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POLITICA

Le classi dirigenti divorziano dalla realtà

Crisi demografica, crisi economica, sottosviluppo, flussi migratori incontrollabili, terrorismo. Sono questi i grandi problemi del XXI Secolo. Ma in cima all'agenda delle classi dirigenti troviamo solo lotta alla famiglia e al global warming. Un marziano non li capirebbe e nemmeno noi.

Editoriali 15_01_2016
Folla

Una crisi demografica che colpisce tutti i Paesi più avanzati, salvo gli Stati Uniti, estendendosi agli strati sociali più colti e attivi del resto del mondo; una crisi economica internazionale che sin qui non si riesce definitivamente a debellare perché in primo luogo non si sa come colpirne le radici, culturali prima che economiche; un divario enorme e comunque sin qui sempre crescente tra lo sviluppo dei Paesi più ricchi e quello dei Paesi più poveri, con gli scoppi di violenza bellica che ne derivano; il fenomeno sin qui inestinguibile di destabilizzanti flussi migratori intercontinentali; il furore senza alcuna prospettiva del terrorismo islamista: sono questi oggi i problemi-chiave del nostro mondo che un proverbiale exrtra-terrestre sceso a sorvolare il nostro pianeta immediatamente scoprirebbe grazie ai fantascientifici strumenti diagnostici dei quali la sua fantascientifica astronave non potrebbe che essere ben dotata.

Se però poi l’extra-terrestre sintonizzasse la sua fantascientifiche antenne non più sui fatti bensì sulle opinioni dei potenti della politica, della cultura e della comunicazione, insomma dei padroni della Terra, avrebbe di che restare trasecolato. In tutto il mondo più sviluppato, quindi più attivo, informato e capace di impulso al progresso, le urgenze dei potenti hanno infatti poco o nulla da vedere con quelle della realtà. Colpisce innanzitutto il caso della crisi demografica che per definizione è assolutamente prioritaria, se è vero come è vero che la prima cosa è esserci. In meno di cinquant’anni, dal 1970 ad oggi, gli Stati Uniti sono passati da 200 a quasi 319 milioni di abitanti, da 21 a 34 abitanti per chilometro quadro. Mentre, forti del loro dominio del circuito massmediatico planetario, gli Usa lasciavano nell’ombra questo fatto di enorme rilevanza, pur reperibile su qualunque repertorio statistico, una potente squadra di grandi fondazioni americane diffondeva nel mondo la paura della crescita demografica; e con grandi successi sia in Occidente che altrove, anche al di là della “Cortina di ferro” fino all’Unione Sovietica e alla Cina. Dapprima nell’Unione Sovietica e oggi in Cina da ciò sono derivate delle crisi demografiche il cui effetto è paragonabile a quello che avrebbero avuto degli attacchi nucleari. Beninteso, sul piano umano l’impatto di questi ultimi nel breve periodo saerebbe stato ben diverso, ma le conseguenze nel lungo periodo sarebbero state equivalenti (oppure anche minori, come dimostra il caso del Giappone, ritornato al suo grande sviluppo in pochi decenni malgrado le bombe atomiche sganciate nel 1945 su Hiroshina e Nagasaki).

Con l’intera Europa in declino demografico, e in particolare l’Europa Orientale e la Russia in calo demografico netto, con la Cina che si avvia pure al declino e così altri Paesi di diversi continenti, il nostro proverbiale extra-terrestre avrebbe avuto buoni motivi per credere che la questione demografica fosse in cima a tutte le agende dei potenti, tanto più considerando che uscire da una situazione di crisi economica in presenza di una crisi demografica è molto difficile, se non impossibile. Tenuto poi conto che per ovvi motivi la prima e fondamentale leva della natalità è la famiglia, l’extra-terrestre si sarebbe a ragione atteso grandi impegni per sostenerla, favorirla e rilanciarla. Invece nient’affatto: da un angolo all’altro dell’Occidente, da Barak Obama giù fino a Matteo Renzi, da Hillary Clinton giù fino a Maria Elena Boschi, e dalle “star” delle Tv americane giù giù fino a Panariello, è tutto un affaccendarsi - con grande dispendio di energie culturali, politiche ed economiche -  a demolire la famiglia indicando al suo posto come luce dell’avvenire delle pseudo-famiglie sterili per definizione come quelle omosessuali, oppure tendenzialmente sterili o poco fertili come le unioni secondo natura ma non matrimoniali. 

Lo stesso vale per lo squilibrio nello sviluppo che vede, tanto per fare un esempio, un paese come Haiti, con un reddito pro capite annuo di 833 dollari, a due passi da un paese come gli Stati Uniti, con un reddito pro capite annuo di 54.597 dollari. Ovvero, alla distanza di meno di due ore di volo, un divario di reddito pari a 65,5 volte. O ancora, per fare un paragone tra due paesi (fra l’altro per certi aspetti analoghi perché entrambi montani, senza materie prime e senza sbocco sul mare), fra i 699 dollari del Nepal e gli 87.475 della Svizzera: un divario pari a oltre 125 volte. Anche qui il nostro extra-terrestre sarebbe sorpreso di scoprire che il posto prioritario, che nelle agende dei potenti meriterebbe questa fondamentale emergenza, viene invece occupato dalla questione del cambiamento climatico, spacciata per indiscutibile quando in realtà è controversa; e che comunque, nella (modesta) misura in cui è nelle mani dell’uomo, va affrontata governando lo sviluppo; non bloccandolo, e nemmeno disperdendo enormi risorse in politiche ambientali di dubbio esito tanto più in questi frangenti.

Si potrebbe poi continuare con ulteriori paragoni, ma ognuno di essi non farebbe che confermare l’emergenza nell’emergenza del nostro tempo: la schizofrenica distanza dalla realtà di classi dirigenti che, tramite le università e i maestri che le formarono, sono eredi della cultura borghese-progressista all’origine in Europa del ’68 e di tutto ciò che ne seguì, e negli Usa del movimento che trovò il suo punto di coagulo, tutto sommato casuale, nella mobilitazione contro la guerra in Vietnam. Speriamo che al più presto arrivi qualcosa di meglio.