Libia, Derna sommersa. Un altro disastro causato dall'uomo
Ascolta la versione audio dell'articolo
In Libia si temono fino a 20mila vittime per l'alluvione che ha travolto la città di Derna. La causa immediata non è tanto il ciclone, quanto il crollo di due dighe che non venivano mantenute dal 2002. I governi che si contendono il controllo del territorio si accusano a vicenda.
In Libia, la città di Derna ha conosciuto, in poco più di un decennio, ben tre guerre. Prima la rivoluzione contro Gheddafi e la guerra civile, poi l’occupazione dell’Isis, infine l’assedio e l'occupazione delle forze di Haftar. La città, già duramente provata da questa esperienza, è stata in parte rasa al suolo dall’inondazione, avvenuta fra domenica e lunedì. A causarla è stato il crollo di due dighe, in rapida successione. Infrastrutture considerate solide, ma prive di manutenzione da almeno un ventennio, sintomo della condizione di Stato fallito in cui versa la Libia.
La conta delle vittime è solo provvisoria e le statistiche variano molto a seconda delle autorità. L’ambasciatore libico all’Onu parla di 6mila morti accertati, la Croce Rossa in Libia di 10mila e il sindaco di Derna pensa che, alla fine, verranno a mancare 20mila dei suoi cittadini, la maggior parte dei quali risultano ancora dispersi. Sarebbe un quarto dell’intera popolazione cittadina ucciso dalla grande onda. “Derna è divisa in due dall’acqua e tutto ciò che c’è in mezzo è perso – ha raccontato alla BBC una residente, studentessa, subito dopo l’alluvione – Tutta la gente che è rimasta in mezzo, è morta”. Le testimonianze sono impressionanti, come quelle di uno tsunami. Ci sono persone che si sono salvate solo arrampicandosi sui tetti degli edifici più alti. Case di tre o quattro piani sono crollate e trascinate nel mare, assieme a tutti i loro abitanti.
La causa naturale di questa catastrofe è il ciclone Daniel che si è abbattuto sulle coste libiche dal 10 all’11 settembre, con piogge torrenziali e venti a 180 km/h. Ma le autorità del Paese diviso dalla guerra civile, si accusano a vicenda per gli errori che sono stati commessi: mancanza di manutenzione delle dighe che dominano la città, uso improprio dei fondi della ricostruzione, mancanza di ordini di evacuazione. Mohamed al-Menfi, presidente del Consiglio Presidenziale libico, ha ordinato un’indagine al procuratore generale, per accertare tutte le responsabilità. Ma il governo di Tripoli, internazionalmente riconosciuto, non controlla Derna, che è in Cirenaica, dunque sotto il controllo delle forze del generale Khalifa Haftar.
Il crollo delle dighe era un disastro annunciato. Il Wall Street Journal, consultando documenti libici, ha ricostruito che le due opere, costruite negli anni 70, grazie alla consulenza di ingegneri jugoslavi, siano trascurate almeno dal 2002 e che l’equivalente di circa 1,3 milioni di dollari, destinati alla loro manutenzione, siano “evaporati”. Le due grandi opere idriche, dunque, erano state dimenticate già ai tempi di Gheddafi, quando poi è scoppiata la guerra civile, sono state l’ultimo dei pensieri dei vari governi e regimi che hanno controllato la regione. Così come non sono stati impiegati i fondi (pari a 335 milioni di dollari) destinati alla ricostruzione di Derna, dopo le distruzioni che aveva subito nella guerra civile, condannando la città ad affrontare il disastro senza avere le infrastrutture necessarie a reggerlo.
Quanto al mancato ordine di evacuazione, il sindaco della città, Abdul Moneem Al-Ghaithi si dichiara innocente. Aveva previsto l’arrivo del ciclone e scritto l’ordine di evacuazione dei quartieri considerati più esposti anche sulla sua pagina Facebook. A revocare l’ordinanza del potere locale era stato Haftar in persona, sabato 9 settembre. Invece di abbandonare le case, i cittadini hanno ricevuto l’ordine di restarci, con due giorni di vacanza dati per permettere loro di rispettare un lockdown per il ciclone in arrivo. Le case si sono trasformate in trappole mortali. “Noi abbiamo pregato Dio che ci mandasse la pioggia, un beneficio per il popolo della regione”, aveva dichiarato Haftar, prima del diluvio.