Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Anastasio I a cura di Ermes Dovico
APPUNTI PER LA MATURITÀ/3

L'anima e la scienza nel fu Mattia Pascal

PRIMA PROVA SCRITTA. ESEMPIO DI TIPOLOGIA A, ANALISI E INTERPRETAZIONE DI UN TESTO LETTERARIO ITALIANO

Cultura 05_04_2020
Daniele Pecci nel Fu Mattia Pascal (2018)

L. PIRANDELLO, Il fu Mattia Pascal, capitolo X.

Pubblicato in rivista nel 1904, Il fu Mattia Pascal presenta diverse figure che rappresentano un possibile alter ego del protagonista: l’uomo di mezza età che si suicida davvero a Montecarlo dopo aver perso al gioco; Adriano Meis, libero da vincoli e coercizioni sociali, ma inesistente all’anagrafe; Anselmo Paleari, un Amleto in panni borghesi, un vero e proprio filosofo a cui è affidata l’esposizione delle questioni culturali ed estetiche più interessanti dell’intera opera; l’amata Adriana che ha quella fede di cui Adriano è sprovvisto. Questi personaggi rappresentano in un certo senso il flusso delle forme e del pensiero, le aspirazioni ideali di Mattia Pascal. Questi vorrebbe essere un filosofo, distaccato dalla vita, ma la vita finisce sempre per coinvolgerlo. Vorrebbe avere la fede di Adriana, ma tratta l’acquasantiera come un portacenere. Medita un vero suicidio a Roma, ma solo l’odio per la suocera lo induce a ritornare a Miragno.

Nel romanzo più volte si riflette sull’uomo, sulla sua diversità dalle bestie, sull’esistenza dell’anima, sulla differenza tra antichità e modernità, sull’avvento del relativismo nel clima culturale contemporaneo.

Riportiamo il dialogo tra Anselmo Paleari e Adriano Meis relativo all’esistenza dell’anima.

Noi consideriamo adesso l’uomo come l’erede di una serie innumerevole di generazioni, è vero? come il prodotto di una elaborazione ben lenta della natura. Lei, caro signor Meis, ritiene che sia una bestia anch’esso, crudelissima bestia e, nel suo insieme, ben poco pregevole? Concedo anche questo, e dico: sta bene, l’uomo rappresenta nella scala degli esseri un gradino non molto elevato; dal verme all’uomo poniamo otto, poniamo sette, poniamo cinque gradini. Ma, perdiana!, la Natura ha faticato migliaja, migliaja e migliaja di secoli per salire questi cinque gradini, dal verme all’uomo; s’è dovuta evolvere, è vero? questa materia per raggiungere come forma e come sostanza questo quinto gradino, per diventare questa bestia che ruba, questa bestia che uccide, questa bestia bugiarda, ma che pure è capace di scrivere la Divina Commedia, signor Meis, e di sacrificarsi come ha fatto sua madre e mia madre; e tutt’a un tratto, pàffete, torna a zero? C’è logica? Ma diventerà verme il mio naso, il mio piede, non l’anima mia, per bacco! materia anch’essa, sissignore, chi vi dice di no? ma non come il mio naso o come il mio piede. C’è logica?

— Scusi, signor Paleari, — gli obbiettai io, — un grand’uomo passeggia, cade, batte la testa, diventa scemo. Dov’è l’anima?
Il signor Anselmo restò un tratto a guardare, come se improvvisamente gli fosse caduto un macigno innanzi ai piedi.
— Dov’è l’anima?
— Sì, Lei o io, io che non sono un grand’uomo, ma che pure... via, ragiono: passeggio, cado, batto la testa, divento scemo. Dov’è l’anima?

