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Le eresie trinitarie - Il testo del video

Monarchianismo, sabellianismo, patripassianismo, arianesimo, subordinazionismo, macedonianesimo, triteismo: fin dai primissimi secoli la Chiesa ha dovuto lottare con le eresie trinitarie. Un'occasione comunque per approfondire il Mistero della Santissima Trinità.

Catechismo 23_04_2023

Proseguiamo la nostra riflessione sul grande dogma della Santissima Trinità. Oggi, come preannunciato domenica scorsa, offriamo una panoramica di quelle che sono state le eresie trinitarie, soprattutto dei primi secoli della storia della Chiesa. Perché è importante questa riflessione? Perché, nella Provvidenza divina, le eresie sono, per così dire, concesse da Dio, cioè Dio le permette in qualche modo.

Come sempre, Dio permette un male per trarne un bene maggiore. Ed effettivamente, guardando a ritroso nella storia della Chiesa, possiamo vedere come le grandi e piccole eresie e tutto il tormento che in qualche modo hanno causato è servito. È servito sotto almeno due punti di vista: il primo chiaramente per provare la fede delle persone, provarle nella loro fedeltà, nella loro adesione alla verità rivelata, a Dio; secondariamente, anche per promuovere un maggiore approfondimento delle verità di fede.

Spesso le eresie sono state uno spunto importante, dal punto di vista storico, per mettere in moto tutta una serie di risorse naturali e soprannaturali con le quali la Chiesa - attraverso delle persone ben precise, dei Dottori, dei Pontefici, dei mistici - ha potuto guardare più in profondità la verità della fede e quindi saperla poi anche annunciare in modo più profondo, più completo. È chiaro, non sto affermando che l’eresia genera la verità, questo è evidente. Ma, di fatto, quando le verità di fede o morali vengono messe in discussione ecco che si mette in moto tutto un meccanismo, delle risorse, delle persone concrete per cercare di difendere, custodire, salvaguardare queste verità. E in questo modo la verità viene approfondita, precisata e così viene poi tramandata. Noi oggi riceviamo il frutto di questo lavorio: quando noi lo guardiamo a secoli di distanza ci sembra la cosa più ovvia, più normale, con questi eretici che sembravano delle persone un pochino naif o fuori di testa. Invece non è così. L’eresia ha sempre un aspetto ben diverso, si presenta come qualche cosa di più ragionevole, maggiormente comprensibile, più facile da cogliere, più conforme, almeno apparentemente, alla logica umana, al modo di essere degli uomini.

Andiamo dunque a conoscere un po’ le eresie trinitarie e in particolare, principalmente, vediamo il cosiddetto monarchianesimo o monarchianismo. Che cosa vuol dire? Vuol dire che c’è un’enfatizzazione, un eccesso di difesa, per così dire, di preservazione dell’unità divina a discapito della Trinità e della distinzione tra le tre Persone divine. Sotto questo grande cappello vedremo che ci sono delle sfumature, delle posizioni un pochino diverse.

Abbiamo il monarchianismo cosiddetto dinamista o dinamico o ancora adozionista. Possiamo trovarlo con tutte queste aggettivazioni diverse. In che cosa consiste? Storicamente si ritiene che il capostipite di questa deviazione ereticale sia un tale Teodoto di Bisanzio (II sec.), che lo si ritrova a predicare a Roma, durante il pontificato di papa Vittore I (189-199);  siamo proprio allo scadere del II secolo dopo Cristo, tra il 190 e il 200 circa. Che cosa ha in sostanza questo tipo di impostazione? Lo si capisce dall’aggettivazione di “adozionista”, che dovrebbe aiutare a capire la prospettiva, secondo cui, in sostanza, Gesù sarebbe stato adottato dal Padre al momento del Battesimo nel Giordano.

Si tenga presente la scena evangelica, quando si sente la voce del Padre che dice: «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (cfr. Mt 3,17; Lc 3,22; Mc 1,11).

