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ITALIA

L'economia non ha bisogno di profeti di sventura

Pensioni, povertà, disoccupazione: gli slogan interessati danno un'immagine dell'Italia sull'orlo del disastro, ma un attento esame dei dati statistici offre un quadro della situazione meno drammatico.

Editoriali 23_10_2017
Lavoro

Se le premesse sono quelle degli ultimi giorni sarà ben difficile arrivare a cuor leggero alla scadenza elettorale della prossima primavera. L'aria che tira è quella di un progressivo innalzamento della quota di populismo, di richiamo alle facili emozioni, di slogan lanciati a vanvera pur di attirare attenzione e consensi.

L'immagine che esce dell'Italia è sempre di più quella di un Paese dove la povertà dilaga, dove la disoccupazione cresce a vista d'occhio, dove gli anziani strappano il lavoro ai giovani, dove i vincoli europei bloccano ogni possibile ripresa, dove i banchieri giocano con il denaro degli altri. E così vanno sotto accusa non solo la globalizzazione, l’Europa e tutte le istituzioni, ma anche le poche riforme che hanno, pur con molti limiti, tentato di adeguare le regole alla dinamica della società. Presi di mira sono soprattutto il Jobs act e la legge Fornero senza guardare alla realtà che indica come l'occupazione negli ultimi vent'anni non sia mai aumentata come negli ultimi mesi e come il sistema pensionistico sia stato messo in sicurezza garantendo a medio termine l'equilibrio tra le entrate e le uscite.

Ma siamo nell'epoca della fake news, di quelle che una volta si chiamavano semplicemente bugie e facevano almeno allungare il naso di Pinocchio. Siamo nell’epoca in cui le statistiche sono un’opinione e le opinioni una verità inconfutabile. Siamo nell’epoca in cui ha ragione chi grida più forte e in cui un giudizio è tanto più vero tanto più è condiviso nei social network.

Un esempio è l’attacco che i sindacati e alcuni partiti di opposizione, come la Lega e i 5S, hanno portato all’innalzamento dell’età pensionabile previsto dall’ultima riforma per tener conto della dinamica dell’aspettativa di vita. Ebbene si afferma che in Italia si va in pensione più tardi che in tutti gli altri paesi europei, che cresce il numero di anziani al lavoro, che per questo i giovani hanno sempre più difficoltà.

La realtà è ben diversa. L’età media di pensionamento “effettiva”, nella definizione Ocse la media dei dati reali degli ultimi 5 anni,  è significativamente più bassa della media dei paesi industrializzati (64,6 anni per gli uomini e 63,2 per le donne) e si colloca infatti a 61,4 anni per gli uomini e 61,1 per le donne. Questo perché la maggioranza dei nuovi pensionati utilizza quella che una volta era la pensione di anzianità ed ora viene chiamata pensione anticipata. E questo varrà anche per il futuro. Certo, anche questa media è destinata a salire, ma a fronte dell’aumento della speranza di vita e dell’arrivo in età di pensionamento dei figli del baby boom degli anni ’50 e ’60 è impossibile pensare di tenere in equilibrio il sistema pensionistico senza aggiustamenti graduali.

Un altro esempio di come sia necessario non fermarsi al dato immediato ed evitare le spiegazioni semplicistiche lo si può trovare nei dati sull’occupazione. A giugno 2017 l’Istat ha segnalato che rispetto all’anno prima si registrava una crescita degli occupati ultracinquantenni (+335 mila) a fronte di un calo nelle altre classi di età (-188 mila). Giudizio immediato: gli anziani tolgono il posto ai giovani. Ma è lo stesso Istat, se si vanno a leggere i comunicati nella loro integralità, che sottolinea come i dati per classi di età sono influenzati da una significativa componente demografica: in pratica nell’arco dei dodici mesi sono entrate molte più persone nella categoria over 50 di quante ne siano uscite avendo superato i 64 anni. E così se si guarda alla variazione della disoccupazione al netto della componente demografica si può scoprire che tra gli over 50 la disoccupazione è diminuita del 4,7%, ma quella tra i 35 e i 49 è scesa ancora di più e cioè del 7,5%, mentre tra i 15 e i 34 anni la flessione è stata solo del 2,5%.

Allo stesso modo siamo di fronte ad un inganno statistico quando si prende il dato grezzo della disoccupazione giovanile, poco sotto il 40%, per elevare pesanti atti di accusa contro la società. Come osservano due che se ne intendono, Alessandra del Boca e Antonietta Mundo nel loro libro “L’inganno generazionale”, il dato reale resta preoccupante e merita tutta l’attenzione, ma è molto più basso ed in linea con quello degli altri paesi perché in Italia si tiene conto anche di chi studia e rimane in famiglia.

Nessuno vuol negare che l’Italia abbia anche gravi problemi sociali, soprattutto al Sud dove un federalismo pasticciato ha moltiplicato sprechi e clientelismi. Ma dipingere la realtà del Paese come un inferno, la dimensione politica e amministrativa come il regno della corruzione, la dinamica sociale come una battaglia, non fa che aumentare il disagio e la malinconia. L’economia ha bisogno di fiducia, non di profeti di sventura o di apprendisti stregoni.