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il rapporto

Lavoro minorile, infanzia negata per 138 milioni di bambini

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Piccoli lavoratori sottoposti a impieghi pesanti e nocivi a soli 5 anni e inevitabilmente allontanati da scuola. Un fenomeno diffuso soprattutto in Africa, mentre Asia e Pacifico registrano un calo significativo.

Editoriali 16_06_2025
CARLO CARINO BY AI MID - imagoeconomica

Nel mondo ci sono 138 milioni di minori, di età compresa tra cinque e 17 anni, ai quali l’infanzia è negata perché già lavorano, spesso con tempi e ritmi che impediscono loro di studiare. È quanto rivela l’ultimo rapporto, dal titolo “Lavoro minorile: stime globali 2024, tendenze e prospettive future”, realizzato da due agenzie delle Nazioni Unite, l’Organizzazione Internazionale del lavoro (ILO) e il Fondo Onu per l’infanzia (UNICEF).

Il rapporto è stato presentato a Ginevra il 12 giugno, Giornata mondiale contro il lavoro minorile, che quest’anno è stata occasione per chiedere la ratifica universale della Convenzione OIL n.138 sull’età minima per lavorare e la attuazione della Convenzione OIL n.182 contro le peggiori forme di lavoro minorile. La prima è entrata in vigore nel lontano 1976, la seconda nel 2000. Ma ancora la loro piena attuazione è lontana, come dimostrano i dati riportati nel rapporto, nonostante che l’obiettivo su cui la comunità internazionale aveva concordato di convergere fosse l’eliminazione del lavoro minorile entro il 2025. Per questo nel 2022 la quinta Conferenza mondiale sull’eliminazione del lavoro minorile aveva approvato un Appello all’azione che conteneva la richiesta dettagliata e pressante di un forte impegno decisivo.

Alla quinta Conferenza avevano partecipato mille delegati in presenza e 7mila da remoto, in rappresentanza di governi, organizzazioni dei lavoratori, datori di lavoro, agenzie Onu, organismi regionali. Si è svolta per la prima volta, e non a caso, in Africa: a Durban, Sudafrica. Quello africano è infatti il continente in cui il fenomeno del lavoro minorile è più diffuso e persistente. Ne sono colpiti in particolare gli Stati sub sahariani nei quali si trovano quasi i due terzi di tutti i minori che lavorano, 86,6 milioni: si tratta di un incremento in termini assoluti, perché nel 2008 (anno preso come riferimento) erano 65 milioni; tuttavia c'è un miglioramento, sebbene lieve in termini relativi, dal 25,3% al 21,5%, dovuto alla crescita demografica. Per contro, Asia e Pacifico è l’area geografica che registra il calo più significativo: da 113,6 milioni nel 2008 agli attuali 27,7 milioni; in percentuale, dal 13,3% al 3,3%.

È soprattutto grazie a questa area geografica che nell’insieme la tendenza globale, anche nell’ultimo quinquennio è tutto sommato positiva, sebbene non quanto si sarebbe voluto. I minori al lavoro rispetto al 2020, quando erano 160 milioni, sono 22 milioni in meno. Per quanto sia lontano dagli obiettivi fissati, è un passo avanti tanto più apprezzato in quanto nei cinque anni precedenti, e per la prima volta dal 2000, i minori occupati erano aumentati, passando da 151 a 160 milioni.

Il rapporto presenta dati disaggregati per area geografica, occupazione, sesso e altri fattori ancora. Tra i più rilevanti, e dolorosi, sono quelli relativi al tipo di occupazione e all’età dei piccoli lavoratori. Ben 54 milioni di minori svolgono lavori pericolosi, troppo faticosi, nocivi per la salute e questo è di per sé intollerabile, o dovrebbe esserlo. L’aggravante è che in queste condizioni di lavoro sono costretti anche bambini di età compresa tra cinque e 11 anni: sono 10,3 milioni, e 12,8 milioni quelli della fascia d’età successiva, da 12 a 14 anni.

Un altro dato sconvolgente è il numero di bambini da cinque a 11 anni che lavorano. Sono molto più della metà del totale: 78,9 milioni. Inoltre sono anche quelli per i quali si sono registrati meno progressi. Erano 89,3 milioni nel 2020 e adesso sono 78,9 milioni (da 9,7% a 9,2%). I minori occupati di età compresa tra 12 e 14 anni sono scesi nello stesso arco di tempo da 35,6 a 27,8 milioni (da 9,3% a 6,8%); quelli da 15 a 17 anni sono passati da 35 a 30,8 milioni (da 9,5% a 7,8%).

Una costante rispetto ai rapporti precedenti è la distribuzione per settore di occupazione. Il 61% dei minori sono impiegati nel settore agricolo, il 13% in quello industriale e il rimanente 27% in quello dei servizi. Qualunque sia il settore a cui sono addetti, il fatto di lavorare aumenta drasticamente la probabilità che i minori non riescano ad andare a scuola. A livello mondiale non vanno a scuola l’8% dei minori di età compresa tra 5 e 14 anni e il 14% di quelli da 15 a 17 anni. Le percentuali salgono rispettivamente al 31% e al 59% nel caso dei minori che lavorano.

La disaggregazione per sesso indica un’altra tendenza. Nella fascia d’età da 5 a 11 anni la percentuale di bambini che lavorano è quasi uguale: 8,1% le femmine, 8,3% i maschi. Poi, con il progredire dell’età, il divario cresce fin quasi a raddoppiare nella fascia d’età da 15 a 17 anni: 5,2% le femmine e 10,2% i maschi. L’eccezione è data dai lavori domestici nei quali invece le femmine risultano sempre più numerose dei maschi, fino a raddoppiare. Questo rispecchia la tradizionale divisione del lavoro delle società tradizionali, persistente anche, per quanto in maniera meno rigida, nelle economie avanzate.

Il rapporto ILO e UNICEF si conclude con la realistica considerazione che neanche il traguardo del 2030, posto dagli Obiettivi delle Nazioni Unite per mettere fine al lavoro minorile, verrà raggiunto. “Il mondo ha compiuto incoraggianti progressi – ha commentato Catherine Russel, direttore esecutivo dell’UNICEF durante la cerimonia di presentazione del rapporto – ma tanti altri bambini continueranno a lavorare nelle miniere, nelle fabbriche e nei campi per molto tempo ancora”.



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