L'alternativa al lockdown c'è, ma si preferisce la paura
Siamo incamminati inesorabilmente sulla strada di un lockdown sempre più rigido. Eppure sia dall'Oms sia da migliaia di scienziati arriva l'appello a evitare quei blocchi che già in questi mesi hanno provocato enormi danni, economici e sanitari.
Ci stiamo avviando tranquillamente verso un nuovo lockdown duro. Non lasciamoci ingannare dai giochi di parole: quando il governo dice “prendiamo queste misure restrittive oggi per evitare un eventuale lockdown”, in realtà annuncia l’inizio di un processo inesorabile di chiusura delle attività, sociali e personali. Il lockdown infatti non è semplicemente una misura che scatta al verificarsi di certe condizioni, ma è un criterio con cui si affronta il diffondersi di una epidemia.
Si parte già con delle restrizioni generali, e man mano che i contagi salgono si aggiungono nuove restrizioni; fino alla chiusura totale, come abbiamo sperimentato nei mesi da marzo a maggio scorsi. In questo modo, visto che l’inverno è tempo propizio per il diffondersi dei virus e quindi ci si può attendere ragionevolmente un aumento notevole dei casi di Covid, a meno di eventi al momento imprevedibili, la strada è segnata. Peraltro, è come se le gravi conseguenze del lockdown precedente non avessero insegnato nulla; come se dal punto di vista sanitario non ci fosse stata alcuna novità da marzo a oggi; come se in questi mesi non fosse stato possibile prepararsi in altro modo a una eventuale recrudescenza del Covid.
Eppure, negli ultimi giorni, l’ipotesi di un lockdown all’italiana (o alla cinese, in altri paesi è stato decisamente più leggero) appare molto meno remota. Nei giorni scorsi è stato reso pubblico il documento di «Prevenzione e risposta al Covid-19», a cura del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità, che prevede quattro scenari di diffusione del Covid, dal più ottimistico (situazione invariata rispetto ad oggi) al più pessimistico (situazione praticamente fuori controllo) con relativo crescendo di azioni e misure restrittive.
Ieri poi le agenzie riportavano le dichiarazioni di due tra gli esperti che vantano la massima visibilità nei media dall’inizio della crisi. Il virologo dell’Università di Padova Andrea Crisanti ha dichiarato che «un lockdown a Natale è nell’ordine delle cose», perché – citando il Regno Unito che avrebbe deciso di fare il lockdown durante le vacanze scolastiche – con un lockdown a Natale «si potrebbe resettare il sistema, abbassare la trasmissione del virus e aumentare il contact tracing». E Massimo Galli, responsabile Malattie infettive dell’Ospedale Sacco, ha detto che «rimangono 15 giorni per mettere in campo misure utili per invertire la tendenza di forte aumento dei contagi», tra cui smart working diffuso e didattica a distanza almeno per le scuole superiori. Ovvio che cosa potrà accadere se tra 15 giorni la tendenza non si fermasse.
A questo punto è opportuno richiamare i dati ufficiali della diffusione del Covid-19, trasmessi dal Ministero della Salute e aggiornati a ieri, per avere un quadro oggettivo della situazione: a ieri risultavano positive in Italia 92.445 persone, vale a dire lo 0,15% della popolazione italiana; i ricoverati con sintomi 5.470, ovvero il 5,9% dei positivi; le persone in terapia intensiva 539, ovvero lo 0,58% dei positivi.
In Lombardia, la regione più colpita da febbraio a oggi, le persone attualmente positive sono 15.218, 0,15% della popolazione residente. In totale, da febbraio ad oggi in Lombardia sono stati registrati 116.644 casi, ovvero l’1,17% della popolazione lombarda è stata colpita dal Covid (e sappiamo che gran parte di questi casi sono asintomatici o paucisintomatici). E in tutta Italia i casi totali sono stati 372.799, ovvero lo 0,62% della popolazione.