Questa scena viene letta come il momento di adozione, in qualche modo, della figura di Gesù. Questa è un’eresia cristologica, cioè che ha a che fare con Gesù Cristo, con la sua realtà, che avremo poi modo di approfondire, quando parleremo delle due nature nell’unica persona. Ma il riflesso è chiaramente trinitario, perché questo significa che nella Trinità non c’è propriamente un Figlio coeterno, consostanziale al Padre, ma è in qualche modo un uomo adottato, assunto, in un secondo momento. Da questo punta di vista, si parla anche in questo caso di un monarchianismo, cioè si ritiene che Dio sia uno, non solo nella sua sostanza divina, ma anche un’unica persona; e quella che si ritiene essere invece la seconda Persona non è egli stesso Dio, non è la seconda persona della Santissima Trinità, è invece una creatura adottata dall’unico Dio e dall’unica persona che è il Padre.

Un altro filone, sempre all’interno del monarchianismo, cioè dell’enfatizzazione dell’unità divina a esclusione della Trinità, è il monarchianismo modale. Il monarchianismo modale è un po’ più complesso, vede più “attori” e trova i suoi padri nel vescovo di Smirne, Noeto (II-III sec.) - il più dottrinale, speculativo - e quello più operativo nel predicatore greco Prassea. Noeto e Prassea sono quindi un po’ la “coppia originaria” che dà vita a questa corrente eretica. In che cosa consiste sostanzialmente questa eresia?

Il termine monarchianismo modale ci dice che le tre Persone della Santissima Trinità, in realtà, non sono tre Persone distinte, ma sono tre modi o tre energie o tre modalità, con cui  l’unico Dio, che sarebbe anche un’unica Persona appare, si mostra o, per certi versi, diviene (a seconda delle diverse correnti). Dunque, questa eresia colpisce chiaramente al cuore la dottrina trinitaria, che invece afferma appunto le tre Persone distinte nell’unica sostanza divina. Qui invece abbiamo la negazione delle tre Persone che diventano tre modi non solo dell’unica sostanza divina, ma dell’unica persona divina.

Il personaggio più conosciuto all’interno del modalismo o monarchianismo modale è senza dubbio Sabellio, da cui viene anche la corrente del sabellianesimo (o sabellianismo), che altro non è appunto che un modalismo. Siamo sempre all’inizio del III secolo d.C. e anche Sabellio predica a Roma, un po’ più tardi (intorno al 215) rispetto alla figura di Teodoto. E sostiene appunto quanto ci siamo detti.

I papi hanno colpito queste eresie, in particolare il sabellianesimo. Sotto papa Leone Magno (390 ca-461) abbiamo una lettera, che si chiama Quam laudabiliter (447), nella quale viene appunto colpita l’eresia modalista. Prendiamo come riferimento il Denzinger al n. 284: al primo capitolo [della Quam laudabiliter], viene dimostrato «quanto empia sia la concezione, circa la Divina Trinità, di coloro che asseriscono che la persona e del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo sia unica e medesima. Come se Dio ora venisse chiamato Padre, ora Figlio, ora Spirito Santo». Cioè, l’unica persona viene chiamata in tre modi diversi: non sono tre Persone, perché questi tre nomi che le vengono dati corrispondono ai modi della manifestazione dell’unica persona divina, secondo l’eresia modalista. «E non sia uno colui che ha generato, un altro colui che è stato generato, un altro colui che è proceduto da ambedue. Bensì la singolare unità sia da prendersi certo in tre vocaboli, ma non in tre Persone [è la negazione delle tre Persone]. Essi hanno assunto questo genere di bestemmia dalla concezione di Sabellio, i cui discepoli sono giustamente chiamati patripassiani».

Qui introduciamo un concetto in più: chi sono i patripassiani? Ce lo spiega san Leone Magno: «Poiché se il Figlio è il medesimo che il Padre, la croce del Figlio è la Passione del Padre. E tutto quanto il Figlio nella condizione del Servo, obbedendo al Padre, ha sostenuto, lo ha accolto completamente in Sé il Padre medesimo. Ciò è senza dubbio contrario alla fede cattolica».

