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ORA DI DOTTRINA / 106 – La trascrizione

L’ignoranza – Il testo del video

L’ignoranza ha delle ripercussioni sulla responsabilità della persona nel compiere un atto cattivo. C’è un’ignoranza che è essa stessa peccato. E c’è il peccato per ignoranza. Tre tipi di ignoranza: antecedente, concomitante, conseguente.

Catechismo 03_03_2024

Proseguiamo la nostra riflessione sui peccati. L’altra volta vi accennavo che nell’atto morale, quindi anche nell’atto morale cattivo, come il peccato, chiaramente l’agente principale è la volontà. Ma non dobbiamo mai dimenticare che la volontà è strettamente correlata e legata all’intelligenza e alla nostra sensibilità, alla nostra affettività, a tutta la dimensione del concupiscibile e dell’irascibile.

Oggi voglio soffermarmi soprattutto sulla questione dell’intervento della nostra ragione, della nostra intelligenza nel peccato, in particolare focalizzandomi sul grande tema dell’ignoranza. È un tema molto importante. La teologia morale, la filosofia morale e anche il diritto hanno avuto sempre molto a cuore questo tema, perché ha delle ripercussioni importantissime sulla responsabilità, sulla colpevolezza della persona nel compiere un atto cattivo. E oggi in particolare c’è una tendenza a ritenere che l’ignoranza sia una sorta di “ottavo sacramento”. Cosa vuol dire? Vuol dire che laddove gli altri sette sacramenti non arrivano, l’ignoranza scusa tutto e sistema tutto: non è così.

Dividiamo in due parti questa ora di dottrina per focalizzare meglio questo aspetto. La prima parte riguarda l’ignoranza in quanto essa stessa peccato; e poi vediamo il peccato per ignoranza, come l’ignoranza influisca sul peccato.

Dunque, vediamo l’ignoranza per sé stessa come peccato. L’ignoranza e l’errore possono essere essi stessi peccato. E lo sono nella misura in cui, chiaramente, vi partecipa la volontà, anche per omissione. È quell’esperienza, che tutti abbiamo, per cui la nostra volontà frena l’intelligenza nel cercare qualcosa che potrebbe non essere utile, conveniente o la spinge in una certa direzione per raggiungere appunto qualcosa che è ritenuto conveniente, utile, ma non per questo realmente buono, ordinato.

Anzitutto, distinguiamo tra l’ignoranza e l’errore, o tra “ignoranza privativa” e “ignoranza positiva”. Che cos’è l’ignoranza privativa o più generalmente ignoranza? È l’assenza di un sapere possibile. Cosa vuol dire “possibile”? Vuol dire che ho la facoltà di intendere e di volere; se sono momentaneamente privo di questa facoltà, perché sto dormendo o, in modo più pesante e definitivo, per una menomazione psichica, è chiaro che non c’è la possibilità di sapere. Oppure a volte può non esserci una possibilità concreta: vorrei conoscere qualcosa, ma non ne ho la possibilità, non riesco a venirne a capo.

Quindi, l’ignoranza è l’assenza di un sapere possibile, ma anche di un sapere conveniente. Che cosa intendiamo qui per convenienza? Intendiamo un sapere che deve trovarsi nel soggetto, qualcosa che quindi è legato a una conoscenza fondamentale, anzitutto nel soggetto in quanto persona: in questo caso, le verità della vita morale, perché le verità morali riguardano l’uomo in quanto uomo. E dunque conoscerle, volerle conoscere, se è possibile e non ci sono delle menomazioni gravi, è doveroso. Oppure, potremmo dire lo stesso dell’uomo in quanto essere sociale, della conoscenza dei suoi doveri morali, della vita morale dell’uomo in comunità; o ancora, dell’uomo in quanto esercita una professione: ci sono delle cose che un medico è tenuto a sapere, mentre un agricoltore non è tenuto a saperle, e viceversa.

Dunque, c’è una conoscenza e un sapere possibile e conveniente all’uomo in generale e anche in particolare, per quel che è tenuto a sapere per la sua condizione di vita, se è padre, se è religioso, se è sacerdote, per la professione che fa, eccetera. L’assenza di questa conoscenza conveniente e dovuta non è una semplice mancanza: è una privazione. Doveva esserci e non c’è. Quindi l’ignoranza, appunto, privativa è la privazione di una conoscenza che doveva esserci, che era conveniente a quel soggetto.

