L’attentato di Southport, la strategia del silenzio e le rivolte
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Svelata ieri l’identità dell’adolescente, Axel Rudakubana, che lunedì ha ucciso tre bambine a Southport. Nei giorni precedenti, rivolte di protesta in più città inglesi. Oscuro il movente della strage. Di certo, c’è l’aumento dei crimini con coltello e la strategia del silenzio seguita dalle autorità.
Alice Dasilva Aguiar, nove anni, Bebe King, sei anni, ed Elsie Dot Stancombe, sette anni, sono state accoltellate a morte in un campo estivo a Southport, nel Merseyside, lo scorso lunedì. Altri otto bambini hanno riportato ferite da taglio e cinque sono in severe condizioni, insieme a due adulti rimasti gravemente feriti. Bambini insanguinati che fuggono urlando come in una scena di un film dell’orrore, per sfuggire al violento attacco con coltello di un adolescente: è solo l’ultimo episodio tragico su cui il Regno Unito piange per una strage all’arma bianca. Il bilancio sarebbe potuto essere peggiore senza l’intervento di due coraggiose insegnanti.
Ha 17 anni, quasi 18, il ragazzo che è stato arrestato con l’accusa di omicidio e tentato omicidio per l’accoltellamento a Southport, cittadina sul mare, vicino Liverpool. Per la legge inglese la sua identità non l’avremmo dovuta conoscere mai, e non solo perché minorenne. Ma le cose non sono andate come previsto e, nella mattinata di giovedì 1 agosto, tutti hanno potuto sapere, dopo l’autorizzazione data dal tribunale di Liverpool, che l’adolescente che ha fatto la strage con un coltellaccio da cucina si chiama Axel Rudakubana. La polizia ha rivelato che non c’è movente, non c’è terrorismo. «Un incidente grave», come è stato classificato dagli investigatori. E basta. E soprattutto questo deve bastare al Paese.
E sebbene un silenzio anomalo sia calato sulla vicenda, la stampa è dovuta tornare ad occuparsi del caso perché già martedì si è registrata la risposta arrabbiata degli inglesi per l’accoltellamento che ha causato la morte di tre bambine. Sono state violente le proteste a Southport. Una folla si è radunata fuori da una moschea, lanciando mattoni e fuochi d’artificio contro la polizia: le forze di sicurezza sono accusate di non aver riferito la verità sui precedenti e le motivazioni del sospettato. Tema sul quale ha voluto dire la sua il deputato Nigel Farage, leader di Reform UK e già promotore della Brexit. Prima che iniziassero le rivolte, Farage ha pubblicato un video domandandosi perché l’attacco non venisse trattato come legato al terrorismo e chiedendo se il governo «tenga nascosta la verità». Dichiarazioni che, per i suoi avversari politici, sono valse come un «incitamento alle rivolte».
Il bilancio delle proteste è di 39 ufficiali feriti e 27 portati in ospedale. Il primo ministro Keir Starmer ha dichiarato che i responsabili dei disordini «sentiranno tutta la forza della legge inglese». I manifestanti scandivano in coro: «Nessuna resa!» e «inglese finché non muoio!», mentre circondavano la moschea di Southport e il centro culturale islamico. L’esplosione di petardi, le sirene e un elicottero che volteggiava hanno aggiunto altro caos. Anche in questo caso, la notizia è stata in prima pagina sulla stampa inglese per qualche ora, poi l’eco dei disordini è sparita velocemente, anche se si è trattato di proteste violente e incendiarie. E questa volta i protagonisti erano tutti inglesi. Per la polizia del Merseyside i manifestanti sarebbero sostenitori dell’English Defence League.
Una protesta che le autorità credevano rimanesse isolata. Invece, anche le città di Londra, Hartlepool e Manchester sono state travolte da rivolte, con tanto di auto della polizia in fiamme. Dopo decine di arresti, è stata allora svelata l’identità dell’attentatore. Solo poche ore prima dei disordini, c’era stata una veglia in memoria delle bambine brutalmente uccise. Ed è la polizia del Merseyside a comunicare che proprio a margine della veglia, tra bambini e famiglie in lutto, un altro uomo di 32 anni, vestito completamente di nero, è stato arrestato perché sorpreso con un coltello a serramanico, facendo temere per una nuova strage, sempre all’arma bianca.
