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FALSA PAR CONDICIO

L’Agcom preferisce i giornalisti schierati

Il Garante delle Comunicazioni impone nei talk delle tv private il principio della par condicio anche per i giornalisti. Principio discutibile e pericoloso, perché legittima la figura del giornalista che indossa l’elmetto per perorare la causa di uno schieramento.

Politica 13_01_2018

La deontologia prescrive ai giornalisti l’imparzialità in ogni ambito. Non possono confondere cronaca e pubblicità e devono sempre raccontare la verità dei fatti, mettendo da parte pregiudizi e posizioni preconcette. I consigli di disciplina dovrebbero sanzionare sul piano disciplinare condotte in violazione di tale precetto, che è il più importante perché rende credibile il lavoro dei giornalisti e consacra il loro ruolo di mediatori tra i fatti e l’opinione pubblica.

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni non sembra, però, avere questa consapevolezza, o quanto meno non sembra averla così spiccata. Nello schema di regolamento per l’applicazione da parte delle tv private della par condicio in campagna elettorale, l’Agcom introduce infatti all’art.7 un principio alquanto discutibile: «È indispensabile garantire, laddove il format della trasmissione preveda l'intervento di un giornalista o di un opinionista a sostegno di una tesi, uno spazio adeguato anche alla rappresentazione di altre sensibilità culturali in ossequio al principio non solo del pluralismo, ma anche del contraddittorio, della completezza e dell'oggettività dell'informazione stessa, garantendo in ogni caso la verifica di dati e informazioni emersi dal confronto». 

In altri termini, la par condicio varrà anche per i giornalisti. Pure loro dovranno essere invitati nelle trasmissioni delle tv private in base all’orientamento culturale o ideologico, ammesso che sia così manifesto, e lo svolgimento della puntata dovrà ispirarsi rigorosamente al pluralismo e al rispetto del contraddittorio.

Questo significa che i giornalisti tiepidi o non così accalorati nelle esternazioni non verranno più invitati in quanto non classificabili o etichettabili? Ci sarà spazio solo per chi apertamente manifesta le sue opinioni a favore o contro una parte politica? Ma così facendo che differenza ci sarebbe tra i candidati o i militanti di un partito e i giornalisti che difendono le posizioni di una parte politica?

Il principio è dunque discutibile, oltre che pericoloso, perché legittima di fatto la figura del giornalista che indossa l’elmetto e ingaggia in uno studio televisivo una vera e propria battaglia per perorare la causa di uno schieramento o di una forza politica.

Ci auguriamo che i vertici della categoria dei giornalisti facciano sentire la loro voce anche in quest’occasione, rimarcando la doverosa neutralità del giornalista e la necessità che rimangano ben distinti nel suo lavoro l’esercizio della libertà d’informazione e l’esercizio della libertà di critica, quest’ultima sempre argomentata e mai viziata da appartenenze ufficiali o anche soltanto dalla difesa esplicita di posizioni di parte. 

Un’autorità peraltro di nomina politica come l’Agcom, redigendo uno schema di regolamento di questo tenore, finisce proprio per alimentare quei sospetti di politicizzazione che ciclicamente la investono, e per avallare quell’immagine deteriore di giornalismo militante che imperversa sul proscenio mediatico del nostro Paese.

Ora per la tv pubblica si attendono le direttive sulla par condicio che la Commissione di vigilanza Rai emanerà a stretto giro, ma c’è da scommettere che divamperanno le polemiche anche su quelle. Da più parti si sottolinea l’anacronismo di una regolamentazione come quella sulla par condicio che finisce per imbrigliare inutilmente la propaganda politica, ponendo problemi applicativi non da poco, stante la frammentazione della rappresentanza politica e l’aleatorietà nella scelta delle voci alle quali dare spazio. Senza dimenticare che l’internettizzazione massiccia dell’informazione rende inefficace la par condicio, inapplicabile alla Rete. 

L’Autorità, come si diceva, ha redatto lo schema di regolamento per le elezioni politiche e quello per le elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia, entrambi ispirati a un maggior controllo e a un più puntuale monitoraggio dell’emittenza televisiva e radiofonica nello specifico periodo di campagna elettorale. 

«Ogni settimana – si legge in un comunicato ufficiale - Agcom pubblicherà sul proprio sito i dati del monitoraggio e li trasmetterà alle emittenti affinché possano correggere eventuali disequilibri o anomalie entro la settimana successiva. La verifica riguarderà il tempo di parola dedicato alle diverse posizioni politiche nei notiziari e nei programmi di approfondimento informativo diffusi da ciascuna testata, tenuto conto del format, della periodicità di ciascun programma nonché della collocazione delle trasmissioni nelle diverse fasce orarie del palinsesto. In sede di valutazione si terrà conto anche del tempo di notizia fruito da ciascun soggetto politico. L’Autorità ha inoltre deciso di rivolgere un puntuale richiamo a tutta l’emittenza affinché sia garantita con rigore, secondo i criteri declinati, la parità di trattamento tra i soggetti politici in competizione avendo riguardo anche alle due distinte campagne che si sovrappongono in tale periodo. L’Autorità ha infine rilevato l’esigenza di una puntuale osservanza della disciplina riguardante la diffusione dei sondaggi in campagna elettorale».

Su questi aspetti si può anche concordare, considerato che i sondaggi sono spessissimo commissionati dalle stesse forze politiche, al punto che anche gli istituti di rilevazione risultano più o meno vicini a una forza politica piuttosto che a un’altra.

Tutto il sistema della par condicio, però, presta il fianco a più di una critica e la bozza di regolamento Agcom che si rivolge anche ai giornalisti sembra fare a pugni con la loro deontologia. Incentivando l’attuale andazzo di giornalisti sfacciatamente di parte, che negli studi televisivi dei talk show si siedono senza alcun imbarazzo accanto ai politici di uno degli schieramenti per dichiarare palesemente, fin da subito, da che parte stanno, l’Autorità rema proprio nella direzione contraria a quella del pluralismo, che non dovrebbe significare “tanto a me tanto a te”, bensì spazio a tutti, senza barriere e lenti deformanti.