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Francia

Le Pen condannata, giustizia a gamba tesa nella corsa all’Eliseo

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Il Tribunale di Parigi ha condannato Marine Le Pen con l’accusa di appropriazione indebita dei fondi europei destinati agli assistenti parlamentari, escludendola anche dalle presidenziali del 2027. Annunciato un ricorso, ma il tempo potrebbe non bastare.

Esteri 01_04_2025
Le Pen esce dal tribunale dopo la condanna (Ap via LaPresse)

I fatti parlano chiaro: la condanna francese a Marine Le Pen e quella turca a Ekrem İmamoğlu hanno la stessa matrice e sono ispirati dalla medesima intenzione: ghigliottinare gli avversari politici, per via giudiziaria, evitando che il popolo possa democraticamente e liberamente esprimersi alle elezioni presidenziali. Tutto il resto, giustificazioni e distinguo incartapecoriti, è fuffa. Come volevasi dimostrare e come abbiamo scritto sulla Bussola lo scorso 21 marzo.

Marine Le Pen ieri è stata condannata dal Tribunale di Parigi, insieme ad altri, per appropriazione indebita dei fondi europei per gli assistenti parlamentari ed esclusa per cinque anni dalle cariche pubbliche e anche dalle prossime presidenziali del 2027. Il giudice ha anche inflitto alla Le Pen una condanna a quattro anni di carcere, di cui due con sospensione condizionale e due con detenzione domiciliare e il pagamento di 100.000 euro. Le Pen, 56 anni, farà ricorso, come ha detto il suo avvocato, perciò né la pena detentiva né la sanzione economica saranno applicate, almeno finché i suoi appelli non saranno giudicati.

I fondi impropriamente utilizzati sarebbero serviti alla Le Pen, secondo il Tribunale di Parigi, per pagare funzionari del suo partito in Francia, tra il 2004 e il 2016. In sostanza la Le Pen, insieme ad altri esponenti del suo partito, è stata ritenuta colpevole di aver utilizzato 2,9 milioni di euro di fondi europei destinati agli assistenti degli eurodeputati per pagare membri e personale di quello che allora si chiamava Front National. Una pratica vietata dai regolamenti europei che impediscono l’utilizzo di fondi destinati agli eurodeputati per attività che esulino da quelle strettamente parlamentari. Nel 2015 l’allora presidente del Parlamento europeo, il noto socialista Martin Schulz, inviò una segnalazione al Ministero della Giustizia francese che avviò le indagini che hanno poi portato al processo iniziato circa sei mesi fa e terminato con la condanna di ieri, dieci anni dopo. Un classico di certo stile giudiziario italiano che ci hanno copiato Oltralpe.

Tuttavia, come avevamo spiegato dieci giorni or sono, il divieto di cinque anni di candidatura scatta immediatamente, tramite una cosiddetta misura di "esecuzione provvisoria" richiesta dai procuratori e accolta dal Tribunale. L’unica possibilità per la Le Pen di candidarsi alle presidenziali è quella che un giudice d'appello annulli la sentenza di ieri prima della competizione elettorale ma, come in Italia, i ricorsi in Francia possono durare diversi mesi o addirittura diversi anni.

Marine Le Pen non perderà il suo mandato di membro dell'Assemblea Nazionale; il Consiglio costituzionale si è sempre rifiutato di privare i parlamentari del loro mandato se sono stati condannati all'ineleggibilità, a condizione che la decisione non sia definitiva. Sia chiaro, non vale qui distinguere i diversi poteri dello Stato francese, non giriamoci attorno: quello giudiziario è pressoché nelle mani delle diverse massonerie, unite dall'adorazione di Macron e dei socialisti e dai timori di una vittoria delle destre. Non a caso, proprio i socialisti, a poche ore dalla condanna, si sono schierati a difesa della magistratura.

Il braccio destro di Le Pen, Jordan Bardella, che presiede non solo il Rassemblement National ma anche il gruppo dei Patrioti al Parlamento europeo, ha dichiarato che la condanna non è solo per Marine Le Pen, bensì «per la democrazia francese». Le Pen si è candidata tre volte alla presidenza e ha detto che il 2027 sarà la sua ultima corsa per la carica più importante. Il tribunale di Parigi ha oltrepassato le sue prerogative ordinando l'”esecuzione provvisoria” dell'ineleggibilità di Marine Le Pen?

Tre giorni dopo la decisione del Consiglio costituzionale, che lo scorso 28 marzo aveva fissato i limiti rigorosi a questa misura (QPC n. 2025-1129), la giustizia penale parigina ha scelto di ignorarla, ha spiegato con ragione alla rivista online Marianne Jean-Éric Schoetll, ex segretario generale del Consiglio costituzionale. Secondo Schoetll la decisione di ieri è giuridicamente discutibile e politicamente importante, solleva seri interrogativi sul rispetto del diritto di essere eletti, sulla sovranità popolare e sulla tentazione di un governo di giudici. In una democrazia, spetta effettivamente all'elettore dire chi è degno dei suoi voti. Si cadrebbe in un governo di giudici se ammettessimo che il popolo è incapace di discernimento morale e che spetta quindi alla magistratura “filtrare” i candidati, quindi indirizzare l’elettore limitandone la scelta, in base alle opinioni morali, o immorali, dei giudici.

La magistratura politicizzata francese si ribella al Consiglio costituzionale e tenta di destabilizzare la vita politica del Paese, frustrando e indignando una parte significativa del "popolo francese". Ciononostante, si prenda atto che ancora nei giorni scorsi, secondo il sondaggio Harris, «Jordan Bardella resta la figura politica di cui i francesi si fidano di più (40%, +1)». Quanto a Marine Le Pen, si attestava al 39% di consensi alla vigilia della sentenza di Parigi e, secondo la ricerca di opinione dell'IFOP per Le Journal du Dimanche, pubblicata domenica 30 marzo, Marine Le Pen si attestava tra il 34 e il 37% dei consensi al primo turno delle presidenziali, molto più avanti di Édouard Philippe, possibile candidato di Macron che non superava il 25%.

I fatti parlano chiaro, dunque: a Parigi si replicano le decisioni di Ankara e si elimina l’avversario politico; i giudici non giudicano più “in nome del popolo sovrano”, ma “al posto del popolo sovrano”, di cui si ergono a sostituti illuminati.

È questa l’Europa ed è questo l’europeismo che si vuole imporre ai cittadini? Nel prossimo mese di maggio si dovrebbe votare in Polonia (1° turno: 18 maggio) e forse in Romania (1° turno: 4 maggio) per l’elezione dei presidenti delle rispettive repubbliche e in Portogallo, per l’elezione anticipata del parlamento (18 maggio). Attenzione che anche a maggio non si impongano i dogmi di Ventotene e gli oligarchi di sempre non pensino di attingere «la visione e la sicurezza di quel che va fatto non da una preventiva consacrazione da parte dell’ancora inesistente volontà popolare, ma dalla sua coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. (…) Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato, e intorno ad esso la nuova vera democrazia».



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