Le parole hanno un senso. Scola incontra la stampa
Dialogo sul Giornalismo, l'arcivescovo di Milano incontra Mario Calabresi, direttore de La Stampa e Alessandra Sardoni (La7) per riportare il giornalismo alla realtà che descrive. Spesso si usano parole altisonanti o si enfatizzano eventi e personaggi solo per attirare pubblico. Ma questa strategia non paga ed è un'evasione dalla realtà.
La bulimia informativa degli ultimi anni rischia di svalutare il significato di alcuni termini e di far perdere di vista il necessario legame tra le parole e le cose. Il fiume di parole dei media è fatto di “supertestimoni” sbandierati ai quattro venti e che spesso sono semplici passanti in cerca di notorietà. L’enfasi nelle cronache, che porta il giornalista a definire “giornate storiche” situazioni, eventi, fatti assolutamente di routine e che magari hanno cadenza quotidiana, alla lunga non paga. Le inchieste non si realizzano in mezzo pomeriggio ma richiedono approfondimento, valutazione, ponderazione, accurato vaglio delle fonti. Il tempo della meditazione è importante e spesso viene azzerato colpevolmente dall’ossessione dell’audience e dello share.
Questi solo alcuni degli spunti emersi dal Dialogo sul giornalismo che ieri hanno intrattenuto l’arcivescovo di Milano, Cardinale Angelo Scola, e il direttore de La Stampa, Mario Calabresi, stimolati da Alessandra Sardoni, giornalista televisiva de La7 e presidente dell’Associazione della stampa parlamentare.
"Per un giornalista, riflettere sulla parola è un po’ come interrogarsi sull’aria: pare un tema scontato", ha esordito don Davide Milani, direttore dell’Ufficio comunicazioni diocesano che ogni anno organizza l’incontro tra l’arcivescovo di Milano e i giornalisti nella ricorrenza del loro patrono, san Francesco di Sales. L’incontro di ieri era stato in realtà programmato, come di consueto, alla fine di gennaio, in concomitanza con quella ricorrenza, ma l’elezione di Mattarella, sabato 31 gennaio, aveva costretto gli organizzatori a posticiparlo.
Sullo sfondo delle riflessioni di Scola e Calabresi lo scenario mediatico dei nostri tempi, contrassegnato dalla moltiplicazione dei canali di comunicazione e dalla conseguente necessità di riempirli, spesso con contenuti discutibili che rischiano di alterare il significato delle cose e di produrre frequenti distorsioni della realtà.
La Sardoni ha aperto il dibattito proprio ricordando che "l’aspetto negativo della comunicazione appare quando le parole utilizzate sono tante, ma svuotate del loro significato di corrispondenza alla realtà". Ciò accade ormai con sistematicità e si tratta di una dinamica provocata anche "dalla necessità continua di attirare l’attenzione: spesso il pubblico cambia canale se alla cronaca dei fatti non si affianca la drammaturgia della narrazione".
Il leitmotiv del messaggio del Cardinale Scola si è collegato proprio a queste considerazioni introduttive: "Le parole sono troppe quando non sono vere. Le sentiamo come eccessive se non arrivano alla realtà profonda e diventano involventi, talvolta fuorvianti. L’ha sottolineato anche Papa Francesco, incontrando i giornalisti di Tv2000 a metà dicembre. Allora il Sommo Pontefice disse che il primo compito della stampa è risvegliare le parole. E per risvegliarle l’unica strada è renderle rivelative della realtà: la comunichino e non pretendano di crearla". Un’esigenza, ha aggiunto l’arcivescovo di Milano, cui è chiamata anche l’Europa: "Il nostro mondo geopoliticamente molto complesso, ora esposto a una possibilità di tragedia non più così lontana, e l’Europa smarrita, devono trovare un nesso forte tra parola e realtà. Devono chiamare le cose per nome, semplificare e non usare gli stessi termini per realtà radicalmente diverse".
Secondo Scola, quindi, occorre tornare a legare pienamente le parole alle cose: "La realtà è intellegibile e noi siamo capaci di ospitarla". Il diritto delle persone ad essere correttamente informate non va peraltro inteso come un profilo giuridico fine a se stesso, bensì attraverso il nesso funzionale tra la conoscenza dei fatti e la qualità dell’esistenza: "Occorre più conoscenza dei fatti per non far vincere la paura".
Priorità degli operatori dell’informazione deve dunque essere quella di semplificare. L’arcivescovo l’ha spiegata evocando Michelangelo Buonarroti, il quale sosteneva di limitarsi a togliere, dal blocco di marmo grezzo, ciò che era necessario per svelare la figura desiderata. Gli ha fatto eco Mario Calabresi, citando Beppe Fenoglio "che scriveva e poi alleggeriva, ripuliva, perdeva tempo a trovare l’esatta parola che corrispondesse alla realtà da raccontare". Una dinamica oggi poco frequente, secondo il direttore de La Stampa, "nella ricerca di indignazione, di suscitare maggiori emozioni, con l’obiettivo di aumentare ascolti e vendite". Ma non bisogna cedere alla sfiducia e considerare irreversibili certi fenomeni di allontanamento della narrazione dalla realtà effettuale. Modelli di maggior corrispondenza tra racconto e fatti veri funzionano: "Buzzfeed, un sito che registra centinaia di migliaia di visite, - ha sostenuto Calabresi - ha rilevato che gli articoli con titolo eccessivamente ad effetto non vengono condivisi dai lettori. Questi ultimi condividono più frequentemente notizie con titoli didascalici i cui testi mantengono la promessa annunciata. E la condivisione, oggi, è il vero giudizio di valore del lettore".
La spettacolarizzazione delle emozioni, la drammatizzazione della sofferenza, l’ostentazione delle pulsioni, anche di quelle più degradanti, sembrano elementi ormai imprescindibili del mondo dell’informazione. "I media italiani – ha aggiunto Calabresi - si sono illusi che ingrandire fatti e avvenimenti pagasse,interpretando sempre il calo delle vendite con la crisi economica o la crescita del digitale". In realtà il pubblico mostra una crescente insofferenza nei confronti di questa disumanizzazione della macchina di produzione e difusione delle notizie e i giornali si vendono meno e i telegiornali sono sempre meno seguiti anche perché sono fatti male. E Scola su questo è stato molto perentorio: "Le circostanze che determinano i fatti sono spesso oscure e si capiscono solo col tempo. Lo scavo che i media devono compiere è assumersi la responsabilità di far emergere il ragionevole. Non scandalizzandosi delle paure o della rabbia, ma impedendo che diventino rancore su cui si innestino le ideologie che nasconde la realtà". Inevitabile il riferimento alla strage compiuta nella redazione di Charlie Hebdo: "Nulla può giustificare quella carneficina – ha sostenuto l’arcivescovo di Milano - e non si può contrapporre la libertà di espressione alla libertà religiosa: sono plurali ed esigono di essere realizzate simultaneamente. La chiave è la responsabilità e il punto d’unità è l’io, il soggetto coinvolto".