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Dottrina sociale
a cura di Stefano Fontana

IL FENOMENO

Le Sardine e il vero senso della società civile

Qual è l’ordine delle cose cui il movimento delle Sardine vorrebbe servire? La risposta è difficile a darsi se si parte dal presupposto che la bontà di un movimento della società civile stia solo nel suo protagonismo, ossia nella capacità di riempire piazze.

Dottrina sociale 20_12_2019

Il fenomeno delle Sardine induce a riflettere sul significato sociale e politico della cosiddetta “società civile”. La simpatia nei loro confronti espressa anche da alti prelati della Chiesa cattolica può forse essere indotta anche da questo, ossia da una valutazione positiva della soggettività della società civile che, in questo momento, sarebbe vista come antagonista al populismo. La società civile, quindi, come “piazza”, come luogo del confronto e del dialogo, come occasione di creatività dal basso.

Si sa che questo fenomeno delle Sardine tutto è fuorché qualcosa di autonomo che nasce dal basso, che le piazze vengono occupate non per dialogare ma per crocifiggere e vituperare, che di creatività è meglio non parlare dato il populismo delle proposte antipopuliste. Tuttavia può essere che attorno al concetto di soggettività della società civile ci sia ancora un’aura di purezza immacolata che a tanti piace, anche dentro la Chiesa. Per questo può essere utile qualche precisazione.

L’espressione “soggettività della società civile” che ho adoperato è presente nell’enciclica “Centesimus annus” (1991) di Giovanni Paolo II. L’espressione sta ad indicare che l’individuo non deve essere schiacciato tra lo Stato e il mercato, dato che tra i due c’è la società civile, ossia l’insieme di aggregazione spontanee dei cittadini. La scuola dell’”economia civile” (Zamagni, Bruni, Becchetti…) interpretano queste indicazioni di Giovanni Paolo II come una conferma della loro testi di un sistema a tre: Stato, mercato e, appunto, società civile, al quale ora Leonardo Becchetti aggiunge i consumatori come quarto elemento. È chiaro però che il concetto di “soggettività della società civile” insegnato dalla Dottrina sociale della Chiesa è più ampio e non può venire ridotto ad uno spazio angusto tra Stato e mercato.

L’espressione “soggettività” della società civile fa pensare ad un protagonismo, al fatto cioè di non rimanere subalterni, al diritto di esprimersi, non solo in economia ma in molti altri ambiti, anche più importanti dell’economia. Tuttavia, proprio la parola “soggettività” può trarre in inganno perché può alludere ad una inventiva senza criterio, ad una creatività senza paletti, espressione di voglie e desideri sociali piuttosto che di doveri. Potrebbe far pensare che tutto quanto emerge dalla società civile sia buono, appunto perché soggettivamente espresso, perché condiviso in gruppo e partecipato. Si fonda qui la (errata) visione secondo cui la società civile esprimerebbe una immacolata ingenuità da considerarsi sempre positiva, contro il pupulismo che invece dominerebbe dall’alto il popolo facendogli credere di poter scegliere ma in verità conculcando la sua soggettività. La “spontaneità” della società civile sarebbe la fonte della bontà delle sue proposte e realizzazioni.

Ma nella visione di Giovanni Paolo II e della Dottrina sociale della Chiesa in generale non è così. Innanzitutto perché non si deve confondere le aggregazioni della società civile con le società naturali della persona. La famiglia, per esempio, è una società naturale e non un corpo intermedio della società civile. Lo stesso deve dirsi per la nazione. La persona non esiste se non in una famiglia e in una nazione, che costituiscono il suo bene in comune con le altre persone. Una società civile composta da individui soggettivamente aggregati tra loro, al di fuori di ogni legame naturale è una invenzione delle moderne ideologie. Le società naturali sono ascrittive (non si scelgono), le aggregazioni dei corpi intermedi sono invece elettive: si scelgono. I corpi intermedi non possono quindi contrapporsi alla famiglia o alla nazione, perché le società naturali vengono prima di quelle elettive e queste ne devono rispettare le esigenze normative. Se le Sardine mettono in questione la famiglia naturale o la nazione esprimono velleità sbagliate che vanno respinte anche se (ammesso e non concesso) sono spontanee.

Si scopre allora che la società civile non ha solo diritti, come il termine “soggettività” potrebbe far pensare, ma prima di tutto doveri. La sua soggettività non ha diritto di esprimersi solo per non essere schiacciata tra Stato e mercato, ossia per via negativa, ma anche e soprattutto per costruire una società giusta, secondo un ordine delle cose, ossia in via positiva. Da qui la domanda: qual è l’ordine delle cose cui il movimento delle Sardine vorrebbe servire? La risposta è difficile a darsi se si parte dal presupposto che la bontà di un movimento della società civile sta solo nel suo protagonismo, ossia nella capacità di riempire piazze.