L'abbé Barthe spiega cosa manca al conservatorismo cattolico
Sulla rivista Verbo, l’abbé Claude Barthe fa un dettagliato elenco delle leggi francesi contro la vita e la famiglia e spiega perché il “conservatorismo”, che condanna le conseguenze senza andare alle loro cause, si rivela fallimentare. Il caso del matrimonio civile obbligatorio e delle proteste contro la legge Taubira.
La rivista madrilena Verbo ha dedicato i suoi due ultimi numeri all’enciclica Quas primas e alla Regalità sociale di Cristo. Il direttore, Miguel Ayuso, ha spiegato questa anticipazione – il centenario dell’enciclica di Pio XI cadrà solo nel dicembre 2025 – con l’intento di proseguire poi lungo il prossimo anno con una valutazione di interventi altri, avendo alle spalle i principi fondamentali della questione. Numerosi e molto autorevoli tutti gli interventi contenuti nei due fascicoli. Nello spazio ridotto di questo blog mi limito a segnalare una interessante riflessione dell’abbé Claude Barthe, francese, nel suo articolo dal titolo: La dimensión política de la defensa del derecho natural (pp. 575-584).
L’autore fa un lungo e completo elenco degli interventi legislativi della Repubblica francese contro la vita e la famiglia: dalla legge Neuwirth del 1967 che autorizza la vendita e l’uso dei metodi anticoncezionali fino alla legge costituzionale dell’8 marzo 2024 sulla libertà di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza. Davanti ad una corruzione così profonda e lacerante del diritto naturale, Barthe ritiene che non ci si debba fermare al “conservatorismo” che condanna le conseguenze senza andare alle loro cause, ma occorra invece fare proprio questo. Egli porta il caso concreto del movimento “La Manif pour tous” che nel gennaio 2013 realizzò delle manifestazioni di piazza veramente imponenti ma limitate al progetto di inserirsi nelle istituzioni laiche per correggerle evitando che facciano cattive leggi. Barthe paragona questa tattica a quella del ralliement intrapreso dai cattolici francesi contro le leggi anticostituzionali di fine Ottocento. Tentativi ambedue insufficienti e ambedue falliti.
Un’opportunità perduta dal movimento Manif pour tous è stata quella di non aver lottato per liberarsi dal “matrimonio religioso repubblicano”. In Francia il matrimonio civile è obbligatorio per chi vuole celebrare quello religioso e il primo deve precedere il secondo, diversamente, per esempio, dalla normativa italiana circa gli effetti giuridici del matrimonio religioso. Lo Stato laico francese obbliga i coniugi cattolici – sotto pena di sanzioni penali da parte del ministro per il culto – a sottomettersi ad esso prima di celebrare il matrimonio religioso che per loro è l’unico. La Manif si opponeva alla legge Taubira sul “matrimonio” tra persone dello stesso sesso. In quel caso la Manif puntava ad un buon matrimonio repubblicano obbediente al diritto naturale, ma non premeva per togliere l’obbligo del matrimonio civile prima di quello religioso e, quindi, non andava fino in fondo.
Lo sguardo dell’autore non è rivolto solo ai laici, ma si estende anche ai vescovi francesi. Egli sostiene infatti che «la passività di questi vescovi o, con eccezioni degne di nota, la debolezza dei loro interventi, è una delle cause, e non certo la minore, dell’impotenza cattolica» (p. 582).