In sostanza, se per i modalisti, per Sabellio (III sec.), Dio non è uno solo nella sua sostanza, nella sua natura, ma è anche una sola persona, mentre quelli che noi chiamiamo Padre, Figlio e Spirito Santo sarebbero delle modalità, allora chi è morto in croce, chi ha sofferto la Passione? L’unica persona, quella del Padre. Ecco perché patripassianismo, cioè è il Padre che ha sofferto, non essendoci una distinzione tra la persona del Padre e la persona del Figlio. Quindi, il monarchianismo modale o modalismo è anche chiamato patripassianismo per questa conseguenza che proviene dalle premesse che abbiamo detto. Quindi vediamo come la Chiesa da questo punto di vista abbia condannato entrambe le posizioni.

Ancora, sotto papa Giovanni III (+574), siamo nel 561, abbiamo il primo sinodo di Braga, in Portogallo, dove si pronunciano alcuni anatemi proprio contro alcune eresie, tra cui quella sabelliana e quella di Priscilliano, che adesso vediamo. In particolare, al numero 451 del Denzinger, si dice: «Se qualcuno non professa che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo - tre Persone - sono di una sola sostanza, forza e potere, come insegna la Chiesa cattolica e apostolica, ma dice essere un’unica persona e solitaria, così che è lo stesso sia il Padre che il Figlio e lo stesso essere anche lo Spirito Paraclito, come dissero Sabellio e Priscilliano, sia anatema». Di nuovo, vedete che viene colpita l’indistinzione delle tre Persone, cioè in sostanza l’affermazione non dell’unità in Dio, che chiaramente anche noi affermiamo, ma l’unità delle persone, della persona: un’unica persona, anziché una Trinità delle Persone, distinte tra loro proprio per la relazione, come abbiamo visto domenica scorsa.

Ancora, molto più tardi, nel Concilio di Firenze, la famosa bolla Cantate Domino, di cui abbiamo già parlato, prende di mira e condanna l’eresia modalista. E dice: «Condanna quindi Sabellio, che confonde le persone ed elimina completamente la distinzione reale delle stesse. Condanna gli ariani, gli eunomiani, i macedoniani, secondo i quali solo il Padre è il vero Dio, collocando il Figlio e lo Spirito Santo nell’ordine delle creature. Condanna anche chiunque altro introduca gradi o diseguaglianze nella Trinità».

Questi testi, adesso, ci aiutano a introdurre altre eresie. Vediamo un attimo la figura di Priscilliano e poi la condanna per chi introduce gradi o disuguaglianze nella Trinità, che è un altro filone ereticale all’interno delle eresie trinitarie.

Dunque, incominciamo con Priscilliano. Ci troviamo nella seconda metà del IV secolo, tra il 345 e il 385, che è l’arco di vita di Priscilliano, che si conclude con una condanna a morte, nel 385 appunto. Priscilliano recupera in qualche modo la posizione modalista di Sabellio: dunque non tre Persone, ma un’unica persona che si manifesta in tre modi, che noi chiamiamo Padre, Figlio e Spirito Santo. Priscilliano inserisce questa posizione sostanzialmente modalista in un mix di manicheismo e docetismo. Cosa vuol dire? Vuol dire che Priscilliano in qualche modo adottava anche delle posizioni manichee, cioè una dualità sostanziale tra un Dio buono e un’entità malvagia, dove questo Dio buono era un unico Dio e un’unica persona; e poi di docetismo (come abbiamo già visto, le eresie trinitarie e cristologiche spesso si richiamano), secondo cui in sostanza il Figlio, cioè Gesù Cristo, non è realmente Dio, in quanto non può essere introdotta, nella visione modalista, una seconda persona, perché c’è un’unica persona divina; e quindi il Figlio [secondo questa eresia] non è propriamente Dio.

