Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
PAKISTAN

Libero nel giorno di preghiera per Asia Bibi

Il 9 marzo in diverse città del Pakistan migliaia di cristiani hanno partecipato a un momento di preghiera per Asia Bibi, la donna cristiana accusata di blasfemia nel 2009 per aver pronunciato parole offensive all’indirizzo del profeta Maometto. I giudici hanno dato credito ad alcune sue compagne di lavoro che l’avevano denunciata. Sempre il 9 marzo è stato liberato il figlio del governatore Taseer rapito dagli integralisti.

Libertà religiosa 14_03_2016
Asia Bibi

Il 9 marzo in diverse città del Pakistan migliaia di cristiani hanno partecipato a un momento di preghiera per Asia Bibi, la donna cristiana accusata di blasfemia nel 2009 per aver pronunciato parole offensive all’indirizzo del profeta Maometto. I giudici hanno dato credito ad alcune sue compagne di lavoro che l’avevano denunciata dopo una banale lite. 

Asia è in carcere ormai da sei anni, è stata condannata a morte nel 2010 ed è in attesa del riesame del suo caso dopo che la Corte Suprema lo scorso luglio ha accolto un ricorso della difesa. A chiedere di pregare e digiunare per la sua sicurezza è stata la Chiesa cattolica preoccupata a causa delle minacce degli estremisti islamici che la vogliono morta, esasperati per l’impiccagione avvenuta il 29 febbraio di Mumtaz Qadri, l’assassino del governatore del Punjab Salman Taseer di cui Qadri era la guardia del corpo. Salman Taseer è stato ucciso nel 2011 proprio perchè aveva difeso Aisa Bibi e perché disapprovava la cosiddetta “legge nera”, la dura legge sulla blasfemia che prevede punizioni severe per i trasgressori, fino all’ergastolo e alla pena capitale. 

In Pakistan il 97% della popolazione è musulmana. I cristiani sono una piccola minoranza discriminata, mal vista e isolata. Basta poco perché contro di loro si rivoltino vicini di casa e compagni di lavoro. Nel novembre del 2014, ad esempio, due giovani sposi cristiani sono stati torturati per due giorni e infine bruciati vivi in una fornace da una folla esaltata e impazzita di rabbia perché una moschea aveva diffuso la falsa notizia che avessero dissacrato il Corano bruciandone alcune pagine. 

I cristiani pakistani sono anche tra quelli che la domenica si recano a messa protetti da misure di sicurezza: perquisizioni, posti di blocco, controlli all’ingresso delle chiese per evitare attentati dinamitardi. Non sempre questo basta a impedire stragi, come è successo nel settembre del 2013 a Peshawar quando due attentatori suicidi si sono fatti esplodere alla fine delle funzioni domenicali uccidendo più di 80 persone. Il rischio in questi giorni per Asia Bibi è di essere raggiunta in carcere dalla vendetta degli integralisti, nonostante che le autorità abbiano adottato misure di sicurezza per proteggerla sottoponendo tra l’altro a controlli gli agenti del carcere in cui è rinchiusa per escludere che tra di loro ci siano degli estremisti che potrebbero ucciderla o lasciare che venga avvicinata da sicari. Le è stato persino consigliato di mangiare soltanto cibo da lei cucinato o portatole dal marito perché si teme che possa essere avvelenata.  

Questo conferma quanto siano fondati i timori per il futuro di Asia Bibi, se anche verrà assolta e liberata. Sulla sua testa è stata posta una taglia pari a oltre 400.000 euro. Come altri imputati, molto probabilmente se uscirà dal carcere sarà costretta a lasciare il Pakistan insieme alla famiglia. La maggior parte dei condannati in primo grado per blasfemia, infatti, vengono poi assolti in appello, ma molti cadono vittime di attentati una volta scarcerati. La popolazione ostile si sostituisce alla giustizia. Gli stessi giudici chiamati a pronunciarsi in processi per blasfemia temono per la propria vita. Per aver criticato la legge nera e averne proposto una revisione che ne evitasse l’abuso e mitigasse le pene, nel 2011 oltre a Salman Taseer era stato ucciso anche il ministro federale per le minoranze religiose, il cattolico Shabbaz Bhatti. Pochi mesi dopo, gli integralisti avevano rapito il figlio del governatore Taseer, Shahbaz. 

Uno spiraglio di speranza è dato dalla notizia che il 9 marzo il giovane, dopo quasi cinque anni, è tornato libero. A salvarlo è stata una squadra dell’anti-terrorismo, forse grazie a una soffiata che ha permesso di individuare il luogo in cui era tenuto prigioniero, un albergo a nord di Quetta, o, come riferisce l’agenzia di stampa AsiaNews, in seguito al pagamento di un riscatto o ancora perché era diventato troppo pericoloso continuare a tenerlo prigioniero. Secondo un’altra fonte giornalistica, Shahbaz Taseer in precedenza potrebbe essere stato detenuto in un campo di miliziani dell’Isis, situato al confine tra Pakistan e Afghanistan. 

Intervistato da AsiaNews, Kashif Aslam, coordinatore della Commissione episcopale nazionale di Giustizia e Pace, ha definito il rilascio del giovane un segnale positivo per il Paese, forse maturo per un cambiamento di rotta: «il governo ha realizzato quale deve essere il suo ruolo», ha dichiarato. Meno ottimista è stato Samson Salamat, cristiano, presidente del Movimento per la tolleranza: «ci sono tante cose che andrebbero fatte e che invece vengono rimandate; per esempio, il fatto che i gruppi terroristici ufficialmente banditi siano operativi, che non si puniscano i discorsi dell’odio contro le minoranze... Se lo Stato non interviene con misure efficaci per fermare la cultura delle bombe e delle pistole, non abbiamo speranze». 

Nella classifica 2016 dei Paesi che più perseguitano i cristiani, redatta dall’ong internazionale Open Doors, il Pakistan è sesto, uno dei nove stati in cui la persecuzione è tale da essere definita “estrema”.