Vale a dire che il lockdown, la chiusura in larga scala delle attività e della vita sociale, blocca l’intera popolazione pur colpendo il virus una porzione minima di persone (sul totale). E sappiamo anche che a dover temere il coronavirus sono soprattutto le persone più vulnerabili: le persone anziane e quelle con importanti patologie pregresse.
Questo spiega perché anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) arriva l’invito a evitare i lockdown. Lo ha detto molto chiaramente il dottor David Nabarro, uno dei sei inviati del direttore generale dell’Oms per il Covid-19, secondo cui i lockdown hanno «una conseguenza che non si deve mai sminuire», ovvero «stanno provocando la crescita dei poveri e li stanno facendo molto ma molto più poveri».
Ancora più preciso è il documento promosso da eminenti epidemiologi e specialisti di malattie infettive di tutto il mondo e attualmente firmato da 25mila medici e poco meno di diecimila scienziati. Si tratta della Dichiarazione di Great Barrington, dal nome della località negli Stati Uniti dove è stata firmata il 4 ottobre da parte di tre scienziati: Martin Kulldorff, professore di medicina all’Università di Harvard, specializzato in malattie infettive e valutazione della sicurezza dei vaccini; Sunetra Gupta, dell’Università di Oxford, epidemiologo con esperienza in immunologia e sviluppo dei vaccini; Jay Bhattacharya, epidemiologo, esperto di politiche sanitarie, professore alla Stanford University Medical School.
La Dichiarazione sostiene che le politiche di lockdown dovrebbero essere abbandonate e sostituite da misure di “Protezione focalizzata” (Focused Protection), mirate a proteggere la parte di popolazione più vulnerabile. «Le attuali politiche di blocco - si legge - stanno producendo effetti devastanti sulla salute pubblica, a breve e lungo periodo. I risultati (solo per citarne alcuni) includono tassi di vaccinazione infantile più bassi, peggioramento degli esiti delle malattie cardiovascolari, meno screening per il cancro e deterioramento della salute mentale - con la conseguenza che questo porterà negli anni a venire a un aumento della mortalità, con la classe operaia e i membri più giovani della società che ne soffriranno il peso maggiore».
«Uno dei principi fondamentali della sanità pubblica - ha detto Kulldorff in una intervista concessa a Spiked - è che non ci si deve concentrare su una malattia, ma si deve guardare alla salute nel suo insieme, includendo ogni genere di malattia, e nel lungo periodo». Esattamente il contrario di quanto si sta facendo con il Covid-19. Peraltro i lockdown, come dimostra il caso dell’Italia, non impediscono la diffusione del virus tra giovani e anziani, e non impediscono la morte di molti anziani.
Cosa significa allora la proposta alternativa di una “Protezione focalizzata”? «Significa – risponde Kulldorff – concentrare gli sforzi sui soggetti ad alto rischio e lasciare i giovani vivere normalmente». Aperte scuole e università, aperti i bar e ristoranti, sport e attività culturali riportate alla normalità; solo sia garantito il rispetto delle norme igieniche e la permanenza in casa se malati.
Una cintura di protezione va invece stesa intorno ai più anziani e alle persone a rischio. Dice ancora la Dichiarazione di Great Barrington: «A titolo di esempio, le case di cura dovrebbero utilizzare personale con immunità acquisita ed eseguire frequenti test (...) sul resto del personale e su tutti i visitatori. La rotazione del personale dovrebbe essere ridotta al minimo. I pensionati che vivono in casa dovrebbero farsi consegnare a domicilio generi alimentari e altri beni di prima necessità. Quando possibile, dovrebbero incontrare i familiari all’esterno piuttosto che all’interno. Un elenco completo e dettagliato di misure, compresi gli approcci alle famiglie multigenerazionali, può essere implementato ed è alla portata e delle capacità di tutti i professionisti della sanità pubblica».
È un approccio perfettamente ragionevole, seria alternativa a questo clima di terrore generalizzato che provoca solo danni. Ma è anche la dimostrazione che la gestione dell’emergenza Covid è anzitutto un problema di politica, una politica che sta usando una crisi sanitaria per altri scopi.