Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
MUSICA

L'equilibrio di Barenboim per dirigere La Scala

Noto per la sua attività artistica
e sociale, avrà l’onere di gestire giochi di potere intricati, ma pure le pretese del pubblico e budget sostanziosi.

Attualità 19_10_2011
Divorce

 

L’ultimo “suono” che Riccardo Muti, ex Direttore Musicale della Scala, fece udire nel tempio della musica milanese fu un fragoroso sbattere di porte. Muti, cattolico ma dal temperamento non proprio quieto, alla fine non ce la fece più e tra incomprensioni, pressioni politiche, problemi amministrativi asfissianti, diatribe personali, decise di spiccare il volo per altri lidi artistici.

Dopo più di sei anni e mezzo il testimone è passato al 69enne Daniel Barenboim. Due note biografiche su Barenboim ci aiuteranno a comprendere meglio il motivo della sua designazione.
 
Barenboim nasce a Buenos Aires nel’42 da genitori di origine russa e di etnia ebraica.
A 5 anni inizia a prendere lezioni di pianoforte prima dalla madre e poi dal padre e dopo due anni eccolo già sul palco a tenere il suo primo concerto. Nel ’52 la sua famiglia si trasferisce nel neonato stato di Israele. Il grande direttore d’orchestra Furtwängler lo ascolta e in una lettera scrisse che “l’undicenne Barenboim è un fenomeno”. Ad onor del vero Barenboin è certamente un notevole pianista ma di certo non uno dei più grandi, cioè non un genio della tastiera come, citando alcuni suoi contemporanei, Arturo Benedetti Michelangeli – di cui fu allievo -  Vladimir Horowitz, Glenn Gould, Svjatoslav Richter, Claudio Arrau – altro suo insegnante – Friedrich Gulda, Emil Gilels ed altri ancora.

Comunque sia dopo la benedizione di Furtwängler la sua carriera
decolla sia come pianista che come direttore d’orchestra.

Ma Barenboin non è noto solo per la sua attività artistica,
ma altresì anche per quella sociale. Nel 1990 incontra Edward Said, scrittore palestinese e docente alla Columbia University. Tra i due si instaura un’amicizia profonda. Entrambi sono d’accordo che l’unica strada percorribile per sanare i rapporti tra ebrei e arabi è una pacificazione bilaterale senza se e senza ma. Da questa amicizia nasce l’idea di fondare nel’99 la West-Eastern Divan Orchestra, i cui giovanissimi membri sono in parte ebrei e in parte arabi, e  la Barenboim-Said Foundation tesa a sviluppare progetti di cooperazione tra queste due etnie. Grazie a questo suo impegno di pacificatore, il maestro ha ricevuto moltissimi premi e riconoscimenti internazionali da altrettante istituzioni e fondazioni, tra cui la Légion d’honneur  dal presidente francese Jacques Chirac e il titolo di Ambasciatore di pace dell’ONU direttamente dal  Segretario Generale Ban Ki Moon.  

Potremmo dire che la carta di identità di Barenboim è perfetta per la direzione del Piermarini
almeno per tre motivi. Il primo è intuitivo: seppur non sia eccelso come direttore d’orchestra (Abbado, Muti, Maazel, Mehta e persino il giovane Harding sono fatti di ben altra stoffa) di certo la bacchetta la sa usare molto bene.

Poi seguono altre motivazioni un po’ indigeste per la vulgata corrente.
Innanzitutto vantare ascendenze ebraiche vuol dire molto in campo musicale internazionale, se non tutto a volte. Sicuramente la tradizione occidentale della musica colta scorre nelle vene di chi è ebreo: per cultura, per inclinazione e sensibilità chi appartiene a questa etnia ha di certo una marcia in più in musica. Ma è altrettanto incontestabile l’esistenza di lobby di potere filo-ebraiche che influenzano pesantemente concorsi, cariche e successi concertistici. Insomma è cosa risaputa che per accedere al gotha della musica concertistica di livello internazionale è assai preferibile che il cognome del candidato finisca in –ein, in –witz o in –wsky. (i nomi di solisti e direttori d’orchestra ebrei notissimi a livello mondiale è quasi infinito). Detto ciò Rubinstein e Horowitz, tanto per far due nomi, sono stati geni incontrastati della tastiera e il loro successo più che meritato. Banale quasi ricordarlo.

Altro fattore che sicuramente ha concorso alla elezione di Barenboim è la sua attività
per i giovani diseredati della musica e non solo. Si badi bene: è certamente meritorio l’impegno di Barenboim in questo ambito, però è indiscusso che tra il direttore cerbero che pensa solo a fustigare gli orchestrali e quello che trova il tempo per insegnare la sua arte alle nuove leve, soprattutto quando queste vivono situazioni sociali precarie e disagiate, di certo risulta più simpatico il secondo. E’ quasi un cliché oggi – cliché in un certo modo obbligatorio per i grandi direttori d’orchestra -  quello di dedicare la propria professionalità a favore anche del sociale. Si veda il caso di Abbado in Venezuela con l’orchestra Simon Bolivar composta da ragazzi di strada e quello di Metha il quale laddove c’è una catastrofe naturale o un guerra si precipita a far concerti. E ben venga, non fraintendiamo.

Ecco allora che questo mix di origini ebraiche e attivismo filantropico, unite ad ottime doti di divulgatore massmediatico, cesella il curriculum di Barenboim secondo i criteri del politicamente corretto e lo rende non solo il candidato ideale per il Teatro alla Scala ma altresì impermeabile a qualsiasi critica. Parlar male di lui, al di là degli evidenti talenti artistici, sarebbe come sparare sui caschi blu dell’ONU, pardon sulla Croce Rossa. Ed infatti Il sovrintendente Stéphane Lissner afferma che per la nomina “hanno contato anche le sue doti umanitarie”. Il sindaco Pisapia poi gongola soddisfatto: “Con questa scelta il Teatro alla Scala si conferma ancora una volta un punto di riferimento della cultura e della musica a livello internazionale”.

Il contratto del direttore argentino scadrà nel 2016, ma gli esoneri anzitempo alla Scala, come nel mondo del calcio con gli allenatori, sono all’ordine del giorno. Infatti l’impegno che attenderà Barenboim, insieme al sovraintendente Lissner, non sarà dei più agevoli. Dovrà vedersela non solo con problemi di natura strettamente musicale, ma avrà l’onere di gestire giochi di potere intricati, equilibri politici delicatissimi, sarà certamente impegnato nel barcamenarsi tra pretese del pubblico e budget in realtà sostanziosi ma chissà perché mai sufficienti per i sogni artistici dell’intellighenzia scaligera. Ma soprattutto i suoi nervi saranno messi a dura prova dalle continue e più disparate rivendicazioni sindacali (un giorno si bloccò tutto perché una comparsa chiese “l’indennità spadone” dato che il suo costume di scena era appesantito da una spada assai ingombrante).

Insomma - avrà pensato qualcuno che ha avuto peso nella sua nomina
- se ce l’ha fatta a mettere d’accordo ebrei e arabi, almeno nella sua orchestra giovanile, speriamo che riesca a fare altrettanto nell’irrequieta Milano scaligera.