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IL DOPO-GHEDDAFI

Libia, quei civili che la Nato ha dimenticato

Dopo la vittoria permessa solo dall'impegno occidentale, i ribelli finiscono nel mirino dell organizzazioni umanitarie per efferatezze gravi.

Attualità 03_11_2011
Libia, i civili dimenticati dalla Nato


Alla mezzanotte di lunedì 31 ottobre ha chiuso i battenti, dopo 7 mesi, l’Operazione Unified Protector che nel linguaggio politically correct che l’Occidente utilizza quando fa la guerra avrebbe dovuto “proteggere i civili libici”.

In realtà i 26.500 raid aerei per un terzo da attacco sono riusciti a piegare le forze del regime e a consentire ai ribelli di uccidere Muammar Gheddafi e il figlio del Mutassim, ma non hanno mai protetto i civili. Non sono stati abbastanza incisivi e soprattutto non sono stati accompagnati dallo sforzo terrestre necessario, nella primavera-estate scorsa, a spezzare in tempi rapidi l’assedio dei lealisti a Misurata. Zliten e altre città che erano insorte contro il regime. Negli ultimi tre mesi, inoltre, i jet alleati hanno colpito città la cui popolazione era in parte o del tutto schierata con il colonnello: Tripoli e poi Bani Walid, Sebha e Sirte con incursioni che hanno richiesto di colpire postazioni nemiche nei centri urbani dal momento che le improvvisate brigate del Consiglio Nazionale di Transizione non sono mai state in grado di espugnare neppure una sola trincea senza il fuoco d’appoggio dei velivoli della Nato.

Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, è giunto a Tripoli per annunciare che «l'operazione Unified Protector è stata una delle più riuscite nella storia della Nato». Affermazione che sul piano militare può apparire corretta (ammesso che l’obiettivo dell’Occidente in questa guerra fosse  portare la shari'a a Tripoli)  ma non lo è certamente per quanto concerne la protezione della popolazione. Prima che cadesse Tripoli il regime di Gheddafi denunciò l’uccisione di mille civili sotto le bombe alleate. Un dato forse gonfiato dalla propaganda ma quello che sta emergendo ora, che il conflitto sembra concluso,  dalle rovine di Sirte e di altre città espugnate dal Cnt  sembrerebbe consigliare l’Alleanza Atlantica a rispolverare il vecchio vocabolo “guerra”  evitando di voler far credere all’opinione pubblica di perseguire obiettivi umanitari.  
Da dieci  giorni a Sirte si continuano a trovare i corpi senza vita di combattenti fedeli all'ex rais e di civili vittime del conflitto in parte vittime di raids aerei della Nato.   Nel centro l'organizzazione umanitaria libica Jabal al-Akhdar ha detto alla France Presse che oltre 50 cadaveri di civili sono stati scoperti sotto le macerie di un palazzo raso al suolo da un raid aereo della Nato. «Ci sono oltre 50 civili sotto le macerie, ci sono donne, bambini. E' orribile. Non possiamo entrare, servono i bulldozer», ha dichiarato Mohammed Muftah, membro dell'associazione.

Il Cnt sostiene che si tratta di esecuzioni compiute dagli uomini del raìs ma  Human Rights Watch ha stabilito che almeno quattro delle vittime erano abitanti di Sirte in qualche modo imparentati con Gheddafi e giustiziati dagli insorti dopo la conquista della città'. Altri 200 cadaveri erano stati trovati tra i resti del convoglio che aveva cercato di far fuggire il Colonnello e che era stato invece distrutto dalle bombe della Nato.
Human Rights Watch, che aveva già denunciato l’arresto arbitrario e le torture inflitte ad almeno 7mila prigionieri di guerra accusati di essere “mercenari di Gheddafi” ma la cui unica colpa era di avere la pelle scura come molti abitanti della regione meridionale del Fezzan,  ha inoltre documentato alcuni raid compiuti da miliziani di Misurata contro gruppi di sfollati provenienti da Tuarga, città bastione dei partigiani filo-gheddafiani  saccheggiata dagli insorti. «Uomini armati di Misurata terrorizzano gli abitanti di Tuarga, e li accusano di avere commesso atrocità insieme alle forze di Gheddafi a Misurata», ma anche stupri e omicidi, afferma l'organizzazione di difesa dei diritti umani in un comunicato. Hrw si basa sulle testimonianze di decine di abitanti di Tuarga sfollati in varie parti nel Paese che hanno parlato di scontri a fuoco con gruppi di miliziani di Misurata che sparavano anche sui civili disarmati. Le stesse fonti hanno raccontato anche di arresti arbitrari e di violenze commesse sui detenuti che, in alcuni casi, li hanno portati alla morte. Secondo Hrw (ma la notizia è stata confermata anche da alcuni reporter occidentali)  Tuarga è stata «in parte saccheggiata, depredata e incendiata, e i miliziani hanno intimato ai 30mila abitanti, tutti fuggiti, di non tornare mai più nelle loro case».
Difficile avere un quadro completo di quanto sta accadendo nella Libia “liberata” anche perché in molte aree non ci sono reporter internazionali o fonti imparziali.

