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ORA DI DOTTRINA / 107 – La trascrizione

Le passioni – Il testo del video

Ogni atto umano coinvolge la sfera affettiva. Per passione si intende, dal punto di vista morale, un certo patire. Le due dimensioni dell’appetito sensibile: concupiscibile e irascibile. L’immagine dell’auriga e i due cavalli.

Catechismo 10_03_2024

Proseguiamo le nostre catechesi sulla questione del peccato. La scorsa volta abbiamo visto quanto e come intervenga l’intelletto, l’intelligenza dell’uomo nel peccato. Abbiamo parlato dell’ignoranza, se e come l’ignoranza incida sulla malizia di un atto moralmente cattivo. Abbiamo fatto tutte le distinzioni, a cui rimando.

Sebbene si debba tener fermo che, essenzialmente, il peccato risieda nella volontà dell’uomo, in questa facoltà, abbiamo visto come l’intelligenza non è “assente” nella sua partecipazione al peccato, proprio perché nell’essere umano c’è un’unità dell’intelletto e della volontà. Non abbiamo la volontà da una parte e l’intelletto dall’altra. Ma c’è un’altra dimensione. Se noi guardiamo a come siamo fatti, dobbiamo anche chiederci se e come nell’atto morale, in questo caso nell’atto morale disordinato, il peccato, entri quella dimensione, quella sfera della nostra umanità che possiamo chiamare sfera sensibile, affettiva. Adesso ci soffermiamo un po’ su questo aspetto.

L’esperienza comune ci mostra che non c’è mai un atto propriamente umano che non coinvolga questa dimensione. È chiaro. Nessun atto umano è puramente un atto volitivo-intellettivo senza coinvolgere la dimensione affettiva e sensibile. Si tratta di tracciare un quadro abbastanza generale di quel capitolo molto importante della teologia morale – importantissimo anche per quanto riguarda la vita spirituale, un capitolo che è stato sondato in lungo e in largo dai padri del monachesimo – che è quello delle passioni.

Ora, per prima cosa cerchiamo di chiarire che cosa intendiamo per “passione”, perché questo termine nel linguaggio corrente vuol dire tantissime cose. Per esempio, oggi definiamo “passione” la passione per il calcio, per la moto, per la musica, cioè qualche cosa che ti prende e ti esaurisce in qualche modo la vita. Non è in questo senso che intendiamo le passioni dal punto di vista morale. Con “passione” noi intendiamo anzitutto un certo patire, una passione vera, cioè qualcosa che in qualche modo l’uomo avverte, subisce. E subisce dove? Nella sua parte sensibile. Dunque, la passione implica questo patire, e questo patire nella parte sensibile dell’uomo. Ed è propriamente un moto, un movimento che noi avvertiamo nella nostra parte sensibile. Appunto, è un moto, un movimento che ha sede non nella volontà, non nell’intelletto, ma in quello che viene propriamente chiamato l’appetito sensibile. Dunque, l’appetito sensibile è quella sfera, quella dimensione della nostra umanità che indica una tendenza a, dal punto di vista della nostra sensibilità, della nostra affettività.

È chiaro che, essendo l’uomo uno, non ci può essere nell’uomo una passione, sebbene la sua sede sia nell’appetito sensibile, che non coinvolga l’anima razionale, che non coinvolga dunque l’intelletto e la volontà. In questo senso noi possiamo dire, come afferma san Tommaso, che la passione è sempre passione del composto, cioè del composto uomo; potremmo dire, per intenderci meglio, dell’unità dell’uomo. Dunque, questo moto, questo movimento che noi avvertiamo e in qualche modo riceviamo, ha sede nella nostra parte dell’appetito sensibile, ma non può non coinvolgere l’uomo nella sua dimensione integrale; quando noi facciamo queste distinzioni dobbiamo sempre tener presente che sono distinzioni, non sono separazioni. Quindi, una volta compreso l’aspetto che stiamo distinguendo, dobbiamo poi ricondurlo nel suo insieme, vedere il tutto, la parte del tutto e la relazione delle parti tra di loro.

Cosa intendiamo dunque propriamente per appetito sensibile? È quella tendenza al bene che attrae, che ci attrae; quel bene, dunque, particolare o quella serie di beni particolari che ci attraggono. Perché questa distinzione? Mettiamola in parallelo con la volontà. La volontà è anch’essa un appetito, una tendenza: ma una tendenza a che cosa? Al bene universale. Cioè la volontà, l’apertura della volontà è il bene inteso nel suo senso universale, dunque non propriamente quel bene particolare. Così come l’intelletto è l’apertura all’essere universale, non solamente a un ente particolare. Questo essere universale lo incontriamo negli enti, nelle cose concrete. E analogamente questo bene universale lo impattiamo nei beni concreti. E tuttavia la nostra volontà resta aperta, più aperta di quel bene particolare. Se non ci fosse questa apertura al bene universale, la nostra volontà coinciderebbe con l’appetito sensibile e sarebbe in questo senso determinata: quel bene attrae e la volontà si porta su quel bene, necessariamente.

