ARTE E CATECHHESI/10
L'ambone, richiamo al sepolcro vuoto
L’ambone è il luogo proprio della parola di Dio. Quando è fatto di pietra e con una forma avvolgente richiama il sepolcro vuoto del giorno di Pasqua.
Cultura
20_08_2011
L’annuncio cristiano inizia dalla fine. Inizia dal sepolcro vuoto: «Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto» (Mc 16,6). Questo è il cuore, da qui è partito l’annuncio cristiano al mondo.
È per l’irrompere dell’avvenimento della risurrezione che i primi testimoni dovettero iniziare a ricomprendere tutto quanto avevano visto, ascoltato, vissuto con Gesù Nazareno, così come a rileggere la storia che li aveva preceduti, le Scritture e le parole dei profeti. Tutto assume un nuovo significato alla luce della risurrezione di Cristo.
L’ambone è il luogo proprio della parola di Dio. Quando è fatto di pietra e con una forma avvolgente richiama il sepolcro vuoto del giorno di Pasqua. Dall’ambone è proclamato l’Exultet: «O notte veramente beata! Tu sola hai potuto conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi». Alcuni amboni antichi sono anche recintati: entrarvi è come calcare il giardino del Santo Sepolcro.
L’ambone deve essere presenza eloquente, capace di far riecheggiare la parola di Dio anche quando non c'è nessuno che la sta proclamando. Su molti, specie dopo l’anno mille, troviamo scolpito il tetramorfo, i “quattro esseri viventi” che troviamo nel libro del profeta Ezechiele e nell’Apocalisse (Ez 1,5; Ap 4,7) e che sono tradizionalmente identificati con i quattro evangelisti in base all’incipit di ciascun vangelo.
Il vangelo di Matteo è rappresentato dalla figura umana perché il suo Vangelo inizia con la genealogia di Gesù, e quindi pone l’accento sull’umanità di Gesù.
Il vangelo di Marco è rappresentato dal leone perché inizia con la figura del Battista, “Voce di uno che grida nel deserto”, potente e solitaria come il ruggito di un leone.
Al vangelo di Luca appartiene la figura del bue, animale sacrificale, perché inizia con il sacerdote Zaccaria che si reca al tempio.
Il simbolo del Vangelo di Giovanni è l’aquila, perché, come ricorda il vescovo Durando nel suo Rationale, «egli spicca il suo volo verso le regioni più elevate, quando dice: “In principio era il Verbo”, che significa anche il Cristo, la cui giovinezza si rinnova come quella dell’aquila, perché, risuscitato fra i morti, rifiorisce ed entra in cielo».
Inoltre, sull’aquila poggia l’Evangeliario, perché Giovanni è l’apostolo che, il giorno dopo il sabato, scorgendo presso il sepolcro vuoto le bende per terra, «vide e credette» (Gv 20,8). L’ambone riconosce nelle sue forme il primato della testimonianza diretta al vangelo di Giovanni.
Il vangelo di Marco è rappresentato dal leone perché inizia con la figura del Battista, “Voce di uno che grida nel deserto”, potente e solitaria come il ruggito di un leone.
Al vangelo di Luca appartiene la figura del bue, animale sacrificale, perché inizia con il sacerdote Zaccaria che si reca al tempio.
Il simbolo del Vangelo di Giovanni è l’aquila, perché, come ricorda il vescovo Durando nel suo Rationale, «egli spicca il suo volo verso le regioni più elevate, quando dice: “In principio era il Verbo”, che significa anche il Cristo, la cui giovinezza si rinnova come quella dell’aquila, perché, risuscitato fra i morti, rifiorisce ed entra in cielo».
Inoltre, sull’aquila poggia l’Evangeliario, perché Giovanni è l’apostolo che, il giorno dopo il sabato, scorgendo presso il sepolcro vuoto le bende per terra, «vide e credette» (Gv 20,8). L’ambone riconosce nelle sue forme il primato della testimonianza diretta al vangelo di Giovanni.
Dio invisibile parla agli uomini come ad amici, scrive la Dei Verbum. Dio chiama l’uomo ad un incontro. È lui che prende l’iniziativa e va incontro all’umanità con sollecitudine. La sua parola nasce da un amore tenace. «La parola uscita dalla mia bocca non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55,11): la forza e l’efficacia della sua parola, la capacità di apportare la grazia, di operare la riconciliazione, di comunicare la vita deriva dal fatto che colui che si impegna in questa parola è il Vivente stesso.
Dio ha aderito con tale fedeltà alla parola data da consegnarsi in essa: Gesù Cristo è il Verbo incarnato. È quanto non capì il giovane ricco quando avvicinò Gesù per sapere cosa dovesse fare per ottenere la vita eterna. Il vangelo di Marco sottolinea che «Gesù fissatolo lo amò», quindi gli disse di lasciare tutto e di seguirlo (Mc 10,21). Il giovane invece si aspettava un nuovo precetto, una parola inedita, una qualche formula segreta, ma non il dono dell’amicizia di Dio, e se ne andò via triste. La lettera, senza il Verbo, uccide.
L’ambone, in quanto sepolcro vuoto, è il luogo del «non è qui» detto dall’angelo alle donne che cercavano il corpo morto di Cristo al mattino di Pasqua (Mt 28,6). L’ambone è luogo che rimanda ad altro. Infatti, nella liturgia, il libro evangeliario ha la propria sede sull’altare. E da qui viene portato processionalmente all’ambone. Questo ci ricorda che la rivelazione è più ampia della Scrittura: la Parola si è fatta carne ed è parola viva.
Il Verbo cerca la voce dei testimoni dove risuonare. Per questo all’ambone, si sta in piedi. Perché questa è la postura del Risorto. E quando si ascolta il Vangelo non si sta seduti, né inginocchiati, ma ci si alza in piedi. Perché si è chiamati a imitare il Risorto, il solo che ha parole di vita eterna.