L'inviato in Libia del quotidiano algerino Echourouk riferusce di bande di estremisti islamici salafiti che demoliscono moschee secolari in varie città del Paese. «La prima cosa che ha fatto il movimento salafita, dopo l'annuncio del presidente del Consiglio nazionale transitorio (Cnt) che la nuova Libia sarà governata dalla shari'a, stata distruggere alcune moschee, come è accaduto nelle città di Aziziyah e Janzur e nella stessa capitale Tripoli», si legge sul sito web di Echourouk, che parla di "lamentele" da parte della popolazione, che «associa questo gesto a quel che hanno fatto i Talebani in Afghanistan» riferendosi alla distruzione delle monumentali statue dei buddah a Bamiyan. Secondo la testimonianza, «decine di combattenti salafiti che si ritiene facciano parte delle milizie del Cnt hanno fatto saltare in aria alcune moschee in cui si trovano tombe e santuari di ulema» che risalgono a secoli fa, sostenendo si tratti di «luoghi di empietà»  Ad Aziziyah, 25 chilometri da Tripoli, «una ventina di persone armate di mitragliatrici hanno fatto evacuare la moschea di Sidi Ramadan e gridando «Allahu akbar» l'hanno abbattuta con le ruspe». Analoga la sorte della moschea di Sidi Hamid nel centro di Tripoli, ma questa volta, afferma 'Echourouk', «con il nulla osta del Consiglio locale, che non ha opposto alcuna resistenza». Nella città di Janzur, non lontano dalla capitale, sono diversi i luoghi di culto presi di mira, tra cui la moschea di Sidi Salem, dove si trova un santuario che risale a 600 anni fa. Secondo l'inviato di 'Echourouk' non sono solo i santuari a essere nel mirino dai seguaci dell’ortodossia salafita. Nel centro di Tripoli alcune tabaccherie sono state costrette a chiudere i battenti e lo stesso alcuni negozi di abiti femminili poiché non in linea coi dettami dell'islam.

Il 31 ottobre rischia di rappresentare per la Libia non solo quello che per l’Italia fu il 25 aprile 1945, con un lungo strascico di vendette e  violenze a sfondo politico, razziale e tribale ma anche di rappresentare simbolicamente la data del ritorno nel Medio Evo.  Le tribù Ghaddafa e Megrahi e alcuni clan della tribù Warfalla (che avevano un ruolo di leadership durante il regime del Colonnello) hanno già fatto sapere che non riconosceranno il Cnt all’interno del quale trionfano le tribù cirenaiche, quelle di Misurata e Zliten, i berberi e gli estremisti islamici sostenuti direttamente dal Qatar. Elementi che rendono difficile credere che la guerra civile sia finita come sostengono i leader del Cnt che però non controllano ancora tutto il vasto Paese. Una delegazione giunta da Mausq, cittadina situata in pieno deserto all'estremità  meridionale della Libia, ha protestato a Tripoli denunciando la mancata protezione da parte del Cnt contro i continui attacchi cui sarebbero esposti gli abitanti della zona per mano di seguaci di Gheddafi e mercenari provenienti dal Ciad, datisi alla macchia dopo la caduta del vecchio regime. «Ci sono in giro uomini di Gheddafi che assaltano i nostri villaggi, uccidono i civili, ci rubano i veicoli», ha riferito Mohammed Hassan, portavoce dei dimostranti, in totale un centinaio di persone. I lealisti, ha aggiunto, «non riconoscono la nuova bandiera».  Mausq si trova vicino al Niger, nell’area dove si nasconderebbe Saif al Islam, il secondogenito del raìs che ha promesso di continuare la lotta.

L’inaffidabilità delle dichiarazioni del Cnt è del resto ormai proverbiale. Non c’è notizia diffusa da esponenti del Consiglio Nazionale di transizione che non sia stata rettificata o smentita poche ore dopo, spesso anche da altri esponenti degli insorti.  L’ultima in ordine cronologico riguarda il ritrovamento di depositi di armi chimiche (yprite)  e addirittura di armi nucleari appartenute all’arsenale di Gheddafi come ha sostenuto  Mahmoud Jibril, premier del Cnt aggiungendo che gli ispettori internazionali arriveranno alla fine della settimana per visitare i siti. In realtà si tratterebbe solo di quel che resta delle scorie radioattive prodotte dal reattore sperimentale di Tajura spento nel 2003 quando Gheddafi accettò di rinunciare alle armi di distruzione di massa.