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regionali

L'astensione è un chiaro messaggio politico

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Al voto in Lombardia e Lazio emerge l'enorme percentuale di astenuti. Un dato di cui i politici non hanno colto fino in fondo la vera portata, che non è occasionale ma chiama in causa l'intero sistema. E la nuova maggioranza non ha dato finora grandi segnali di discontinuità.

Editoriali 15_02_2023

Alle elezioni regionali di domenica e lunedì scorsi hanno votato in pochi. In Lazio due aventi diritto su tre non si sono recati alle urne, in Lombardia tre su cinque. Ambedue i candidati hanno superato il 50 per cento dei voti, esultando perché non ci sarà ballottaggio, però si tratta del 50 per cento del 40 per cento, ossia il 20 per cento degli elettori. Si potrebbe anche dire che la democrazia, almeno come la si intende genericamente oggi, finisce qui.

Nelle interviste post-elettorali tutti gli esponenti politici hanno espresso motivi di allarme, parlando, come sempre in questi casi, dello scollamento tra politica e cittadini e subito sostenendo, pure come sempre in questi casi, che ci penseranno loro a ripristinare il collegamento e ridare fiato alla democrazia. Nessuno di loro si dice contento dell’astensione, tutti la considerano un pericolo e un fallimento, tutti segnalano l’urgenza di correre ai ripari. Assolutamente nessuno ha riconosciuto all’astensione a queste ultime regionali un significato politico, quanto semmai uno impolitico, un distacco dalla politica, una disaffezione, una stanchezza: gli astensionisti non andrebbero da un’altra parte rispetto alla politica, semplicemente non vorrebbero più andare da nessuna parte.

Inoltre, tutti hanno individuato cause accidentali e momentanee, superabili quindi con nuove metodologie e aggiustamenti, nessuno ha pensato trattarsi di una obiezione di coscienza ben più profonda che investe l’attuale apparato politico nella sua totalità e non solo su aspetti marginali. Certamente i commenti dei politici non hanno attribuito l’astensione a superficialità e a mancanza di senso civico, però nemmeno l’hanno presa sul serio fino in fondo.

Al contrario, l’unico significato veramente politico, oltre lo scontato esito elettorale, di questa ultima tornata di voto è stata proprio l’astensione. Per avere oggi in Italia un vero messaggio politico occorre uscire dalla politica: questa l’autentica e forse unica indicazione veramente politica emersa dalle regionali. Per essere politici bisogna apparire impolitici e ricordare che la politica fatta così come viene fatta non è politica. Ricordare anche che la politica la si può fare in molti modi e in molti ambiti, anche fuori della politica. Visto in questo modo l’astensionismo diventa un serbatoio di risorse e di energie. Diventa motivo di speranza e non di frustrazione. Qualcosa, domani, potrà cambiare, perché abbiamo la prova che molti non ci stanno.

La maggioranza degli italiani non si aspetta cambiamenti sostanziali dalle nuove amministrazioni, piuttosto se le aspetta da una diffusione tra i cittadini della convinzione che il blocco è di sistema. Nessuno conosce le motivazioni personali né di chi vota né di chi non vota, però un giudizio politico è comunque possibile e in questo caso ha un netto significato: è il sistema politico ad essere in crisi, proprio come sistema.

La prima considerazione che con ogni probabilità sta alla base dell’astensionismo è che il sistema del potere ha già stabilito i paletti entro cui stare e le decisioni lasciate alla politica sono ormai marginali. Gli spazi di manovra dei governi sia nazionali che regionali sono limitati perché altri hanno già deciso per noi. Quando un governo nazionale deve farsi approvare la legge finanziaria dalla Commissione europea la sua autonomia politica è fortemente menomata. Se le politiche migratorie le fanno (o non le fanno, anche questo è un modo di farle) altri al nostro posto, se le sorti della moneta non sono nelle nostre mani, se organismi internazionali decidono cosa insegnare nelle nostre scuole, se le nostre leggi vengono sconfessate dalle Corti internazionali è logico che l’uomo qualunque, senza con ciò essere qualunquista, non dia alla politica alcuna importanza. L’astensione in atto, date le sue proporzioni, non è occasionale ma sistemica e vale quindi come risposta ad una crisi sistemica.

Ma non è tutto qui. La politica deve avere “lo sguardo del tutto” e nello stesso tempo sapere che “non tutto è politica”. La politica attuale tende invece a non avere lo sguardo del tutto e a pretendere di essere tutto. In questo modo essa rimane vittima di visioni e di interessi di parte e nello stesso tempo rifiuta di essere a servizio di un ordine valoriale superiore e indisponibile. Le visioni di parte diventano così assolute, m di una assolutezza vuota di senso. Il sistema politico che abbiamo visto all’opera negli ultimi decenni, compresi i governi Conte e Draghi, era assolutamente di parte sia dal punto di vista ideologico che di interessi materiali, ma si presentava come un blocco unitario e non scalfibile e quindi come un tutto assoluto, bene inserito in un più vasto tutto di ordine globale. Al cittadino mancava il respiro.

Rispetto a questo sistema la nuova maggioranza, nei suoi primi cento giorni di vita, non ha dato segni evidenti, nemmeno simbolici, di discontinuità. Su immigrazione e ordine pubblico qualcosa (di timido) è stato detto, ma su vita, famiglia e pace no. Anzi. Il bisogno di respiro continua.
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