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EUGENIO CORTI

Lettere dal fronte russo, nell'inferno non solo di ghiaccio

Per essere davvero interessanti, gli epistolari debbono offrire lettere vere, non scritte solo per la pubblicazione e quindi rivelatrici del cuore umano. Come di Eugenio Corti oggi raccolte in un volume, curato da Alessandro Rivali, con il titolo: «Io ritornerò». Lettere dalla Russia 1942-1943.

Cultura 13_07_2015
La copertina del libro "Io ritornerò" di Eugenio Corti

«Cara, piccola, bella Pinoka, il tuo fratello grande che fa la guerra, ha ricevuta oggi con grande piacere la tua lettera, e siccome vede che fra tutti quelli di casa tu sei la più premurosa nel dargli notizie, vuol farti una bella sorpresa, e farti trovare, subito dopo il tuo arrivo a Bellaria, la presente lettera. Dunque tu sei al mare con l’Angela [un’altra sorella], e chissà che gioconde nuotate fai. Mi verrebbe quasi voglia di invidiarti un po’, ma poi mi riprendo; se non ci fossimo noi a far la guerra con i comunisti, sai, al mare non ci potrebbe andare nessuno di noi Italiani. Chissà che disastro se questi Russi avessero invaso l’Italia! Ma la Provvidenza non l’ha permesso!».

A scrivere è Eugenio Corti (1921-2014), il grande romanziere cattolico famoso in mezzo mondo - dagli Stati Uniti al Giappone - per l’epopea epica de Il cavallo rosso e autore de I più non ritornano, Gli ultimi soldati del re, Il Medioevo e altri racconti, ma pure Processo e morte di Stalin nonché la ricca raccolta di saggi Il fumo nel tempio. Quando Corti scriveva quelle parole era tutto un altro mondo; era il 5 agosto 1942, in Russia, durante quell’immane e immonda Seconda guerra mondiale che, prolungando la Prima e sfociando nel totalitarismo comunista realizzato anche grazie a un democraticismo imbelle incapace di averne ragione, ha segnato il punto più buio della storia umana, il Novecento. Quel “secolo breve” (oppure lungo, lunghissimo, almeno 200 anni, a far data dalla Rivoluzione Francese che ne ha innescato gli orrori fino al trionfo della post-modernità relativista) Corti lo ha attraversato tutto. Anzi, lo ha vissuto, lo ha animato, lo ha fatto proprio e spesso lo ha combattuto con le armi della fede, dell’intelligenza, della cultura. Sì, il Novecento sarebbe stato un altro se non ci fosse stato anche Corti, che dalla sua piccola “Vandea brianzola” (così amava chiamarla) godeva di un punto privilegiato per osservare i marosi del mondo, ma pure di un’agguerrita ridotta per non darla vinta al male.

Di lettere come quella proposta in stralcio Corti ne ha scritte parecchie. Adesso la sua casa editrice di sempre (e benemerita per averci prima scoperto e sempre caldeggiato un autore del suo calibro), la Ares di Milano, quelle lettere le raccoglie in un volume, curato da Alessandro Rivali, sempre a suo agio tra romanzo e poesia. Il volume s’intitola «Io ritornerò». Lettere dalla Russia 1942-1943 (pp. 248, €14,00). Diciamocelo subito. Gli epistolari sono in genere pizzosi. Intimistici. Quindi spesso inutili. Per essere davvero interessanti debbono avere quel colpo d’ala che riesce solo quando non lo si cerca. Quando cioè giustappongono lettere vere, non scritte per la pubblicazione e quindi rivelatrici del cuore umano. Del cuore, non di altro. Un epistolario vero non è Facebook, che esiste soltanto per farsi gli affari degli altri. Un epistolario vero svela la passione che sta dietro a vite, imprese, opere letterarie. Le opere letterarie sono sempre (fortunatamente) più grandi della biografie di un autore, ché sennò l’umano troppo umano le renderebbe stantie. Le opere letterarie (anche qui: quelle vere) sono una scintilla del divino che alberga nell’uomo, un grazie reso a Dio. Ecco, gli epistolari veri sono quelli che non ci fanno rimpiangere di avere conosciuto di un autore che amiamo non solo l’opera “divina” ma pure al vita umana. Per questo ce ne sono pochissimi; tra questi, da oggi si contano senz’altro le lettere di Corti dalla Russia. 

Il Corti delle lettere russe è lo stesso Corti che, compiuti gli studi e vissuto il mondo, resterà sempre e comunque sbigottito da quell’«esperimento comunista» (così del resto si chiamava la prima versione, “antica”, de Il Fumo nel tempio) il quale prospettava, con ghigno di morte, l’inferno terrestre. C’è da scommetterci che Processo e morte di Stalin sia nato, almeno in embrione, magari inconsciamente, tra quelle lettere dal fronte; o magari certe pagine di decenni dopo così sempre moralmente tese ad allertarci dell’abisso senza Dio. Corti era un uomo semplice, e questo è il complimento più bello che si possa fare alla sua memoria e alla sua bella opera. Non era un manicheo, né un fanatico. Ma proprio per questo, e senza intellettualismi vani, sapeva che delle due sempre e solo l’una: o con Dio, o dall’altra parte. Il mondo “dall’altra parte”, quello che il comunismo proponeva, Corti l’ha toccato con le proprie mani là in Russia e quindi ne ha sempre denunciato l’orrore. Ma non si è mai fermato lì. Non ha mai combattuto battaglie di retroguardia, vinte dalla storia. 

Tutti gli ultimi suoi molti anni, dalla fine degli anni 1980 in poi, li ha passati a denunciare con la stessa lucidità e la medesima passione il relativismo succeduto all’ideologia. L’«imbestiamento nuovo» lo chiamava. Senza però disperare, mai. «Io ritornerò»: in Russia era la sua bandiera, deciso, convinto. Probabilmente aveva fatto un patto con Dio, come lo avrebbe fatto don Camillo. Per questo aveva il coraggio di scriverne nelle sue lettere a casa. E Dio lo ha ascoltato, restituendocelo con un incarico speciale. Affinché a modo suo, come sapeva fare, con i suoi talenti, ci richiamasse costantemente a quell’unica realtà che davvero vale, bene espressa in due precetti l’uno di santa Giovanna d’Arco, Dieu premier servi, l’altro dei carlisti spagnoli, Nada sin Dios.