L'assalto gay alla scuola cattolica parte da Trento
Il caso dell’insegnante lesbica (non) licenziata a Trento si sta rivelando un volgare pretesto per imporre l’ideologia di genere anche alle scuole cattoliche. - Il ministro e la CGIL ignorano la legge, di Marco Ferraresi
Con il passare dei giorni il caso dell’insegnante lesbica (non) licenziata dall’Istituto Sacro Cuore di Trento (clicca qui) si sta rivelando sempre più per quello che è: una volgare azione pretestuosa per imporre l’ideologia di genere anche alle scuole cattoliche, magari con il ricatto economico, e chiudere definitivamente la bocca a ogni forma di resistenza al pensiero unico. Che poi a essere complici di questo attacco – che ultimamente è alla libertà della Chiesa e perciò di tutti - siano anche dei cattolici non fa altro che rendere più triste l’intera vicenda.
Giornali, radio e anche il servizio pubblico della Rai si sono dati al linciaggio mediatico dell’Istituto Sacro Cuore e, più in generale, della Chiesa che, va da sé, è omofoba per definizione. Ovviamente passando sopra ai fatti che – come abbiamo già scritto lunedì – sono ben diversi da come sono stati presentati.
Non c’è stato alcun licenziamento, tanto per iniziare, ma un contratto non rinnovato alla scadenza del 30 giugno scorso. Sorte toccata non soltanto alla prof lesbica ma ad altri 29 insegnanti della stessa scuola, in attesa che a settembre si rifacciano i conti con le iscrizioni e si decida se qualcuno di questi contratti può essere riacceso. Cosa che avviene, in rispetto della legge, tutti gli anni e in tutta Italia, non soltanto a Trento. Dunque se qualcuno è discriminato sono i 29 altri contratti non rinnovati che non possono contare sul sostegno di una potente lobby come quella gay per potersi garantire un nuovo contratto, al Sacro Cuore o altrove.
Inoltre, fosse anche stata licenziata la signorina in oggetto, la scuola aveva tutto il diritto di farlo sia in base alla Costituzione italiana, sia in base alla legge ordinaria, sia in osservanza delle direttive europee, perché gli enti religiosi – come i sindacati e i partiti – sono considerati “enti di tendenza”. Vale a dire che hanno il diritto costituzionalmente garantito di perseguire i propri fini educativi o culturali con personale che li condivide (per un approfondimento della questione giuridica rimando all’ottimo contributo del professor Ferraresi in calce a questo articolo).
Bene, hanno detto autorevoli opinionisti in questi giorni: volete che le scuole cattoliche abbiano il diritto di assumere chi vogliono? E allora non pretendano soldi dallo Stato. Ora, a parte che – come abbiamo appena visto – non si tratta di un privilegio che si vorrebbe strappare ora ma un diritto costituzionalmente garantito che non riguarda solo gli enti religiosi (vogliamo fare un confronto con i soldi che si versano per sindacati e partiti?), tale affermazione nasconde in realtà la visione di uno Stato etico, che decide cosa è giusto e cosa no, cosa è valore e cosa è dis-valore. Si tratta cioè di una visione totalitaria che, ad esempio, non tiene conto che è la stessa Costituzione a sancire che il primo soggetto educativo è la famiglia naturale: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli», recita l’articolo 30, subito dopo l’articolo 29 in cui lo Stato «riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio».
In altre parole, le famiglie hanno il diritto di mandare i propri figli in scuole la cui identità formativa sia in sintonia con quella delle famiglie stesse. E le famiglie hanno il diritto di esigere dalla scuola che quella identità e quei valori educativi siano rispettati.
Ieri a Radio Anch’io (Radio Uno) Marco Rossi Doria, che ama definirsi “maestro di strada” ed è stato sottosegretario all’Istruzione con i ministri Profumo e Carrozza, ha ripetutamente invocato l’articolo 3 della Costituzione che proibirebbe qualsiasi discriminazione per sesso, razza, religione ecc.: a dire che una scuola che vuole offrire una formazione cattolica è di per se stessa anti-costituzionale. In realtà l’articolo 3 stabilisce «pari dignità sociale» e «uguaglianza davanti alla legge», principio che non è certo messo in discussione dal fatto che ogni lavoro richiede dei requisiti specifici che non tutti hanno.