La volontà, dunque, l’appetitum (quando parliamo di appetito intendiamo “tendere a”) della volontà tende a un bene universale; invece, l’appetito sensibile, proprio perché sensibile, è una tendenza al bene particolare, a quel bene particolare che ci attrae, che ci appare conveniente: non è una valutazione se lo sia o non lo sia, semplicemente questa è la dinamica delle nostre facoltà.

Ora, nell’appetito sensibile abbiamo due potenze appetitive: quella concupiscibile e quella irascibile. Per spiegarci usiamo un grande classico, un’immagine classica di derivazione platonica, ossia quella dell’auriga, del cocchiere che guida il cocchio con due cavalli, uno bianco e uno nero. Chi è questo auriga? Chiaramente è la parte razionale dell’uomo. I due cavalli sono insieme l’appetito sensibile di cui stiamo parlando, però con due caratteristiche diverse: il cavallo bianco, il cavallo nero. Il cavallo bianco è il concupiscibile. Che cosa fa il concupiscibile? Il concupiscibile tende al bene sensibile, o scappa, si può dire, dal male sensibile. Non scappa dal male universale o tende al bene universale, ma da quello sensibile.

L’irascibile, dall’altra parte, che cos’è? È quella tendenza, quell’appetito che lotta per un bene arduo, un bene difficile da raggiungere. Dunque, c’è un appetito più “pacifico” che tende al bene sensibile; l’altro, invece, è più vigoroso e punta al bene arduo.

Riflettiamo su questa immagine: questi sono semplicemente due cavalli. Che siano due cavalli virtuosi o no, cioè che siano due cavalli che aiutano l’auriga o che lo rovesciano a terra dopo due secondi, dipende da che cosa? Dalla natura dei cavalli sicuramente; ma dipende [anche] da quanto l’auriga li ha in mano. La soluzione dell’auriga non è abbattere i cavalli. Se abbatto i cavalli, rimango in piedi sul cocchio e guardo attorno… La soluzione non è neanche dire ai cavalli: “va’ dove ti porta il cuore”, cioè fate quello che volete...; perché uno può andare di qua e l’altro di là, uno si siede e non ti porta da nessuna parte, l’altro ti strattona e ti fa volare di dieci metri… La soluzione, nel senso dell’armonia, si ha quando l’auriga sa servirsi di queste forze dei due cavalli e li ha in mano e li guida secondo che cosa? Secondo ragione. Questo è un po’ il quadro, noi siamo fatti in questo modo: la nostra umanità ha un appetito più elevato, che è la volontà; ha l’intelletto e poi ha questo appetito sensibile duplice, con due potenze, due forze appetitive, il concupiscibile e l’irascibile.

Adesso andiamo a vedere, anche qui senza pretese di esaustività, ma per capire le dinamiche umane (e quindi cosa c’entra questo con l’atto morale, con il peccato, cosa che vedremo nella lezione successiva), quali sono le passioni fondamentali dell’uomo, cioè le passioni principali che poi legano in qualche modo tutte le altre. Le andiamo a vedere appunto in relazione al concupiscibile e all’irascibile, ovvero vediamo quali sono i moti, le passioni fondamentali del cavallo bianco e del cavallo nero. Ricordiamo che per “passione” intendiamo questo moto, questo movimento che noi avvertiamo nella nostra dimensione dell’appetito sensibile, ma che sempre coinvolge la parte più elevata del nostro essere, cioè l’anima con le sue facoltà.

Cominciamo con il vedere la parte del concupiscibile (il cavallo bianco). Nella dimensione del concupiscibile – cioè questa tendenza al bene che attrae, al bene conveniente, al bene particolare – abbiamo sei movimenti fondamentali, di cui due fanno da cardine. Quali sono i due cardini? Qual è la reazione fondamentale al bene sensibile che mi si presenta? È l’amore. Che cos’è l’amore? Attrazione e unione. C’è il bene che mi attrae, io tendo a, e me ne impossesso, diciamo così, molto in generale; in questo senso, c’è un’unione con quel bene. Molto banalmente, ho una fame da lupi e c’è un buon risotto di carciofi: che cosa ti fa fare la passione fondamentale dell’amore, del concupiscibile? Tendo a… e me ne approprio: mangio.