Vediamo adesso invece un passaggio della bolla Cantate Domino del Concilio di Firenze, in cui si parla della condanna per chiunque «introduca gradi o diseguaglianze nella Trinità». Non solo la dottrina cattolica condanna coloro che negano le tre Persone, ma condanna anche coloro che in queste tre Persone introducono, come dire, dei gradi diversi, delle disuguaglianze. Invece, la dottrina cattolica afferma la distinzione delle Persone, non la disuguaglianza tra di loro. Dietro i termini si nasconde tutto un mondo, una realtà; i termini sono importanti non per esibire cultura ed erudizione, ma perché un termine indica, esprime e si riferisce a una realtà diversa. Dunque, qui prendiamo di mira il cosiddetto subordinazionismo. In qualche modo la parola aiuta a capire.

Il subordinazionismo ha conosciuto due direzioni: quella principale riguarda il Figlio, che viene considerato come partecipante della natura divina del Padre, ma a Lui, in qualche modo, subordinato. La dottrina cattolica non parla di una subordinazione del Figlio al Padre, attenzione. Parla di una generazione del Figlio dal Padre, ma una generazione eterna. Ricorderete quando abbiamo parlato del simbolo Quicumque vult, attribuito a sant’Atanasio: «Eterno il Padre, eterno il Figlio, eterno lo Spirito Santo. Signore il Padre, Signore il Figlio e Signore lo Spirito Santo. Onnipotente il Padre, onnipotente il Figlio, onnipotente lo Spirito Santo». Eccetera. Non c’è un subordine. C’è una relazione diversa: il Padre genera, il Figlio è generato. Ma non c’è appunto una relazione di subordinazione. Allora, qui, la forma storica di eresia - che vedremo quando ci occuperemo del Figlio e dell’Incarnazione -, una che ha avuto enorme diffusione, è stata quella dell’arianesimo.

Per l’arianesimo, il Verbo, cioè il Figlio, è inferiore al Padre. Ed è inferiore al Padre in quanto - attenzione - viene “generato/creato”, diciamo così, non come qualsiasi altra creatura, ma prima dei tempi. Dunque si pone una situazione intermedia tra la creatura vera e propria e la divinità increata, con una sorta di generazione che non è intesa come nel senso del dogma cattolico, ma come una generazione subordinata: il Padre è più grande e genera un Figlio con il quale condivide in qualche modo la Sua natura divina, ma [il Figlio] è subordinato, non ha quella perfetta uguaglianza nella divinità di cui abbiamo parlato. Dunque, vediamo che questo è un filone che è al contempo un’eresia trinitaria e cristologica, essendo coinvolta la seconda Persona della Trinità: i due aspetti sono chiaramente connessi.

Un altro filone riguarda invece la terza Persona. E qui abbiamo il cosiddetto macedonianesimo o anche pneumatomachia, che è un’eresia analoga a quanto abbiamo detto adesso, ma rispetto allo Spirito Santo. Cioè, lo Spirito Santo è in qualche modo come il Figlio che è considerato, nell’eresia ariana, creatura del Padre, una creatura però superiore, prima della creazione dei tempi; così lo Spirito Santo [nell’eresia macedoniana] è creatura del Figlio: dunque, vediamo che qui, nella Trinità, c’è una subordinazione del Figlio rispetto al Padre e dello Spirito Santo rispetto al Figlio. Ma questa è una deviazione dalla dottrina cattolica, dall’insegnamento della fede che ci dice che non c’è una subordinazione, perché l’unica divinità fa sì che non ci possa essere chiaramente un maggiore o un minore, un prima e un dopo, ma c’è invece una comunione di tre Persone distinte per le loro relazioni, ma assolutamente paritarie nella divinità, un unico Dio.

Dunque, sia l’eresia ariana che quella macedoniana sono due eresie: una cristologica, l’altra riguardante lo Spirito Santo; ne parleremo meglio quando ci focalizzeremo sul Figlio e sullo Spirito Santo, ma già dobbiamo anticiparle, perché hanno chiaramente una ricaduta trinitaria.