Poi abbiamo l’ignoranza positiva, che si chiama anche errore. L’errore è un giudizio falso. Un giudizio falso è molto grave, perché ogni uomo è tenuto ad arrivare a un giudizio vero, soprattutto su quelle cose che convengono alla sua natura di uomo o alle sue condizioni specifiche. Ci sono svariate condizioni, svariate situazioni che ci portano colpevolmente all’errore. Noi tante volte pensiamo “è un errore, ma dov’è il problema morale?”. Non stiamo parlando evidentemente di un errore in un’espressione nel compito in classe di matematica, ma si capisce che per un ingegnere sbagliare un calcolo può comportare una responsabilità enorme. Stiamo parlando degli errori che riguardano le conoscenze convenienti secondo il senso che abbiamo detto prima.

Ora, a volte noi responsabilmente ci poniamo in situazioni o non ci togliamo da situazioni che favoriscono e alimentano questi errori. Per esempio, influenze sbagliate di persone o di strumenti, di mezzi di comunicazione, che veicolano un pensiero comune che ci influenza. E se noi ci esponiamo, abbiamo una responsabilità, una colpevolezza negli errori conseguenti. Pensiamo anche a quelle influenze affettive non dominate, per cui per una tendenza affettiva tendo a dar credito a una persona che influenza in me un certo errore. Anche sulla questione dell’errore, come vediamo, non c’è semplicemente qualche cosa di accidentale; l’errore è spesso costruito, alimentato da una serie di scelte che noi facciamo e anche da una serie di inadempienze.

Dunque, oggi più che mai bisogna ricordarlo: vige un obbligo morale di vigilanza sul nostro modo di pensare. Detto molto in soldoni: non possiamo mai accontentarci di un “ma si dice così, ma l’ha detto la televisione, ma ho sentito che…”. Un errore causato da questi mezzi –  quando non c’è da parte della persona una volontà di conoscere realmente il vero, ciò che conviene alla nostra natura umana, ma lasciarsi portare dal sentire comune, le mode, eccetera – è colpevole. Non possiamo giustificarci dicendo: “Ma l’ha detto la televisione, quindi sono giustificato”. Ma io cosa ho fatto, primo, per sottrarmi a quell’influenza e, secondo, per verificarla? Non stiamo parlando, evidentemente, di qualsiasi tipo di argomento; non è che possiamo dominare tutto lo scibile, ma parliamo di quelle conoscenze convenienti alla natura umana e quindi costitutive.

Pensiamo, come errore, per esempio all’aborto. È grave giustificarsi per il male morale dell’aborto dicendo: “Ma in televisione hanno detto che non è l’uccisione di un bambino”. E io porto una responsabilità sia nell’essermi esposto a certe fonti di disinformazione sia anche per il fatto che mi sono “adagiato”, non ho messo in moto le mie risorse intellettive nella ricerca di ciò che è vero.

Questo è un primo aspetto, che è connesso con una distinzione piuttosto classica di origine agostiniana, che è quella tra ragione superiore e ragione inferiore. Che cosa s’intende? S’intende una sorta di gerarchia di oggetti della conoscenza. La ragione superiore implica quelle conoscenze più importanti, più convenienti alla natura umana. Via via, man mano che si scende la scala, la ragione inferiore riguarda quelle conoscenze più “periferiche” che potrebbero essere fondamentali per una persona che esercita una certa professione (se io faccio il nutrizionista, è chiaro che è importante conoscere dalla A alla Z tutte le differenze tra i nutrienti, o i bifidi, e i lattobacilli,...), mentre per altre professioni non è strettamente necessario. In linea generale, c’è una gerarchia delle conoscenze nella loro importanza.

Il problema – questo è un altro dato importantissimo su cui abbiamo una responsabilità – è  fuggire le questioni più importanti per occuparsi di quelle più superficiali. Cioè, quando è talmente tanto il nostro interesse per le questioni più superficiali che non abbiamo più il tempo e l’interesse per quelle più importanti. Come dire: le verità, da una parte, e la curiosità, dall’altra parte. L’uomo è molto abile a costruirsi e a indagare molto le verità della ragione inferiore, trascurando quelle della ragione superiore. Un esempio per capirci: io posso essere il più grande esperto al mondo di ragni o di vini; posso sapere di tutto e di più dei vini, ma se io trascuro le verità della ragione superiore, quelle verità che riguardano la vita morale dell’uomo, il suo fine ultimo, la sua chiamata alla comunione con Dio, le sue relazioni con il prossimo, ecco che io sono colpevole di questa ignoranza.