Il suo opposto, fondamentale, chiaramente è l’odio. Che cos’è l’odio? L’odio è quella reazione fondamentale al male. Dunque, ho il male e la reazione fondamentale è l’odio: lo respingo, lo detesto, provo appunto odio, che è l’opposto dell’amore. Vedete che già in questa dinamica si comprende che l’odio è derivato, cioè l’odio non è primario, per quella ragione ontologica di cui abbiamo già parlato, per cui il male non è mai primario, cioè è sempre la deficienza di un bene: il male presuppone sempre un bene; il bene non presuppone il male. E analogamente l’appetito sensibile che si porta all’uno o all’altro bene particolare segue lo stesso ordine: l’amore è fondamentale, l’odio invece è derivato. L’odio presuppone un amore; l’amore non presuppone un odio.

Quindi, queste sono le due potenze fondamentali del concupiscibile. Però ci sono altre due modulazioni, a seconda che questo bene e questo male siano presenti o assenti. Dunque, bene e male: bene presente, bene assente; male presente, male assente. Sono altre quattro declinazioni.

Andiamo sul lato dell’assente. Cosa succede quando il bene o il male sono assenti? Quando il bene è assente – posto che l’amore è la tendenza al bene – allora l’amore assume la connotazione del desiderio. Il desiderio nell’appetito sensibile è la tendenza verso un bene che non è presente. Ma è un bene che in qualche modo è intravisto all’orizzonte; se fosse del tutto assente, se non apparisse nemmeno al nostro orizzonte sensibile-affettivo, non avremmo il desiderio.

Dall’altra parte, il male assente – o meglio, di nuovo, non del tutto assente, ma che incombe – provoca che cosa? La fuga. Nella sfera dell’assente abbiamo il movimento del desiderio verso il bene e il movimento della fuga nei confronti del male.

Se invece il bene e il male sono presenti, che cosa abbiamo? Che cosa dà un bene presente? È un bene di cui posso godere e dunque avrò il piacere, la gioia, il gaudio, quello che ha a che fare con quel bene reso presente, “mio”. Dall’altra parte, invece, il male presente che cosa provoca da un punto di vista del concupiscibile? Provoca la tristezza. Quando il bene sensibile è presente provoca il gaudio, la gioia, il piacere. Quando invece è il male a essere presente allora abbiamo la tristezza.

Vediamo dunque sei movimenti fondamentali del concupiscibile. I due cardini: amore e odio. E poi ne abbiamo altri quattro, a seconda che si tratti del bene o del male, e che questo bene o male sia assente o presente.

Se ci spostiamo all’irascibile, il cavallo nero, abbiamo altri movimenti un pelo più complessi, non così facilmente schematizzabili, ma non impossibili da capire, anzi. Anzitutto ricordiamoci che cos’è l’irascibile. L’irascibile è quell’appetito, quella tendenza che lotta per un bene arduo, a differenza del concupiscibile che non guarda all’arduo, guarda al bene sensibile. L’irascibile invece ha a che fare con l’arduo.

Vediamo cosa succede quando abbiamo un bene arduo – quello che appunto mette in moto l’irascibile – assente. Abbiamo due possibilità. 1) Questo bene arduo assente che mi attiva, cioè mi attrae al punto tale che mette in moto tutta una serie di risorse, è la speranza. La speranza è il mettersi in moto dell’irascibile quando il bene arduo è assente, è una tensione al raggiungimento. 2) Invece, quando il bene assente respinge in qualche modo, abbiamo la disperazione.

Dunque, di fronte al bene assente, l’irascibile si comporta in due modi: o attiva la speranza, oppure si rassegna, in un certo senso, di fronte alla sua assenza e quindi viene meno la speranza e c’è la disperazione: quel bene arduo non lo raggiungerò mai, non lo potrò mai raggiungere. Questo quindi è il bene arduo assente, che nell’irascibile provoca questi due movimenti: speranza e disperazione.

Che cosa accade invece quando è il male arduo ad essere assente? Perché l’irascibile ha a che fare non solo con il bene arduo, ma anche con il male arduo, cioè il male che si presenta nei nostri confronti come qualcosa di forte, di elevato, non di semplicemente risolvibile. Dunque, il male arduo assente provoca, come il bene arduo assente, due movimenti: il timore e l’audacia. Immaginiamo una grande paura, una grande difficoltà. Il male arduo – proprio perché arduo – provoca timore. Se non fosse arduo non avremmo motivo di avere timore. Un male semplice che in fondo non ci disturba più di tanto, che è facilmente superabile, non produce timore. Ma un male arduo può produrre timore, respinge proprio perché arduo.

Allo stesso tempo, sebbene sia arduo, questo male può anche attirare. In che senso attirare? Attirare nel superarlo, nello sconfiggerlo, nell’oltrepassarlo, ed è l’audacia. Pensiamo all’audacia in battaglia, quando si ha sempre un male arduo davanti a sé. Allora ci si trova davanti a due possibilità: o ci si fa vincere dal timore o si supera questo timore, diventando audaci. Questo male, proprio perché arduo, sebbene sia arduo, diventa in qualche modo un motivo d’attrazione, non per compiere il male, ma per affrontarlo: ecco dunque l’audacia.