Il Paleari giunse le mani e, con espressione di benigno compatimento, mi rispose:

— Ma, santo Dio, perché vuol cadere e batter la testa, caro signor Meis?
— Per un’ipotesi...
— Ma nossignore: passeggi pure tranquillamente. Prendiamo i vecchi che, senza bisogno di cadere e batter la testa, possono naturalmente diventar scemi. Ebbene, che vuol dire? Lei vorrebbe provare con questo che, fiaccandosi il corpo, si raffievolisca anche l’anima, per dimostrar così che l’estinzione dell’uno importi l’estinzione dell’altra? Ma scusi! Immagini un po’ il caso contrario: di corpi estremamente estenuati in cui pur brilla potentissima la luce dell’anima: Giacomo Leopardi! e tanti vecchi, come per esempio Sua Santità Leone XIII! E dunque? Ma immagini un pianoforte e un sonatore: a un certo punto, sonando, il pianoforte si scorda; un tasto non batte più; due, tre corde si spezzano; ebbene, sfido! con uno strumento così ridotto, il sonatore, per forza, pur essendo bravissimo, dovrà sonar male. E se il pianoforte poi tace, non esiste più neanche il sonatore?
— Il cervello sarebbe il pianoforte; il sonatore l’anima?
— Appunto, signor Meis! Ora se il cervello si guasta, per forza l’anima s’appalesa scema,  o matta, o che so io. Vuol dire che, se il sonatore avrà rotto, non per disgrazia, ma per inavvertenza o per volontà lo strumento, pagherà: chi rompe paga: si paga tutto, si paga. Ma questa è un’altra questione. Scusi, non vorrà dir nulla per lei che tutta l’umanità, tutta, dacché se ne ha notizia, ha sempre avuto l’aspirazione a un’altra vita, di là? È un fatto, questo, un fatto, una prova reale.
— Dicono: l’istinto della conservazione...
— Ma nossignore, perché me n’infischio io, sa? di questa vile pellaccia che mi ricopre! Mi pesa, la sopporto perché so che devo sopportarla; ma se mi provano, perdiana, che — dopo averla sopportata per altri cinque o sei o dieci anni — io non avrò pagato lo scotto in qualche modo, e che tutto finirà lì, ma io la butto via oggi stesso, in questo stesso momento: e dov’è allora l’istinto della conservazione? Mi conservo unicamente perché sento che non può finire cosi! Ma altro è l’uomo singolo, dicono, altro è l’umanità. L’individuo finisce, la specie continua la sua evoluzione. Bel modo di ragionare, codesto! Ma guardi un po’! Come se l’umanità non fossi io, non fosse lei e, a uno a uno, tutti. E non abbiamo ciascuno lo stesso sentimento, che sarebbe cioè la cosa più assurda e più atroce, se tutto dovesse consister qui, in questo miserabile soffio che è la nostra vita terrena: cinquanta, sessant’anni di noja, di miserie, di fatiche: perché? per niente! per l’umanità? Ma se l’umanità anch’essa un giorno dovrà finire? Pensi un po’: e tutta questa vita, tutto questo progresso, tutta questa evoluzione perché sarebbero stati? Per niente? E il niente, il puro niente, dicono intanto che non esiste... Guarigione dell’astro, è vero? come ha detto lei l’altro giorno. Va bene: guarigione; ma bisogna vedere in che senso. Il male della scienza, guardi, signor Meis, è tutto qui: che vuole occuparsi della vita soltanto.

Rispondi alle domande

Comprensione e analisi

1- Cosa emerge dei due personaggi del dialogo dal brano riportato? Cosa sai di loro dall’opera in generale?
2- Quale dei due personaggi è più convincente nella sua argomentazione sull’anima? Perché? Quali ragioni adducono Anselmo Paleari e Adriano Meis per avvallare la loro tesi?
3- Il brano presenta caratteristiche spiccatamente teatrali. Perché? Rintraccia e commenta altre caratteristiche dello stile e della poetica di Pirandello nelle pagine riportate.

Interpretazione
Partendo da altre pagine de Il fu Mattia Pascal che ritieni particolarmente significative illustra quale sia il sugo della storia (per usare un’espressione manzoniana) de Il fu Mattia Pascal. Che cosa ha imparato Mattia Pascal alla fine della storia? Che cosa vuole comunicarci Pirandello? Che cosa hai compreso tu? Ritieni che il percorso del protagonista sia fallimentare o approdi ad una soluzione? In quali opere pirandelliane compaiono ipotesi positive sulla vita e sul compimento dei personaggi?