Le condanne per Saman e la lunga strada contro l'omicidio d'onore
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Con la condanna della Corte d'Assise di Bologna per i responsbili della morte di Saman Abbas, tutti suoi famigliari, si segna un punto importante contro l'omicidio d'onore. Tuttavia la strada nei paesi dove è in vigore è ancora lunga, ma qualcosa sta cambiando.

La Corte d’Assise di Appello di Bologna ha accolto in gran parte le richieste della Procura generale e ha emesso sentenze complessivamente più severe per i responsabili dell’omicidio di Saman Abbas, la ragazza di origine pakistana residente con la famiglia a Novellara, in Emilia-Romagna, che nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio del 2021 è stata uccisa dai suoi famigliari – i genitori, uno zio e due cugini – perché aveva rifiutato un matrimonio combinato con un cugino, ultimo atto, il più grave, di un percorso di ribellione, per meglio dire di emancipazione, che già in precedenza aveva suscitato tensioni e la riprovazione dei parenti. Il matrimonio combinato e imposto è infatti una istituzione cardine delle società patriarcali.
La Corte ha confermato l’ergastolo al padre, Shabbar Abbas, e alla madre, Nazia Shaheen. Stessa pena è stata comminata ai suoi cugini, Noman Hulaq e Ikram Ijaz, che in primo grado erano stati assolti. Infine da 14 a 22 anni è stata rivista la pena allo zio, Danish Hasnain. Le motivazioni dei giudici saranno depositate entro 90 giorni. Si sa fin da ora che sono state riconosciute le aggravanti della premeditazione e dei futili motivi.
L’espressione “futili motivi” deve suonare incomprensibile, forse anche offensiva, a chi, come i parenti di Saman, ritiene non solo legittimo, ma necessario e quindi doveroso punire chi con il suo comportamento getta il disonore sulla propria famiglia: specialmente se si tratta di donne che non riconoscono l’autorità paterna e contravvengono alle regole di comportamento relative ai rapporti con persone dell’altro sesso. Nelle società tradizionali africane e asiatiche, tanto più se in questo assecondate dalla religione islamica, i genitori, e il capo famiglia in particolare, per dimostrare di credere nei valori in cui sono stati educati, di saperli trasmettere ai figli, di essere capaci di farsi obbedire devono, se necessario, prendere provvedimenti severi, anche estremi, nei confronti dei famigliari. Secondo questa logica, contro Saman, colpevole, i famigliari, vittime innocenti, hanno agito per motivi tutt’altro che “futili”.
Si è trattato di un omicidio d’onore. Consapevoli di trovarsi in un contesto culturale alieno, nel nostro paese, di fronte ai giudici hanno proclamato la loro innocenza dicendo che mai e poi mai avrebbero potuto ucciderla. Il padre accusa lo zio e i cugini. «Se l’avessi vista in pericolo – sostiene la madre – l’avrei difesa, mi sarei battuta, perché sono la mamma». Altrove, nei paesi in cui l’influenza della cultura patriarcale è ancora forte, non dovrebbero negare di averla uccisa. Posto che venga denunciato o scoperto, chi uccide per onore è capito, giustificato, può contare su delle attenuanti e sull’approvazione di molti connazionali: giudici clementi, parenti e vicini di casa disposti ad accoglierli dopo pochi mesi o anni di carcere, o addirittura assolti, pienamente giustificati.
Tuttavia, anche in quei paesi, gradualmente e non senza difficoltà, si registrano dei cambiamenti. In Giordania, ad esempio, sono tuttora in vigore gli articoli 98 e 340 del codice penale che prevedono significative riduzioni di pena e in certi casi gli arresti domiciliari per «chiunque uccida o aggredisca la propria moglie o una qualsiasi delle sue parenti di sesso femminile nell'atto di commettere adulterio» e agisca quindi «in un impeto di rabbia» e in risposta «a un atto grave e ingiusto».
Tuttavia la parte di popolazione che condanna gli omicidi d’onore continua a crescere, e osa farlo apertamente, con il favore della casa reale che da anni tenta di far emendare quegli articoli di legge. Il Marocco ammette delle attenuanti nel caso di un marito o di una moglie che commettono atti violenti, incluso l’omicidio, contro i coniugi, se li scoprono mentre compiono adulterio, ma ormai da anni nessuna circostanza attenuante né esenzione di pena è contemplata nel caso in cui delle donne siano uccise per motivi di onore. Nel Pakistan stesso, il paese di origine di Saman, dove gli omicidi d’onore sono frequenti soprattutto nelle arretrate aree rurali e nell’ambito delle famiglie allargate, il governo ha dato prova di condannare l’omicidio di cui Saman è stata vittima. Ha infatti arrestato i suoi genitori, che erano fuggiti in Pakistan subito dopo che il fidanzato di Saman ne aveva denunciato la scomparsa, e li ha estradati, consegnandoli alla giustizia italiana, pur non essendo tenuto a farlo da accordi bilaterali.
Succede che chi se ne è andato non sappia dei cambiamenti di mentalità e leggi nel suo paese di origine e rimanga fedele alle istituzioni che molti suoi connazionali invece stanno abbandonando o adattando ai tempi. Succede anche che dei magistrati tengano conto del fattore culturale nel giudicare degli immigrati e che degli avvocati lo invochino in difesa dei loro assistiti. Clamoroso fu il caso di Carmen di Genio, avvocato e all’epoca membro del Comitato Pari opportunità della Corte d’Appello di Salerno, che, partecipando nel 2017 a un convegno nazionale sulla sicurezza e la legalità, disse: “non possiamo pretendere che un africano sappia che in Italia, su una spiaggia, non si può violentare, probabilmente non conosce questa regola”.
I giudici della Corte d’Assise di Appello di Bologna, chiamati a giudicare gli assassini di Saman, del fattore culturale evidentemente non hanno tenuto conto. Gli avvocati difensori dei cugini e dello zio hanno annunciato che presenteranno ricorso in Cassazione.