Chi vive a Londra sa che i coltelli sono una minaccia quotidiana, che la criminalità dilaga, che se si sente gridare bisogna correre più veloce che si può, senza girarsi a guardare. A Londra, in un solo anno, i crimini da coltello sono aumentati del 20%. Nel resto del Paese si registra un aumento pari, in media, al 7%. Ogni giorno, si contano arresti per crimini da lama o possesso illegale. Al punto che il Regno Unito sembra uscire quasi abituato da una tragedia che vede dei bambini vittime senza senso. Nei rapporti governativi emerge che, nell’ultimo anno, il machete sia stato usato “solo” 14 volte su 244 episodi di omicidio da coltello.
L’ente del governo che monitora le statistiche nazionali sul crimine ha pubblicato un bollettino, lo scorso 24 luglio, che ci dice che i crimini da coltello registrati dalla polizia sono aumentati del 4% nel giro di un anno (tra marzo 2023 e marzo 2024), arrivando alla cifra di 50.510. Negli ultimi 10 anni, i reati con coltello sono aumentati del 78%. Settantotto i giovani assassinati di età inferiore ai 25 anni, dieci avevano meno di 16 anni, tra i 244 omicidi con coltello nell’ultimo anno, fino a marzo 2024. E 3.888 i ricoveri negli ospedali del servizio sanitario inglese per aggressione da coltello negli ultimi dodici mesi. Una piaga che nessuna legge sembra, ad ora, capace di arginare.
Si tratta di crimini spesso legati al terrorismo islamico, alle bande di immigrati e alle gang giovanili. Secondo un rapporto fondamentale redatto dai consulenti governativi sulle cause dei crimini con coltello, nel 2023, metà di tutti gli adolescenti in Inghilterra e Galles ha assistito o è stata vittima di violenza. Le scuole sono ormai dotate di metal detector all’ingresso. In seguito al 2017, però, i servizi d’intelligence hanno imposto a governo e stampa una regola aurea: meno se ne parla, meno vengono condivisi dettagli e meno gli attentatori si sentiranno al centro dell’attenzione. Il 2017 è passato alla storia come l’annus horribilis del terrorismo islamista per la Gran Bretagna: 125 persone sono state arrestate per reati di terrorismo e 150 sono state private della cittadinanza per la stessa ragione, un attentato sventato al mese, e 36 morti.
A lungo in Occidente, Italia compresa, si è sottovalutato il peso delle immagini che vengono utilizzate dalla propaganda jihadista per dimostrare alla loro opinione pubblica di riferimento, quella del mondo islamico, la superiorità ideologica e religiosa. L’Inghilterra è voluta correre ai ripari, gli altri no. Mostrare, infatti, immagini di attentatori arrestati o in azione, o inseguire morbosamente le storie delle vittime, per l’islam rappresenta un formidabile successo propagandistico da passare a gruppi come al-Shabaab, al-Qaeda e a tutta la galassia jihadista e islamista.
Addirittura il Regno Unito ha deciso, da tempo, di non diffondere neanche video del ritorno a casa degli ostaggi liberati e persino dei funerali dei propri militari uccisi. L’incubo di restare al centro, con immagini ufficiali, di una propaganda al contrario ha modificato la comunicazione inglese. Un’operazione psicologica di come si trattano i nemici. E che forse sugli attentati in grande scala sta dando ragione al Regno Unito. Sull’epidemia di coltelli, un po’ meno. Resta il grande tema del diritto all’informazione e bisogna capire a chi giova il grande silenzio rispetto ad attentati come quello contro le bambine di Southport e delle proteste ad esso collegate. Perché affermare che non s’indaga per terrorismo, anche se non fosse islamico, in un’azione del genere?