L'equivoco dei "corridoi umanitari per migranti"
"Corridoi umanitari” per migranti. Quanti si riconoscerebbero nelle parole del Papa? Nessuno di quelli regolari che contribuiscono al pil mondiale. Lampedusa è uno stillicidio di sedicenti profughi, in realtà emigranti illegali. E non fanno eccezione quelli della Sea Watch, quasi tutti da paesi non in guerra.
-PAPA COI MIGRANTI, NON CON ONG di Nico Spuntoni
L’8 luglio, nel sesto anniversario della sua visita a Lampedusa, isola – ricorda il quotidiano Avvenire, “simbolo dell’approdo di chi arriva da terre lontane” – Papa Francesco ha celebrato una messa nella Basilica di San Pietro. “I migranti sono persone, non si tratta solo di questioni sociali e migratorie – ha detto durante l’omelia – non si tratta solo di migranti! nel duplice senso che i migranti sono prima di tutto persone umane e che oggi sono il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata”. Il giorno prima, domenica 7 luglio, all’Angelus Francesco aveva chiesto “che siano organizzati in modo esteso e concertato i corridoi umanitari” per i migranti più bisognosi.
È forse la prima volta che si sente parlare di “corridoi umanitari” per emigranti, seppure bisognosi. Gli emigranti, secondo l’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, sono circa un miliardo, 258 milioni dei quali all’estero. Non per tutti, in effetti, la scelta di emigrare si rivela vincente, molti senza dubbio pensano con nostalgia alla città, al paese in cui sono nati, ma per tornare a casa hanno bisogno che si aprano delle opportunità di lavoro. Capita che si crei un ambiente ostile nei loro confronti, come è successo in Sudafrica in particolare contro i nigeriani, o che nel paese straniero in cui si sono trasferiti scoppino una guerra o una grave crisi: è il caso, ad esempio, del colombiani emigrati in Venezuela prima del collasso del paese. Allora possono avere bisogno di aiuto per tornare a casa e persino in situazioni critiche come quella della Libia l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, in collaborazione con governi e agenzie Onu, riesce a organizzare il rimpatrio di decine di migliaia di persone.
I corridoi umanitari di solito non servono neanche per i rifugiati perché loro sono sotto mandato dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati che provvede per quanto possibile alla loro sicurezza e ai loro bisogni, tra cui quello di trasferirsi eventualmente in un paese terzo. Se una famiglia, ad esempio siriana rifugiata in Libano, chiede di raggiungere dei parenti residenti in Canada, negli Stati Uniti, in Gran Bretagna … i dipendenti dell’Unhcr si incaricano di seguire la sua pratica di riallocazione in tutte le sue fasi.
Dei corridoi umanitari invece c’è bisogno per raggiungere dei profughi interni o delle persone intrappolate in zone a rischio, ad esempio perché teatro di scontri armati. Sono infatti strisce di terra, “corridoi”, sicure, concordate con governi, milizie, gruppi armati per poter prestare aiuto a dei civili in difficoltà. Più di rado vengono chiesti per trasferire temporaneamente dei civili in aree dove sia possibile assisterli.
Detto questo, sarebbe interessante sapere quanti emigranti si riconoscono nelle parole del Pontefice, quanti si sentono “simboli di tutti gli scartati della società globalizzata”. Certo non i tantissimi che lavorano, contribuendo al Pil mondiale per un totale di 6,7 trilioni di dollari, e che guadagnano abbastanza da spedire regolarmente a casa del denaro. Nel 2017, ultimo dato disponibile, le rimesse degli emigranti verso paesi a reddito basso e medio sono ammontate a 466 miliardi di dollari.
Difatti il Papa non pensa a quel miliardo di persone quando parla dei “migranti” definendoli gli “ultimi, che ogni giorno gridano al Signore, chiedendo di essere liberati dai mali che li affliggono”. Ha in mente il numero, per fortuna dal 2016 sempre minore, forse ormai ridotto alle decine di migliaia, di persone che dall’Africa e dall’Asia intendono entrare illegalmente in Europa dopo aver lasciato clandestinamente i rispettivi paesi. Per riuscirci pagano migliaia di dollari a una delle molte organizzazioni di contrabbandieri di emigranti – un business che nel 2016 ha reso quasi sette miliardi di dollari – e all’arrivo ricevono da chi li prende in carico precise istruzioni su come comportarsi: prima regola, non dire di essere emigranti economici; dire di essere profughi in fuga da guerra e persecuzione per poter chiedere asilo e affidarsi agli avvocati che da quel momento seguiranno il loro caso cercando di farli passare davvero per persone che necessitano di protezione internazionale.
Di questo Lampedusa è “simbolo”: di uno stillicidio, e prima di una fiumana, di sedicenti profughi determinati a stabilirsi in Europa, convinti di trovarci l’Eldorado, come dicono in Mali, e che effettivamente lo trovano negli anni in cui soggiornano nei Cas, i Centri di accoglienza straordinaria, in attesa di sapere l’esito della loro richiesta di asilo, e poi nello Sprar, il sistema di accoglienza che per sei mesi, massimo un anno, ospita l’esigua percentuale di quelli che ottengono lo status giuridico di rifugiato o protezione sussidiaria.
I 53 sbarcati dalla SeaWatch 3 non fanno eccezione. 30 arrivano da paesi che non sono in guerra e in cui non ci sono tensioni etniche o religiose degenerate in persecuzione: 14 dalla Costa d’Avorio, tre dall’Egitto, uno da Gambia, Togo e Liberia, sette dalla Guinea Conakry e tre dal Ghana. Quanto agli altri, i 13 dal Camerun dovrebbero essere cittadini di lingua inglese per avere qualche probabilità di ottenere asilo, i sei dal Mali, i tre dal Niger e quello, una donna, dal Burkina Faso dipende in quale parte del loro paese abitavano perché alcune regioni di quegli stati sono minacciate da gruppi jihdisti dai quali peraltro tentano di difenderli, oltre alle forze governative, in Mali una missione francese, Barkhane, e una delle Nazioni Unite, Minusma, e, nell’intera regione, una forza multinazionale composta da militari di Nigeria, Niger, Ciad, Camerun e Benin.