Questi erano i quattro movimenti sull’assenza, due per il bene e due per il male.

Invece, consideriamo quando siamo di fronte a qualcosa che è presente – un bene presente o un male presente. Il bene arduo presente coincide con il movimento del concupiscibile. Se c’è un bene arduo che mi è presente, cosa succede? Che io avrò piacere, gioia, godimento, tanto più grande quanto più è stato arduo questo bene. Se invece è il male ad essere presente, avrò altri due movimenti. Uno che di nuovo coincide con il concupiscibile. Ricordate qual è il movimento del male presente nel concupiscibile? La tristezza. E qui è la stessa cosa. Male arduo presente, che trionfa, che mi domina, produce tristezza, una grande tristezza.

Questo male presente può portare però a un’altra reazione dell’irascibile. Se il male arduo mi domina, mi ricongiungo al concupiscibile e avrò la tristezza. Se invece non mi domina, che cosa avrò? Avrò un moto per combattere questo male arduo presente. Che cos’è questo moto? La collera. La collera è quel moto dell’irascibile di fronte a un male arduo presente. Immaginate di nuovo un soldato in battaglia, che è audace quando il male è assente; ma una volta che entra in battaglia è fondamentale la collera, perché è la collera che mi permette di lottare contro questo male arduo che mi si è fatto presente.

Dunque, questi sono i movimenti dell’irascibile. Abbiamo visto i movimenti fondamentali del concupiscibile, amore e odio. E poi a seconda che si tratti del bene o del male, e che sia presente o assente, abbiamo visto il desiderio (per il bene assente), la fuga (per il male assente), il piacere e la gioia (per il bene presente), la tristezza (per il male presente).

Invece, nell’irascibile abbiamo visto due movimenti per il bene arduo assente: speranza e disperazione; due movimenti per il male arduo assente: timore e audacia. E poi di fronte al bene arduo presente, ci ricongiungiamo al concupiscibile con il gaudio, il piacere, la gioia. Di fronte al male arduo presente, invece, abbiamo due movimenti: la tristezza e la collera, che combatte questo male.

Questa è tutta la sfera del nostro appetito sensibile nelle sue due dimensioni, concupiscibile e irascibile. Poi noi abbiamo tutta una serie di sottodistinzioni che in questo caso non ci interessano.

Due considerazioni e chiudiamo questo incontro. La prima. Da questo punto di vista comprendete che le passioni non sono né buone né cattive: ci sono. Uno potrebbe dire: “il timore è cattivo”. No, dipende. C’è un timore buono e un timore non buono. La collera può essere molto buona o può essere non buona. Che cosa determina se sono un bene o se sono un male? Se rientrano o meno nell’ordo rationis, nell’ordine della ragione.

Tornando all’immagine dell’auriga con i suoi cavalli, questi due cavalli non sono né buoni né cattivi, dipende da come e quanto l’auriga li riesce ad armonizzare nell’insieme. Non nell’eliminarli, non nel lasciarli a un fai-da-te, ma nel farli rientrare secondo un ordine di ragione. Nel caso dell’auriga, l’ordine di ragione è poter avanzare tenendo i cavalli sotto controllo. Ma sotto controllo non vuol dire che devono essere fermi; devono essere fermi quando devono essere fermi, devono andare al trotto quando devono andare al trotto, devono andare al galoppo quando devono andare al galoppo.

Ancora, un altro aspetto fondamentale – la prossima volta ripartiremo da qui – è che la passione appartiene alla perfezione dell’atto umano. Questo è un dato importantissimo. La perfezione dell’atto umano non è l’assenza delle passioni, ma il farle funzionare all’interno di un ordine. E dunque un atto umano è tanto più perfetto in quanto umano non solo perché è retto dal punto di vista delle facoltà della ragione e dell’intelletto, ma anche nella misura in cui riesce a far entrare queste dinamiche delle passioni che abbiamo visto all’interno di questo atto compiuto secondo l’ordine di ragione.

Dunque, comprendiamo come la vita morale dell’uomo sia un continuo lavorare anche precisamente sull’appetito sensibile, il quale a volte è sotto misura, a volte è sopra misura. E questa integrazione delle passioni nella nostra umanità è un bene, non è un male. L’uomo virtuoso non è un uomo senza passioni, è l’uomo che si serve delle sue passioni per farle servire al bene proprio della persona, al bene completo. Abbiamo visto che la vocazione dell’uomo è la beatitudine. I beni intermedi sono pur sempre beni nella vita dell’uomo. Ma tutto questo in qualche modo richiede che nella perfezione dell’atto umano entrino le passioni.

La prossima volta vedremo la moralità delle passioni, come esse influenzano, entrano nell’atto umano e dunque come influenzano l’atto umano disordinato, il peccato.



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