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IL BUON USO DELLE PAROLE/20

L'arte della risata

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Far ridere è un’arte complessa ed è connessa alla retorica, in particolare alle figure di pensiero. Vediamo quali. 

Cultura 09_09_2024

Quante volte capita di vedere film comici e di non ridere! Far ridere è un’arte che presuppone una formazione e una cultura. Ma non solo! Presuppone anche la capacità di incontrare le altre culture, di conoscere il proprio interlocutore e il suo immaginario, le sue aspettative, la sua cultura.

Per quale ragione? Perché la risata, quella irrefrenabile, a crepapelle, scaturisce tutto ad un tratto, senza che te l’aspetti, quando la realtà si rivela contraria, potremmo dire opposta, a quanto ti aspettavi. Lo sceneggiatore o il regista che scriva un copione comico deve, quindi, conoscere le aspettative del suo pubblico con tutto il suo bagaglio di pensiero, di cultura, di vita, di storia.

Per la stessa ragione, un film la cui sceneggiatura è francese o inglese o tedesca o statunitense o di altra provenienza geografica non è detto che faccia ridere un  pubblico italiano. Senz’altro è più probabile che film comici che provengano da culture affini possano far ridere oppure che realtà che presentino situazioni affini possano offrire situazioni comiche simili. Si pensi a Giù al Nord (in lingua originale Bienvenue chez les Ch'tis), film francese del 2008 diretto da Dany Boon, in cui un direttore delle poste che lavora in Provenza viene trasferito nel freddo nord e, pieno di pregiudizi, scopre più tardi che la nuova bella realtà è molto meglio di quanto lui si aspettasse.

Il remake italiano Benvenuti al sud vede una situazione analoga: il protagonista, interpretato da Claudio Bisio, dipendente delle Poste al nord, viene mandato a Castellabate nella costiera cilentana; anche lui incontrerà tanti volti e grazie a quegli incontri, dopo le prime difficoltà, potrà superare gli stereotipi a cui era affezionato. Il sequel italiano sarà Benvenuti al nord.

Far ridere è un’arte complessa ed è connessa alla retorica, in particolare alle figure di pensiero.

Ricordiamo che le figure retoriche sono quasi trecento. Sono classificate, per semplicità di apprendimento, in figure retoriche di costruzione, di suono, di significato o senso, di pensiero (l’umorismo, l’ironia, l’allegoria, la prosopopea, l’apostrofe, la reticenza,  la preterizione).

Le figure di pensiero riguardano l’immagine o la situazione presente in una frase. Tra di esse compare l’umorismo, fondamentale per capire la risata. Al riguardo riprendiamo la distinzione tra comico e umoristico che Pirandello spiega con la celebre immagine della donna di ottant’anni, tutta imbellettata, vestita all’ultima moda e con i tacchi a spillo.

Ad un primo sguardo, di fronte ad un’immagine siffatta, chiunque si metterebbe a ridere avvertendo l’assurdità della situazione. Il comico consiste per l’appunto in questo «avvertimento del contrario», cioè nella constatazione che una situazione è opposta a quanto noi ci aspetteremmo, constatazione che desta in noi una risata a crepapelle, irrefrenabile e indubbiamente irrispettosa. Nel momento in cui noi, però, riflettiamo sulle ragioni che hanno indotto quella donna a ridursi così e pensiamo al suo desiderio di apparire più giovane, di piacere ancora al marito, il nostro riso si tramuta in un sorriso che abbraccia e comprende le ragioni profonde dell’altro, ovvero l’umorismo o «sentimento del contrario».

Il sorriso benevolo dell’umorismo sa comprendere le ragioni della stranezza e della contraddittorietà della realtà.

Non tutte le gradazioni del comico sono, però, benevole, ve ne sono alcune aspre e negative, che possono essere usate come armi nei confronti dell’interlocutore. Ecco perché è importante il buon uso delle parole, così come è indispensabile conoscere e giudicare i differenti gradi di comicità. Bisogna saper ascoltare le parole che pronunciamo con la nostra bocca con le nostre orecchie, proprio come se fossero state pronunciate da altri nei nostri confronti. Lo aveva ben capito ne I promessi sposi Renzo alla fine della sua avventura, quando, arrivato in un nuovo paese dopo il matrimonio, gli viene riferito che qualcuno ha pronunciato parole non troppo lusinghiere sull’aspetto fisico della sua sposa. 

L’ironia è un’altra figura di pensiero dipendente dal contesto, dalla situazione o dal tono di colui che parla. Spesso è proprio il tono che contraddistingue l’atteggiamento ironico. Se dico ad una persona «quanto sei buona!» e il dato corrisponde alla verità o, per lo meno, alla percezione che io ho dei fatti, allora il tono non è ironico. Se, invece, io considero quell’individuo con cui parlo cattivo, il tono delle mie affermazioni mira a far risaltare la verità, ribaltando un dato di evidenza. L’ironia può avere un fine buono (permettere all’interlocutore di comprendere la verità) oppure può avere un intento derisorio e denigratorio. L’ironia consiste, quindi, nell’affermare il contrario di quello che s’intende o che realmente è in modo che il destinatario possa decifrare il messaggio profondo cogliendolo dal contesto o dall’intonazione.

Grottesco, satira, sarcasmo, parossismo formale completano il panorama delle altre gradazioni del comico. Il grottesco consiste nell’esagerazione di una caratteristica del personaggio tanto che la complessità della persona è ridotta ad un solo aspetto che viene presentato come l’unico aspetto, cifra che contraddistingue e definisce il personaggio stesso. Il grottesco svilisce e degrada la complessità dell’umano. Una particolare forma di grottesco è quello caricaturale, tipico della descrizione letteraria come pure della pittura.

La satira nasce dallo sdegno per la realtà, per un particolare aspetto della vita, della società, per vizi diffusi in un ambiente o in un personaggio. Lo scrittore latino Lucilio, che è considerato l’inventore della satira, manifesta un’accesa vis polemica contro la corruzione e il vizio presenti nella società o in un rappresentante importante del mondo romano. Quando vede la depravazione, l’autore attacca indistintamente coloro che ne sono fautori, senza curarsi del ceto a cui appartengono o del nome che portano: «Tutti si dedicano ad una sola e medesima attività e arte, di riuscire a darla a bere con circospezione, a farsi la guerra col raggiro, a gareggiare in adulazioni, a fingersi persone oneste, a tendere insidie, come se tutti a tutti fossero nemici».

Il sarcasmo ha, invece, una valenza estremamente negativa, perché si accanisce con strali che penetrano nella carne altrui ferendo e lasciando una ferita sanguinolenta anche quando lo sguardo mordace ha smesso di infierire sulla vittima prefissata.

Può, infine, accadere che ci si scagli contro qualcuno con una violenza inaudita, con toni per l’appunto parossistici. Il parossismo formale consiste nell’inchiodare ad un parete un personaggio, ingabbiandolo nei pregiudizi e nei punti di vista di chi lo guarda, privandolo della sua profondità, della sua umanità, della sua complessità per imprigionarlo ad una forma, come il Rosario Chiarchiaro de La patente di Pirandello, da tutti considerato iettatore.