vienna.

Haftar in realtà continua a essere in una posizione di forza. Le sue milizie hanno assunto il controllo dei pozzi di petrolio del Golfo della Sirte, muovendo a sud delle postazioni dell’Isis  e ha attaccato le milizie di Misurata circondando la base aerea di Jafra.

Sul campo di battaglia, pur combattendo su molti fronti, sembra mantenere l’iniziativa mentre le milizie di Misurata appaiono in difficoltà contro le offensive dell’Isis e al-Sarraj non dispone di consistenti forze a lui fedeli. In un simile contesto è difficile immaginare che Haftar “giuri fedeltà” ad al-Sarraj.