L'Europa ci prova a imporre le unioni omosex
La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che chiede all'Italia di dare riconoscimento giuridico alle unioni gay, pur non avendo il potere di imporle, è però un’ulteriore pressione in questa direzione. Un nuovo capitolo dell’offensiva dei sostenitori del gender e della strategia contro la famiglia naturale.
MA NESSUNO TENTI DI IMPORRE LA CIRINNÀ di Massimo Introvigne
Da queste colonne Massimo Introvigne ha già offerto una lettura critica, di carattere giuridico, della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Cedu) “Oliari e altri contro Italia” che chiede al nostro Stato di dare riconoscimento giuridico a qualche forma di convivenza omosessuale. Ora vogliamo mettere l’accento su tre aspetti che sono contenuti in nuce in questa sentenza e che sono tipici dell’offensiva dei sostenitori della teoria del gender e che, in senso più esteso, appartengono alla strategia dei nemici dei cosiddetti principi non negoziabili.
In primo luogo per far pressing sul Parlamento occorre una morsa a tenaglia degli altri poteri dello Stato e di quelli sovranazionali. Se le unioni civili non sono ancora diventate legge è necessario anticipare Camera e Senato legittimando in qualche modo le unioni civili e riconoscendo tutti i corollari di “diritti” che da esse dovrebbero discendere. E così ecco le trascrizioni compiute da molti sindaci italiani di “matrimoni” gay avvenuti all’estero, ecco la Corte costituzionale che sin dal 2010 chiese al Parlamento di legiferare sulla convivenze omosessuali, ecco le sentenze dei tribunali che legittimano la pratica dell’utero in affitto e relativi figli (Milano) – legittimazione a favore di una coppia etero, ma in futuro estendibile anche alle coppie omo - che affidano bambini a coppie omosessuali (Bologna), che rilasciano carte di soggiorno ad un cittadino straniero perché sposato al suo compagno italiano con “matrimonio” gay celebrato in Spagna (Reggio Emilia), ed ecco la sentenza della Cedu che ordina di accelerare la normalizzazione giuridica delle coppie omosessuali. Al Parlamento non rimarrà che rettificare per legge una situazione giurisprudenziale e amministrativa già vigente e parzialmente diffusa.
In secondo luogo possiamo notare che se è vero che la Cedu non ha reali poteri coercitivi di carattere giuridico a danno dell’Italia, ne ha molti in senso politico. Esiste cioè una verità giuridica – la sentenza della Cedu non è direttamente applicabile nel nostro Paese – ed una verità politica partorita in modo indebito dai media, ma pur sempre esistente: l’Europa ci chiede di legittimare le convivenze omosessuali. In buona sostanza il vero peso specifico di questa sentenza non deve essere calcolato sulla bilancia del diritto, ma su quello del percepito pubblico, così com’è stato mediato dalla stampa e da altri organi di informazione. Su questo piatto della bilancia la sentenza della Cedu cessa di essere una decisione dei giudici e assume le vesti di un monito di carattere politico proveniente dall’alto. E questo aspetto, nolenti o volenti, conta di più del mero dato giuridico al fine di accelerare i tempi per il varo della Cirinnà.
Infine c’è un’altra considerazione che si potrebbe fare e che si collega a questo ultimo aspetto. É un dato di fatto che in Europa ormai sono pochi gli Stati che tengono duro e che non hanno ancora varato normative volte a riconoscere o il “matrimonio” omosessuale o una qualche forma di convivenza tra persone dello stesso sesso. L’impressione che il sig. Rossi ricava dai media è che l’Italia sia il fanalino di coda nel riconoscimento dei “diritti” dei gay, dimenticando volutamente o ignorando che in tema di famiglia è il singolo Stato ad essere sovrano, non l’Europa. Ma oggi – almeno quando fa comodo – il principio di sovranità nazionale viene scalzato da un nuovo principio. Il principio della democrazia degli Stati che ha sostituito quello della democrazia dei popoli. In buona sostanza il discorso che si vuole far passare è il seguente. La maggioranza degli Stati corre nella direzione del riconoscimento dei “matrimoni” o para-matrimoni gay. L’Italia si attarda su questa strada, ergo il suo agire non è democratico ed è antigiuridico.
Sarebbe quindi l’opinione non più della maggioranza dei cittadini di una nazione che fungerebbe da stella polare da rispettare, bensì le leggi della maggioranza degli stati europei. Una strana torsione del concetto di democrazia, quasi che l’Italia appartenesse ad un club di stati in cui ogni membro deve obbedire al main stream imposto dai più. E in fin dei conti, a pensarci bene, l’Europa è proprio questa cosa qui.