Questo è un po’ in generale il tema che riguarda l’ignoranza e l’errore che possono essere essi stessi dei peccati.

Adesso invece prendiamo in considerazione quell’ignoranza che si accompagna per certi versi al peccato, o il peccato per ignoranza. Il primo lo potremmo chiamare peccato di ignoranza, questo invece è il peccato per ignoranza.

Classicamente si distinguono tre tipi di ignoranza: quella antecedente, quella concomitante e quella conseguente. Per ignoranza antecedente, s’intende quell’ignoranza che alcuni chiamano involontaria, più classicamente “invincibile”, che determina poi una scelta di per sé sbagliata: non sapere qualche cosa, per cui compio un atto moralmente disordinato, non sapendo. Ma questa ignoranza, nella misura in cui è invincibile, quindi non volontaria, non la potevo evitare, scusa dalla colpa. L’atto seguente, che pure dal punto di vista della sua materialità indica chiaramente qualcosa di moralmente sbagliato, è scusato da questa ignoranza. Questa ignoranza, in quanto invincibile, non è peccato essa stessa, in quanto appunto non voluta e non evitabile, e quindi dà origine a un atto che non è peccaminoso. Precisazione fondamentale: perché questo tipo di ignoranza antecedente sia invincibile, involontaria, è necessario che sia totalmente involontaria. Cioè, deve essere appunto un’ignoranza che non era evitabile; e deve trattarsi di un’ignoranza, altra precisazione che è bene fare, che non sia essa stessa un accecamento frutto di abitudini al peccato. Perché? Perché ci può essere realmente un accecamento, un oscuramento del lume della nostra ragione, che però è l’esito di tutta una serie di scelte colpevoli che hanno radicato un vizio, un vizio grave che offusca la nostra ragione. In questo caso, si capisce che questo tipo di ignoranza non è un’ignoranza involontaria: è un’ignoranza che è stata costruita da una serie di atti volontari cattivi.

Dunque, la prima è l’ignoranza antecedente che, se invincibile, scusa dal peccato.

Poi abbiamo un’ignoranza concomitante che non cambia la valutazione dell’atto peccaminoso che segue. Cosa vuol dire concomitante? È quell’ignoranza che si ha quando si compie un atto moralmente cattivo e lo si sarebbe compiuto sia che si sapeva sia che non si sapeva che era un atto cattivo. Per esempio, se io decido di uccidere una persona posso non commettere l’atto materiale perché ne uccido un’altra oppure sparo a un capriolo, pensando che fosse quella persona, ma l’ignoranza di fatto che quello è un capriolo e non una persona non cambia la malizia del mio atto: io ho ucciso un capriolo, ma ho tutta la malizia dell’atto dell’omicidio.

Poi abbiamo l’ignoranza volontaria conseguente, che è un po’ più articolata e complessa. Questo tipo di ignoranza trasmette la sua volontarietà all’atto che causa. Per cui l’atto è motivato da un’ignoranza, l’ignoranza c’è. Ma questa ignoranza, essendo conseguente, è colpevole e dunque trasmette la sua malizia all’atto o, come vedremo, in un caso può addirittura aumentarla.

Classicamente, questo tipo di ignoranza si suddivide in: crassa o supina, cioè si trascura di sapere ciò che si doveva sapere. Quindi, effettivamente, quando ho compiuto un atto, non sapevo; ma non sapevo perché ho trascurato di sapere ciò che dovevo sapere, ciò che ero tenuto a sapere. Attenzione, ci sono delle sfumature dell’ignoranza crassa o supina: può essere un’ignoranza avvertita in modo un po’ confuso, ma comunque dovuta a una mancanza della volontà, che non ha voluto conoscere integralmente, fino in fondo, o per nulla, ciò che doveva sapere. E di nuovo qui abbiamo i due ambiti: ciò che riguarda l’uomo in quanto uomo, quindi per esempio la persona che trascura la conoscenza di Dio, se e come Dio si è rivelato, se e come Dio ha disposto le cose. Oppure l’ignoranza di una persona che si sposa, che trascura di conoscere i doveri del suo matrimonio. Oppure, a livello professionale, un ingegnere che trascura di sapere le cose fondamentali del suo lavoro: non potrà dire “io non lo sapevo”, perché doveva saperlo.