Un filone invece più tardivo, tipicamente medievale, è il triteismo. Ora, il triteismo viene fatto risalire storicamente a Giovanni Filopono (490ca-570). Filopono è un po’ il capostipite dei vari triteisti, che pure presentano in forma molto diversa questa dottrina eretica; non analizzeremo tutte le eresie medievali e triteiste, ma ci interessa il concetto di fondo. E cioè, c’è anche qui un’equivocazione, un’identificazione tra la natura e la persona, ma stavolta - mentre nel caso del monarchianismo questa confusione è data da un’enfasi spostata chiaramente sull’unità della sostanza divina a discapito delle tre Persone - è a discapito dell’unità divina, in favore della trinità delle Persone, che diventa però di fatto una trinità di divinità.

Cioè, in sostanza, l’unica natura divina è intesa dai triteisti non come un’unica sostanza, ma come la condivisione da parte di tre Persone di una natura, un po’ come - per capirci - per noi uomini. Noi uomini abbiamo la stessa natura, sennò non saremmo uomini; ma non abbiamo, non condividiamo la stessa sostanza: io sono una sostanza individua (io); un altro è un’altra sostanza che condivide la stessa natura umana, l’essenza dell’umanità. Ecco, questo ragionamento viene trasferito in sostanza alla divinità: la divinità è - per i triteisti - come se avessimo, anziché tre uomini, tre dèi, che però hanno un’unità che, a seconda dei vari autori, diventa un’unità morale, ma non un’unità numerica. Cerco di spiegare, semplificando.

Per l’insegnamento cattolico, quando parliamo degli uomini, se abbiamo un uomo, un altro uomo e un altro uomo ancora, abbiamo tre uomini: sono tutti e tre di natura umana, ma sono tre individui diversi, tre uomini. Quando parlo di Dio - e quindi del mistero della Trinità - se abbiamo una Persona divina, un’altra Persona e un’altra Persona divina, non abbiamo tre dèi: ho un unico Dio. Quindi, in questo senso, c’è anche un’unità numerica, perché in Dio non funziona, per così dire, la matematica: cioè in Dio 1+1+1 fa 1; negli uomini fa 3 e nelle altre creature fa 3, per capirci.

Nel triteismo abbiamo invece una sbagliata concezione della diversità delle Persone nella relazione, che è anche nella sostanza. Invece, non abbiamo tre sostanze divine, ma un’unica sostanza divina, un unico Dio.

È importante capire queste cose, anzitutto perché ci trasmettono la grande attenzione, la grande meticolosità che la Chiesa ha sempre avuto nei secoli per comprendere il mistero di Dio, le verità della fede e trasmetterle nella loro integrità, nella loro purezza, senza contaminare la verità. È una logica che a noi - come abbiamo detto tante volte, ma è importante ribadirlo - suona oggi tanto strana, nel senso che per noi queste sono cose accademiche, mentre l’importante è, come dire, amarsi gli uni gli altri: non funziona così. C’è una retta fede, un’ortodossia, che deve essere creduta, deve essere custodita, deve essere trasmessa con fedeltà, che è fondamentale per la nostra adesione a Dio, per la nostra salvezza.

Ed è altresì importante conoscere, per quanto ci è dato evidentemente, il mistero inesauribile della Santissima Trinità. Conoscere questo mistero perché è quello a cui saremo introdotti per tutta l’eternità. Dunque, si deve creare una sintonia tra la verità eterna a cui siamo chiamati e la conoscenza di quaggiù - che è una conoscenza tramite la fede, non ancora tramite la luce della beatitudine, ma tramite il lumen fidei, la luce della fede; non ci possono essere due cose completamente diverse, in contrasto, in contraddizione tra loro. Una è la forma incipiente, ma vera; l’altra è una forma altrettanto vera, ma piena. Piena per quanto riguarda l’uomo, che riceve il lumen gloriae, il lume della beatitudine.

La prossima volta proseguiamo con il commento al Credo.