L’Humanae vitae divide ancora la Chiesa americana
Cinquecento studiosi cattolici degli Stati Uniti hanno firmato una dichiarazione che, a partire dall’enciclica Humanae Vitae del beato Paolo VI, ribadisce e afferma «l’insegnamento della Chiesa cattolica sul dono della sessualità». Eppure, un altro istituto cattolico si è espresso in modo totalmente contrario.
Cinquecento studiosi cattolici degli Stati Uniti hanno firmato una Dichiarazione che, a partire dall’enciclica Humanae Vitae del beato Paolo VI, ribadisce e afferma «l’insegnamento della Chiesa cattolica sul dono della sessualità».
Il professor John Grabowski, che ha presentato la Dichiarazione in una conferenza stampa presso la Catholic University of America di Washington Dc, ha sottolineato che questo lavoro vuole esprimere che «ci sono molti studiosi cattolici, accademici e intellettuali che sostengono gli insegnamenti della Chiesa, e che riconoscono che questo insegnamento non è semplicemente una politica istituita dalla Chiesa 48 anni fa [1968, anno di pubblicazione di Humanae Vitae, ndr], ma rappresenta gli insegnamenti costanti della Chiesa fin dall’inizio».
La dichiarazione (clicca qui) nasce anche in risposta ad un altro documento, pubblicato dal Wijngards Institute for Catholic Research (clicca qui), nel quale si sollecita chiaramente un cambio di posizione della Chiesa sul tema della contraccezione. Tra l’altro si dice che «la contraccezione può svolgere» un ruolo «determinante (…) nel disinnescare la trappola della povertà», e quindi specialmente in paesi «come Filippine, Honduras, Guatemala e Repubblica Democratica del Congo” il divieto della contraccezione sarebbe “un fattore di sottosviluppo».
Proprio questo legame diretto tra contraccezione e povertà, fa sì che il Wijngards Institute scriva che «è difficile capire il punto di vista per cui papa Francesco aderisce ad Humanae Vitae, dato ciò che scrive sui temi ambientali nell’enciclica Laudato sii e nell’esortazione Evangelii Guadium». Insomma, per quelli del Wijngards Institute se si hanno certe posizioni di custodia del Creato, o si è attenti a certe tematiche sociali, non si può dire, come invece ha fatto papa Francesco in più occasioni, che Paolo VI con Humanae Vitae “fu profetico” contro il neo-malthusianesimo arrembante.
L’attacco all’enciclica sulla contraccezione, che ribadisce un no netto per gli sposi cattolici ad ogni impedimento della procreazione nell’atto coniugale, fatto salvo il ricorso ai metodi naturali, è stato portato subito, appena pubblicata nel 1968. Causando un vero e proprio calvario a papa Montini che, possiamo dirlo, trascorse gli ultimi dieci anni del suo papato nel dolore per la confusione scatenata nella Chiesa proprio da Humanae Vitae. Interi episcopati, ad esempio quello belga e quello tedesco, uscirono con dichiarazioni pubbliche in cui, pur con un linguaggio felpato, prendevano chiaramente le distanze dall’enciclica del Papa. Altrettanto fecero eminenti teologi, come ad esempio Hans Kung e Karl Rahner.
Per capire quanto questi attacchi ad Humanae Vitae siano radicati nel corpo della Chiesa e nella sua gerarchia, basti rileggere le cronache del recente doppio Sinodo sulla famiglia. Ad esempio, una famosa lettera scritta nel settembre 2014 dal vescovo di Anversa, monsignor Johan Bonny, che poi sarà padre sinodale nell’assemblea ordinaria del 2015. Per il vescovo belga proprio Humanae Vitae e l’esortazione Familiaris consortio di Giovanni Paolo II rappresentavano gli scogli da superare per colmare la distanza con i fedeli al passo con i tempi.
Attraverso 11 punti i 500 studiosi americani rispondono per l’ennesima volta alle critiche portate ad Humanae Vitae, che ancora si conferma spartiacque degli ultimi 50 anni della vita della Chiesa. Si ribadisce e si spiega che «la contraccezione è sempre contro il piano di Dio sulla sessualità, il matrimonio e la felicità non si basano sul diritto umano». Sottolineano poi che «la verità sulla sessualità umana» oltre ad essere stata rivelata attraverso «la visione biblica della persona umana è resa accessibile anche alla nostra ragione», evidenziando così la laicità della loro posizione. C’è poi un chiaro riferimento a quelle politiche che vogliono imporre l’adozione della contraccezione, dell’aborto o del matrimonio omosessuale, specialmente nei Paesi poveri o in via di sviluppo, vincolando l’elargizione di finanziamenti, come denunciarono proprio i vescovi africani nel corso del Sinodo sulla famiglia e come riporta anche l’esortazione Amoris laetitia.
«Le organizzazioni internazionali e i governi, scrivono i 500 firmatari, dovrebbero rispettare i valori e le credenze delle famiglie e delle culture che vedono i bambini come un dono e, quindi, non dovrebbero imporre agli individui, alle famiglie e alle culture pratiche antitetiche ai loro valori e credenze». Gli studiosi del Wijngards Institute, guarda caso, hanno, invece, presentato il loro lavoro niente meno che all’Onu lo scorso 20 settembre, con lo scopo dichiarato di «incoraggiare la gerarchia cattolica a invertire la sua posizione»; e proprio per «mettere a disposizione [i loro risultati, nda] di tutti i dipartimenti e agenzie delle Nazioni Unite che stanno cercando di analizzare il rapporto tra credenze religiose e la salute delle donne sul luogo di lavoro per gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Onu».
Leggendo il lavoro del Wijngards Institute presentato all’Onu possiamo stare certi che a qualche vescovo africano, che denunciava imposizioni di certe politiche per il riconoscimento di aiuti da parte di ong, o Stati e organizzazioni internazionali, saranno fischiate le orecchie.