Libertà su benedizioni gay. Non c'è un vescovo a Berlino
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Il vescovo di Berlino decide di lasciare la libertà di coscienza sulle benedizioni gay. Ma così facendo si rende corresponsabile di questa apertura. E Francesco è il primo a lasciar fare e a indirizzare la prassi.
Il vescovo di Berlino Heiner Koch ha dichiarato in una sua lettera ai fedeli che non sanzionerà quanti, nella sua diocesi, benediranno le coppie di fatto eterosessuali o omosessuali, secondo quanto stabilito dal Sinodaler Weg tedesco appena concluso. Scrive che, dopo la conclusione del sinodo tedesco, nella sua diocesi è iniziata una grande discussione di cui egli stesso riassume gli argomenti principali di chi è a favore e di chi è contrario alle benedizioni.
Dà quindi delle indicazioni pastorali secondo le quali ogni sacerdote o diacono potrà scegliere cosa fare e non saranno prese nei suoi confronti disposizioni disciplinari, ogni decisione dovrà essere rispettata da tutti, non si dovranno adoperare le benedizioni per fini politici o mediatici, il vescovo comunque non presiederà tali benedizioni fino a che rimane in vigore il Responsum della Dottrina della fede 2021 che le vieta. Monsignor Koch dice di aver fondato queste sue decisioni su Amoris laetitia di papa Francesco, riconosce che ci sono «ragioni a favore e contro la benedizione delle coppie che si amano ma non vogliono o non possono sposarsi sacramentalmente», incoraggia «a decidere in modo responsabile» e aggiunge di sperare di «riuscire a preservare l’unità nella diversità».
L’unità della Chiesa di Berlino viene considerata qui una unità nelle opinioni, non una unità nella verità. Se il “pubblico” dibattito in seno alla diocesi dopo le decisioni del Weg avesse concluso per la benedizione, il vescovo non avrebbe riscontrato nessuna minaccia per l’unità e non ci sarebbe stato problema: tutti d’accordo, lo Spirito ha parlato. La lettera nasce allora non dalla constatazione che sia stata violata qualche verità naturale o di fede e dalla paura che questo minacci l’unità della Chiesa di Berlino, ma dalla constatazione dell’esistenza di “ragioni a favore e contro”. Ci si chiede però se il vescovo non dovrebbe ragionare diversamente e proclamare la verità che, sola, può garantire la vera unità della Chiesa e non di una generica “opinione pubblica cattolica”. In pratica monsignor Koch se ne tira fuori.
Il vescovo Koch, da amministratore della succursale di Berlino di una multinazionale, non avendo indicazioni chiare dagli uffici centrali e notando diversità di opinioni tra i propri lavoratori, se ne tira fuori, attendendo ordini superiori (che non verranno), e lascia libertà operativa, limitandosi a chiedere rispetto delle varie opinioni e facendo consistere l’unità della succursale in questo bon ton borghese
Il rimando ad Amoris laetitia per i fondamenti di questa decisione è molto indicativo. Anche l’Esortazione apostolica di Francesco, per quanto riguarda l’ammissione dei divorziati alla Santa Comunione, alla fine non decideva e rimetteva tutto alla coscienza. Il principio “ognun per sé” è però una finzione perché la prassi viene di fatto spinta in una sola direzione. Che di divorziati conviventi more uxorio possano accedere alla comunione è una prassi ormai acquisita, anche se Amoris laetitia dava libertà di coscienza in materia. Anche la benedizione delle coppie omosessuali diventerà di fatto usuale nella Chiesa di Berlino di Mons. Koch. Lasciare la libertà di coscienza su fatti così fondamentali, come ha fatto lui, in pratica significa aprire ed essere corresponsabili di queste aperture. Francesco è il primo a lasciar fare e, lasciando fare, a indirizzare la prassi in un certo senso.
In questa sua decisione, il vescovo non si ritiene condizionato né dalla tradizione (ciò che da tutti, sempre e dovunque è stato creduto), né dalle verità di ordine naturale (ciò che ogni persona dotata di ragione considera vero e buono per connaturalità). Il vescovo è maestro di fede e di morale. Nella questione delle benedizioni alle coppie di fatto sia etero che omosessuali sono implicati – oltre a principi rivelati – anche principi di ordine naturale: l’indissolubilità del coniugio, la sua apertura naturale alla vita, il matrimonio come luogo naturale dell’attività sessuale e così via. Il fatto è che è in atto una ampia revisione della morale nella Chiesa cattolica e tale revisione/rivoluzione è arrivata ormai anche nella curia di Berlino.
La nuova teologia morale cattolica dice che non si può conoscere fino in fondo la legge morale né se, quando e quanto si è in peccato; sostiene che la vita morale è sempre condizionata e che nessuno è in nessuna delle sue azioni mai completamente fuori dal bene; afferma che le circostanze sono fondamentali per definire la bontà o meno di un’azione; che la legge morale naturale è una invenzione perché la vita etica è tutta storia e processo e non stasi e immobilità; che la coscienza non deve essere solo applicativa ma creativa, perché la norma morale non è qualcosa di astratto ma di vivo e, quindi, di oggettivo e soggettivo sempre indissolubilmente intrecciati. Date queste nuove visioni, perché mai un vescovo dovrebbe ritenersi in dovere di dire di no alle benedizioni delle coppie conviventi fuori del matrimonio?
Finirà così anche dopo il sinodo sulla sinodalità. Niente di definito, spiragli e aperture di nuove prassi ispirate alla coscienza che però poi verranno di fatto generalizzate e imposte, senza che nessuno si assuma la responsabilità di dire che sono prive di dottrina.
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MA C’È UNA FRASE AMBIGUA, di Tommaso Scandroglio