L'Argentina dei default è una versione estrema dell'Italia
L'Argentina ha rischiato il suo nono default, evitato in extremis solo con un accordo con i creditori. Resta il grave problema di credibilità e tenuta dei conti pubblici. È una lezione per l'Italia: non siamo troppo dissimili. Ne parliamo con l'economista Michele Boldrin
Sarebbe stato il nono default della sua storia repubblicana, ma il governo di Buenos Aires sembra essere riuscito ad evitarlo in zona Cesarini, annunciando la firma dell’accordo con i creditori. Lo scenario peggiore dovrebbe essere stato evitato soprattutto grazie alla mediazione del Fmi e alla disponibilità dei detentori dei titoli: l’ennesima bancarotta argentina, infatti, avrebbe potuto avere gravi conseguenze sull’intera economia regionale, specialmente in un momento di crisi internazionale senza precedenti. Dal canto suo, durante l’estenuante trattativa, l’esecutivo di Fernàndez non ha rinunciato a giocare la carta della retorica propagandistica in chiave di consenso popolare. Il ministro dell’Economia Martin Guzman, economista considerato di vedute eterodosse, aveva bollato la sua controparte al tavolo del negoziato con un poco lusinghiero “lupi di Wall Street”. Fallita la parentesi liberista di Macri, la Casa Rosada è tornata nelle mani dei peronisti, notoriamente fautori di politiche assistenzialistiche e dirigiste. Ma l’Argentina, coi suoi quasi nove default, è solo la punta dell’iceberg di una condizione sistemica dell’America Latina dove la cultura politica populista ha fatto sì che il cumulo del debito pubblico divenisse un “compagno di viaggio” inseparabile per la maggioranza dei bilanci statali della regione. Che prezzo ha avuto, sta avendo ed avrà tutto questo sull’economia reale? Lo abbiamo chiesto a Michele Boldrin, docente alla Washington University in Saint Louis ed economista tra i più conosciuti in Italia.
Il governo Fernandez festeggia dopo l'intesa trovata con i creditori esteri per la ristrutturazione del debito. E' un ottimismo giustificato?
Le condizioni reali degli argentini non mi sembrano eccellenti: l'economia è in implosione. L'accettazione dell'accordo da parte dei creditori si deve soprattutto al fatto che la finanza nazionale è talmente malridotta da fargli temere la prospettiva di incassare zero. D'altra parte, quello della ristrutturazione è un problema, da un lato , di credibilità e dall'altro di “gioco pesante” perché il Paese che va in default può sempre decidere di non pagarti affatto. Chiaramente se tu paghi zero nessuno è più disposto a prestare alcunché, però se hai il Fondo disposto ad intervenire, il tuo potere contrattuale diventa forte.
Infatti la mediazione del Fmi è stata fondamentale per il buon esito delle trattative. A cosa si deve questa linea tenuta dall'organizzazione diretta da Kristalina Gheorghieva?
Da ormai qualche anno l'orientamento politico del Fondo – come di tutta una serie di agenzie internazionali – è diventato molto populista. Il Fmi può scegliere di fare degli sbagli politici, poi vedremo quali saranno le conseguenze. Purtroppo quest'organizzazione non serve più a niente e credo si potrebbe anche chiudere: al suo interno è priva di qualsiasi criterio di valutazione in termini di qualità dell'operato e tutto si riduce a dinamiche politiche. Il suo atteggiamento di populismo economico, cominciato in occasione della crisi greca, continua e la vicenda argentina ne è la prova.
Il Paese è andato ad un passo dal nono default della sua storia repubblicana, il terzo dell'ultimo ventennio. Sbaglio o sta diventando uno schema consolidato e quasi accettabile?
C'è tutta una letteratura che parte da Obstfeld e Rogoff sui Paesi con debito sovrano in valuta estera che dichiarano default parziali e non completi e poi ricominciano a fallire. E' un trucchetto complicato in cui s'inseriscono diverse variabili: il debito di quel tipo tende sempre a rendere di più ed il rischio di default è già incorporato. Quindi, se io sono un investitore che si butta in simili operazioni, non è detto che non l'abbia calcolato. Se si mette male ci sta anche perdere il 40-50% del capitale, tanto ho già registrato i miei guadagni. Poi, quando la situazione si aggiusta faccio un altro giro. Dal canto suo, il Paese che cerca il default può fare leva sulla minaccia di dire in sede di trattativa: 'io ti pago zero'. Alla fine chi ci mette i soldi guarda la sostanza: in quest'ultimo caso argentino, se i creditori hanno accettato l'accordo con il governo è perché gli è convenuto rispetto alla ragione ovvia che avrebbero potuto anche prendere di meno. Questo è il meccanismo che ci sta sotto. Ma il problema è un altro.
