Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Galdino a cura di Ermes Dovico

ECCLESIA

Le donne? Troppo importanti per fare il sacerdote

Il dibattito sulle donne sacerdote e il divieto della Chiesa cattolica a tale ordinazione non è di oggi. Già nella Chiesa primitiva, alle donne erano preclusi la guida delle comunità locali e il sacerdozio e ciò non sotto la pressione della cultura del tempo: tale divieto era invece una scelta consapevole. Che va cercata nello stesso Vangelo e nella natura e nella tradizione delle comunità cristiane.

Ecclesia 20_07_2014
Donna prete

Non vi è dubbio che fin dalle origini le donne hanno avuto un ruolo importante nella diffusione del Vangelo. Alcuni esegeti, tuttavia, si spingono oltre, e sostengono che al tempo della prima evangelizzazione le donne hanno partecipato non solo alla missione, ma anche alla direzione delle Chiese domestiche. Questo primo periodo sarebbe stato per loro come una specie di “primavera”, che però non sarebbe durato a lungo, perché prontamente riassorbita dal modello patriarcale di origine giudaica. 

Indizio di tale regressione sarebbe il passo di 1 Cor 14, 33b-35, dove si ordina che le donne tacciano nelle assemblee. Alcuni studiosi lo ritengono un’interpolazione, la cui portata restrittiva sarebbe rafforzata da 1 Tm 2, 11-12, che vieta alle donne di insegnare. Saremmo qui lontani da Gal 3, 28, con la sua affermazione che in Cristo, con il Battesimo, «non c'è più né maschio né femmina». Sarebbe questo il manifesto della mentalità egualitaria delle origini cristiane. Tale tendenza a escludere le donne dai posti direttivi si sarebbe poi rafforzata dal II secolo, con quella che è stata chiamata «la durissima e insofferente reazione cattolica». Di conseguenza, alcuni studiosi guardano con sempre maggiore simpatia ai gruppi gnostici ed eterodossi, nei quali si sarebbe meglio conservata «la prassi libera e liberante di Gesù». 

Certamente la Chiesa antica ha riconosciuto alle donne il dono dei carismi, in particolare quello profetico, e ha pure attribuito alle donne una qualche forma di ministero, come quello delle diaconesse, ma ha sempre escluso le donne dal ministero ordinato (episcopato, presbiterato, diaconato). Questo rifiuto appare motivato da un forte senso di fedeltà alla tradizione ricevuta da Cristo e dagli apostoli. Non fu però una presa di posizione irriflessa, sotto la pressione dalla cultura del tempo, ma una scelta consapevole. Infatti, il problema dell’accesso delle donne al ministero sacerdotale non è solo di oggi, ma era già presente nel loro tempo.

I Canoni Ecclesiastici degli Apostoli - opera fittizia del III secolo -, immaginano una discussione tra gli stessi apostoli proprio sul ministero delle donne: la risposta che danno è negativa per quanto riguarda il ministero liturgico (l’offerta eucaristica), mentre è positiva rispetto al servizio di assistenza. La Tradizione Apostolica - opera anch’essa del III secolo -, riconosce che c’è l’ordine delle vedove, ma nega che ci sia una "ordinazione" per le vedove, dato che esse non hanno un ufficio sacerdotale e liturgico direttamente correlato all'eucaristia, il che equivale a una esplicita esclusione delle donne dal ministero ordinato. 

Spesso si invoca il fattore culturale: nel mondo antico, si dice, le donne erano relegate nella sfera privata, all'interno della famiglia, e la Chiesa non ha fatto altro che adeguarsi a tale mentalità. Sarebbe stato impensabile che ci fosse stata una donna a capo di una comunità a presiedere l’Eucaristia, perché ciò sarebbe stato in contrasto con la cultura del tempo, segnata dalla dominazione maschile e patriarcale. C'è qualcosa di vero in queste affermazioni: l'inferiorità della donna rispetto all’uomo nella sfera pubblica era così radicata da essere considerata un dato naturale e non culturale. Tuttavia, ci sono altri aspetti che vanno presi in considerazione e che mostrano la complessità della questione.

In primo luogo, quando si è in presenza di un divieto, come quello che impone alle donne di tacere nelle assemblee (1 Cor 14,33-35), o il divieto di insegnamento (1 Tm 2,11-12), va rilevato che tali divieti sono significativi solo se vanno contro una tendenza opposta. Il che significa che già al tempo di Paolo c’erano esponenti del sesso femminile che aspiravano ad avere libertà di parola nelle pubbliche assemblee. Tertulliano, più di un secolo dopo, dice che alcune donne rivendicavano il diritto di battezzare e insegnare adducendo l'esempio di Tecla, l'eroina del romanzo religioso che andava sotto il nome di Atti di Paolo

Presumibilmente, anche allora, da alcune donne, le restrizioni imposte dalla Chiesa nei loro confronti erano percepite come un ostacolo o come una discriminazione da superare. La prova ne è che al di fuori della Chiesa cattolica, come ad esempio nelle sette montaniste, gnostiche e marcionite, le donne occupavano subito senza problemi lo spazio che questi gruppi, liberi dai vincoli della tradizione, offrivano loro. Così non è raro trovare in questi gruppi donne in posizioni di responsabilità e di leadership, compresa la presidenza nel culto liturgico. 

Lo gnostico Marco, come riporta Ireneo di Lione alla fine del II secolo, incitava le donne a profetizzare e le chiamava accanto a sé perché consacrassero anch’esse il calice del vino, in una parvenza di Eucaristia. Ed erano in molte a seguirlo. Nelle comunità gnostiche, a dispetto del dogma paolino, le donne potevano non solo profetare, ma anche insegnare e celebrare riti sacramentali in qualità di sacerdotesse. In sostanza, il ministero femminile era una bandiera delle sette eterodosse. Ora questa “apertura” dei gruppi settari verso le donne corrispondeva alla cultura del tempo, che attestava la presenza delle donne anche ai livelli più alti delle gerarchie religiose. 

La Chiesa cattolica era in sostanza l’unica associazione religiosa non esclusiva (cioè non riservata a sole donne) nella quale le donne erano escluse dall’ufficiare il culto liturgico-pastorale proprio dei ministri ordinati. Ora questa è una posizione chiaramente contro-culturale presa con consapevolezza. Nei primi secoli, quando la Chiesa non aveva ancora ottenuto un riconoscimento ufficiale, ma appariva come uno dei tanti movimenti religiosi del tempo, nessuno si sarebbe meravigliato se delle donne avessero tenuto un ruolo di leadership nella vita e nel culto delle comunità, tanto più che dovevano essere in maggioranza.

La resistenza della Chiesa ad ammettere le donne al sacerdozio non è dunque venuta dall'esterno, dalle pressioni culturali dell'ambiente, ma dall'interno, vale a dire l'attaccamento a una tradizione considerata vincolante per quanto riguarda la natura stessa delle comunità cristiane.