A dire il vero, però, non sono le ragioni dell’una e dell’altra parte che chi ha montato questa vicenda vuole discutere; ma semplicemente cogliere l’occasione per portare l’assalto decisivo alla libertà di educazione, che già in Italia non gode di buona salute. Mesi fa eravamo stati facili profeti nel prevedere che era solo questione di tempo prima che si arrivasse a mettere le scuole cattoliche davanti a una drammatica scelta: o adeguarsi ai programmi scolastici all’insegna del gender e dell’educazione sessuale (meglio: genitale) anche per i più piccoli, o morire.
Il caso di Trento serve proprio a questo obiettivo, con buona pace di chi qualche settimana fa pensava di poter barattare il sì alle nozze gay con la libertà di educazione. Il movimento che vuole la legge sull’omofobia e il matrimonio fra persone dello stesso sesso è un movimento totalitario, che per sua natura non può ammettere “riserve” di pensiero libero. Troppo pericoloso: chi vuole stabilire per legge che il cielo è rosso non può tollerare che anche a una sola persona possa essere data la facoltà di osservare il cielo e dire che è azzurro. Così chi pretende di inventarsi i generi sessuali non può tollerare che anche in una sola scuola d’Italia ci sia qualcuno che continui a sostenere che «Dio creò l’uomo a sua immagine: maschio e femmina li creò».
A ben vedere, dunque, nella vicenda di Trento c’è ben altro in gioco che non il posto di lavoro per una professoressa di storia dell’arte che dà interviste a tutti ma non vuol dire il suo nome (come se fosse minacciata dalla mafia, anche questo fa parte della recita); e molto più che il destino dell’Istituto Sacro Cuore. C’è in gioco la libertà di educazione, la libertà religiosa e la libertà di espressione per tutti, esattamente come per il disegno di legge Scalfarotto sull’omofobia e come per la Strategia nazionale contro l’omofobia.
Davanti abbiamo una macchina da guerra propagandistica potentissima, tale da ridurre esimi professionisti, giornalisti, politici e ministri a degli automi che obbediscono a comando. Basti pensare al ministro dell’Istruzione Stefania Giannini che, dopo aver solennemente dichiarato tutto e il contrario di tutto sull’ideologia di genere a scuola (leggi qui), sulla vicenda di Trento è subito intervenuta annunciando l’invio di ispettori e assicurando che non sarà tollerata alcuna discriminazione.
Purtroppo l’ignavia non è solo del mondo laico e della politica: i primi a non rendersi conto dell’importanza della posta in gioco sono anche i cattolici. Sarà un caso ma a scatenare la tempesta sull’Istituto Sacro Cuore è stato il giornale locale, L’Adige, diretto da un sedicente cattolico che ancora oggi nei titoli parla di «insegnante licenziata» (notizia falsa che meriterebbe l’intervento dell’Ordine dei giornalisti) e che lunedì gongolava al pensiero che «il caso è diventato nazionale». Complimenti, vendono la libertà della Chiesa per qualche copia in più (la storia dei trenta denari è sempre attuale).
Ma anche nei media ufficiali della Chiesa italiana si respira imbarazzo e quasi fastidio per le suore che hanno creato quest’altro caso di cui si sarebbe fatto volentieri a meno. Forse anche perché il primo a mantenere il silenzio è l’arcivescovo competente, sul cui sito l’ultima notizia riguarda il messaggio di saluto ai turisti che arrivano in Trentino. L’agenzia dei vescovi Sir si è limitata lunedì a inserire tra le brevi il comunicato dell’Istituto Sacro Cuore, ma per il resto nulla: in compenso ieri in primo piano figuravano servizi sul fumetto religioso, sui cento anni dalla nascita di Charlot, sulla preoccupazione dei cattolici giapponesi per la revisione costituzionale, sulla guerra tra poveri a Castelvolturno. E Avvenire si limitava a un articolo di cronaca nelle pagine interne in cui stava ben attento a mantenere l’equidistanza tra le parti.
Si parla giustamente molto in questi giorni dei cristiani che in Iraq hanno abbandonato case e averi per non sottomettersi all’islam, dei tanti che sono morti o che hanno accettato sofferenze e torture per rimanere fedeli a Cristo. È giusto far brillare la luce della loro testimonianza. Ma non può non sovvenire almeno per un momento la tentazione di un drammatico paragone con noi che, pur rischiando poco o nulla rispetto a loro, non siamo neanche in grado di difendere la libertà di una scuola cattolica.
- IL MINISTRO E LA CGIL IGNORANO LA LEGGE,
di Marco Ferraresi
In base alla legge italiana e alle sentenze europee e italiane in materia, una scuola cattolica ha tutto il diritto - e anche il dovere per rispetto dei genitori - di assumere soltanto personale in sintonia con i propri fini educativi. E licenziare chi non li condivide.