Quale?
Il problema è di credibilità. Quello che conta, alla fine, è l'azione delle aziende. E molte multinazionali hanno già annunciato la fuga dall'Argentina. Se le aziende se ne vanno vuol dire che non sei credibile, come succede nei Paesi africani. Il governo aveva un contenzioso con i creditori che, forse, ha risolto e non senza costi. Fine. Intanto la recessione continua, le imprese chiudono e la gente se ne va. Non è che dopo il raggiungimento dell'intesa ci sarà la distribuzione di pani e pesci: al tavolo degli argentini domani ci saranno gli stessi gnocchi di ieri.
Il ministro dell'economia Guzman sta presentando la ristrutturazione del debito come una vittoria del governo...
Non è una vittoria. Il Paese è in crisi di reddito da più di due anni e mezzo e la ristrutturazione del debito non vuol dire certamente che ora l'Argentina tornerà allegramente sui mercati internazionali. Un conto è ricevere prestiti da una o più istituzioni internazionali, un conto è diventare – nemmeno ridiventare - attraente per i mercati. E' molto buffo vedere come a un Paese strutturalmente prono ad abusare della finanza pubblica sia sufficiente fare un po' di penitenza per vedersi concesso ulteriore credito. Ciclicamente, poi, dopo un breve periodo in cui sembra esser diventato virtuoso, comincia a “sbarellare” e cade in errore. Lo stesso Macri ne fece uno grave: ereditando una situazione molto precaria dalla Kirchner, si convinse che per evitare il disastro sarebbe bastato puntare su una specie di politica di soft landing. E sbagliò.
Vede delle somiglianze tra la situazione argentina e quella italiana?
L'Argentina è la versione più estrema dell'Italia. Ha meno abitanti ed è più grande geograficamente, ma per il resto la situazione è la stessa: spesa pubblica esagerata, Stato pletorico, servizi sociali pubblici orrendi, sistema scolastico pessimo, tendenza a fare bonus, altissima evasione fiscale ed emigrazione della gioventù migliore. L'unica differenza è che mentre il settore economico italiano è tenuto in piedi dal manifatturiero, quello argentino si regge sul primario. Tutto il resto è uguale, ma loro sono stati più sfortunati.
Perché?
Non hanno la fortuna di stare nell'euro e quindi di potersi indebitare in moneta nazionale credibile. Se noi non avessimo l'euro dovremmo indebitarci in lire o in moneta estera come sono costretti a fare loro perché il risparmio nazionale non è sufficiente a finanziare a costi ragionevoli il deficit. Se non avessimo l'euro e la Bce saremmo nelle stesse condizioni dell'Argentina. Senza la prospettiva di entrare nella moneta unica saremmo andati in default nel biennio 94-96. D'altra parte, dopo la crisi del 1992 non è che le cose si siano aggiustate; si può dire che si siano tranquillizzate solo quando è diventato palese che ci avrebbero lasciato entrare nell'euro.
A proposito di default, perché le crisi del debito sono così diffuse e frequenti proprio in America Latina?
Il colonialismo ha lasciato in America Latina una struttura sociale assolutamente bipolare. La borghesia urbana di origine europea, spinta da un mix di nazionalismo ed interessi personali, ha deciso tra il primo ed il secondo dopoguerra di vivere in Paesi avanzati che potevano permettersi standard di vita, servizi pubblici e welfare paragonabili a quelli europei. Una caratteristica costante e generalizzata in America Latina – ora ridottasi in Cile e Colombia - è che gli stipendi del settore pubblico siano molto più alti di quelli del settore privato. Esattamente come in Italia, ma lì in maniera ancora più evidente. Tutto questo ha generato un sistema di debito determinato da un settore urbano parassitico. In questo, l'Argentina è esemplare: persino l'industrializzazione è parassitica rispetto all'agricoltura. Il resto dell'economia viaggia nell'arretratezza sia tecnologica che culturale, produce poco reddito e quindi fa sì che l'unica soluzione sia l'indebitamento. Nel caso argentino, poi, l'agricoltura efficiente e produttiva è stata fortemente tassata per lunghi periodi e questo ha provocato instabilità politica, con reazioni militari della borghesia contadina all'eccessiva tassazione. Purtroppo è una prigione storica che continua a perpetuarsi perché il mondo politico-culturale latinoamericano è nelle mani delle stesse élite di discendenza europea e le ideologie populiste, nemiche della meritocrazia che rappresenta un ostacolo alla loro pseudo-uguaglianza, sono servite fino ad oggi come collante: se continui a raccontare al popolo che la sua povertà non è dovuta ad arretratezza, tasse e spessa pubblica troppo alta, ma all'imperialismo americano e al capitalismo, il risultato sarà sempre questo.