Poi c’è, ancora più grave, l’ignoranza cosiddetta affettata. Che cos’è l’ignoranza affettata? Cioè, si vuole trascurare la verità per agire “più liberamente”: io so che se venissi a sapere certe cose dovrei cambiare, dovrei evitare una certa cosa; e quindi, siccome sento odore di cambiamento, scientemente non voglio sapere. È un atteggiamento molto comune questo “non voler sapere” ciò che dovrei sapere. Questo è un atteggiamento molto più colpevole e a volte può addirittura accrescere la gravità dell’atto che consegue a questa ignoranza.

Dunque, nel primo caso, l’ignoranza crassa o supina, trascuro di sapere per una negligenza colpevole. In questo secondo caso, l’ignoranza affettata, voglio trascurare per evitare di…

Un taglio un po’ diverso è quello dell’inconsiderazione. Che cos’è l’inconsiderazione? Si tratta dell’inconsiderazione di ciò che si sa. È qualcosa che sappiamo e in questo differisce dall’ignoranza: so una certa cosa, ma questa conoscenza non entra in gioco quando si tratta di deliberare, di fare una scelta. È un’azione fatta in modo sconsiderato: pur sapendo certe cose, non entrano in gioco per la mia sconsideratezza o per la mia superficialità. Anche questa chiaramente non scusa dal peccato, da un eventuale peccato.

Ora, con queste ulteriori distinzioni che abbiamo visto, dovrebbero essere chiare, dunque, l’ignoranza antecedente, l’ignoranza concomitante e l’ignoranza conseguente.

Un’altra distinzione di ignoranza è quella tra ignoranza di diritto e ignoranza di fatto. Generalmente, l’ignoranza di diritto, cioè dei principi, la si considera sempre come conseguente, dunque colpevole. L’ignoranza di diritto, cioè di quei principi e norme che sono tenuto a sapere, non scusa mai dal peccato.

Diversa è l’ignoranza di fatto. L’ignoranza di fatto è quella per cui, pur avendo chiaro un principio, ignoro se un dato atto in quella circostanza concreta sia lecito o no. Facciamo un esempio semplice. Pensiamo alla contraccezione. Io posso sapere che la contraccezione è un peccato, però non so se l’uso di un determinato ausilio, di un determinato farmaco è o non è contraccettivo. Qui torniamo a monte. Perché non lo so? Perché ho trascurato di saperlo,  non lo voglio sapere perché altrimenti mi comporterebbe una serie di cose, oppure ho cercato di capirlo e non sono riuscito, il che apre un altro discorso.

Dunque, ci sono ovviamente situazioni molto diverse e ognuna va considerata nella sua fattispecie, ma il principio è chiaro: l’ignoranza non scusa sempre, anzi è raro che l’ignoranza scusi. È raro che ci troviamo di fronte a un’ignoranza invincibile, soprattutto per quanto riguarda i principi fondamentali della ragione superiore, per usare la distinzione che abbiamo introdotto prima, perché tutti gli uomini possono arrivare a conoscere le cose fondamentali, l’esistenza di Dio, il principio “compi il bene, evita il male”, alcuni principi fondamentali della legge naturale; altri più dettagliati sono tuttavia difficili da non sapere,  da non conoscere, molto più spesso si tratta di una negligenza nostra nel non dedicarci a ciò che conta nella vita, a ciò che è importante nella vita, per dedicarci ad altro. Oppure una nostra volontà di non conoscere, di non sapere.

La prossima volta proseguiamo con questa riflessione sull’atto morale cattivo, quindi il peccato.



ORA DI DOTTRINA / 106 – Il video

L’ignoranza

03_03_2024 Luisella Scrosati

L’ignoranza ha delle ripercussioni sulla responsabilità della persona nel compiere un atto cattivo. C’è un’ignoranza che è essa stessa peccato. E c’è il peccato per ignoranza. Tre tipi di ignoranza: antecedente, concomitante, conseguente.

ORA DI DOTTRINA / 105 – La trascrizione

La specie dei peccati – Il testo del video

25_02_2024 Luisella Scrosati

Ogni peccato comporta che l’uomo si orienti in modo disordinato verso un bene creato, voltando le spalle a Dio. Ogni atto morale ha un oggetto che lo specifica. Peccati carnali e peccati spirituali. Peccato mortale e peccato veniale.