Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
CONTINENTE NERO

L'Africa al G7, il continente ignorato dai Grandi

Ascolta la versione audio dell'articolo

“Dove è l’Africa al vertice G7?” si domandavano alcuni esperti internazionali constatando il poco interesse nei confronti del continente. Il presidente di turno dell'UA, il presidente delle Comore, Assoumani, era impreparato. Il Sudafrica, vicino a Putin, non è stato invitato. 

Esteri 23_05_2023
Azali Assoumani

L’Unione Africana ha partecipato al G7 conclusosi il 21 maggio a Hiroshima. Invitando l’organismo continentale, invece che alcuni singoli Stati africani come nelle precedenti edizioni del summit, il Giappone “ha voluto dare un segnale dell’importanza attribuita dal G7 alle esigenze del ‘Sud globale’”.

Così si è espresso il primo ministro Fumio Kishida spiegando la propria decisione. L’obiettivo reale, però, secondo molti osservatori internazionali, era escludere il Sudafrica, che ha partecipato agli ultimi G7, sempre invitato in quanto paese emergente del gruppo BRICS e seconda potenza economica africana. Il motivo dell’esclusione, secondo questa interpretazione, era evitare imbarazzo e incidenti diplomatici, tanto più essendo previsto l’arrivo al G7del presidente ucraino Volodymyr Zelens'kyj, dovuti al fatto che il Sudafrica ha scelto di schierarsi con la Russia, giustifica l’invasione dell’Ucraina e accusa la Nato di aver provocato la guerra. Pretoria ha persino pensato di revocare la sua adesione alla Corte penale internazionale, dopo che a marzo i giudici della Corte hanno accusato il presidente russo Vladimir Putin di aver commesso crimini contro l’umanità e hanno emesso un mandato di cattura internazionale contro di lui. Lasciando la Corte, il Sudafrica eviterebbe l’obbligo di arrestare Putin durante il vertice del gruppo BRICS che si terrà il prossimo agosto a Città del Capo. 

Supponendo che l’intenzione del premier giapponese, invitando l’UA, fosse davvero di dimostrare l’importanza attribuita dalle maggiori potenze mondiali alle esigenze del “Sud globale”, e dell’Africa in particolare, non si può dire che l’obiettivo sia stato di fatto perseguito. Lo dimostra il documento finale, il Comunicato dei Leader del G7 di Hiroshima, in cui, rispecchiando l’andamento degli incontri e degli interventi, risalta l’assenza dell’Africa o quanto meno la scarsa attenzione, sostanzialmente convenzionale, dedicata al continente. Nel testo di 40 pagine, all’Africa sono dedicati i paragrafi 62 e 63.Vi si parla “di rafforzare i rapporti con i paesi africani e di sostenere una maggiore rappresentanza africana nelle sedi multilaterali”; si afferma che i G7 continueranno a fornire assistenza ai paesi e alle regioni più colpite da crisi alimentare come è stato fatto finora per alleviare le conseguenze della siccità nel Corno d’Africa; si esprime preoccupazione per le condizioni che nel continente favoriscono la diffusione di terrorismo, estremismo violento e instabilità; si assicura sostegno agli sforzi africani per garantire pace, stabilità e prosperità al continente. Seguono congratulazioni per la fine della guerra in Etiopia, appelli a sostenere la Somalia, nella lotta contro il gruppo jihadista al-Shabaab, e la Repubblica democratica del Congo, minacciata nella sua integrità territoriale. La parte del documento dedicata all’Africa si conclude con la condanna della guerra scoppiata in Sudan e con un grazie per la loro generosità ai paesi limitrofi disposti a ospitare i profughi sudanesi.

Di certo non ha giovato alla causa africana il fatto che a rappresentare i 55 Stati del continente fosse il presidente delle Isole Comore Azali Assoumani, presidente di turno dell’UA, impreparato al compito al punto che, durante un incontro bilaterale con il premier giapponese, ha definito la Cina “paese fratello dell’Africa” invece che il Giappone, meritando un sorriso imbarazzato da parte di Kishida.

Invece del presidente Azali, per l’Africa ha parlato il commissario UA per il commercio e l’industria, lo zambiano Albert Muchanga, che nei giorni precedenti al G7 ha rilasciato interviste ai mass media internazionali per spiegare che cosa il suo continente si aspetta dalle potenze mondiali e come intende muoversi in futuro sullo scenario internazionale.

Muchanga ha detto che d’ora in poi l’Africa non accetterà più di continuare a essere soltanto una fonte di materie prime per il resto del mondo, ma fabbricherà prodotti finiti che esporterà con ben maggiore profitto. Come esempio, ha annunciato un progetto per la costruzione di batterie per auto elettriche che vedrà la collaborazione di due paesi: la Repubblica democratica del Congo, che fornirà il cobalto di cui abbonda, e lo Zambia, che metterà il suo rame. Ma altri progetti sono in cantiere che gli Stati Uniti hanno già detto di essere disposti a finanziare. L’Africa vuole un futuro di rapporti sinceri e reciprocamente vantaggiosi con i suoi partner economici, ha inoltre spiegato Muchanga. Avrà le infrastrutture necessarie per sviluppare nuovi accordi commerciali, grazie anche al grande contributo offerto della Cina. Un ulteriore spinta allo sviluppo verrà dalla realizzazione dell’Area di libero scambio a cui hanno aderito tutti i paesi africani. Ha preso il via nel 2021, ha ricordato, e sarà seguito dalla creazione di una Unione doganale africana.    

L’invito rivolto all’Unione Africana dal G7, dice Muchanga, “è il riconoscimento dell’influenza strutturale dell’Africa sull’economica mondiale. L’Africa deve poter far sentire con forza la sua voce in merito a tutte le  questioni economiche globali”.

“Dove è l’Africa al vertice G7?” si domandavano alcuni esperti internazionali constatando il poco interesse nei confronti del continente. “Di che Africa parla?” è la domanda che sorge leggendo le dichiarazioni del commissario UA: non il continente delle  guerre, dei colpi di stato, del jihad, della corruzione, non quello dei paesi sommersi dai debiti, con la Cina tra i principali creditori; non il continente in cui la libera circolazione di merci e persone è e resterà a lungo inattuabile: non solo soggetta a dazi (sia legali che arbitrariamente imposti), ma resa proibitiva dalla scarsa o nulla manutenzione delle vie di comunicazione e pericolosa dalla presenza di gruppi e bande armati che controllano immensi territori.