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LETTURE

La vera storia delle ceneri di Pirandello

Dopo la morte dello scrittore siciliano, vennero trovate le sue disposizioni testamentarie - vecchie di trent’anni - relative al funerale: chiedeva che il suo corpo venisse incenerito e che le ceneri venissero disperse nella campagna natia. Ma che fine fecero quelle ceneri? La storia è degna di un’opera teatrale…

Cultura 01_11_2020

Quanto accadde dopo la morte di Pirandello fu una vera e propria odissea, che potrebbe competere con gli intrecci dei romanzi pirandelliani, ad esempio de Il fu Mattia Pascal. Un intreccio alquanto incredibile e inverosimile. Ma, per usare le parole di Pirandello tratte dalle Avvertenze agli scrupoli della fantasia, la vita non è verosimile.

Subito dopo la morte vennero trovate le sue disposizioni testamentarie relative al funerale, redatte su un foglio di carta, appassito e rinsecchito, quindi risalente a qualche anno prima: lo scrittore chiedeva che il suo corpo venisse incenerito e che le ceneri venissero disperse nella campagna dov’era nato. Che fine fecero, però, le ceneri di Pirandello? Lo racconta Enzo Papa nel saggio La vera storia delle ceneri di Pirandello (Lombardi Editori).

Alla lettura del testamento rimase sbalordito il rappresentante del Governo (di cui non fu mai chiarita l’identità) e ancor più sconcertato fu il sacerdote amico, don Giuseppe De Luca, che era accorso alla notizia della morte dello scrittore. All’epoca la cremazione era proibita dalla Chiesa, propugnata dalla Massoneria, vista con distacco dal fascismo.

Qualche mese prima di morire Pirandello aveva rilasciato al giornalista Carlo Cavicchioli un’intervista che lasciava intuire un cammino esistenziale verso una posizione più chiaramente religiosa e credente. Come mai Pirandello decise di lasciare un testamento siffatto? Perché manifestare il desiderio di scomparire nel nulla, di non avere nessuno che accompagnasse il suo feretro? Forse perché l’adesione di Pirandello ad alcune verità del cristianesimo (maturata negli ultimi tempi) era del tutto cerebrale e intellettuale, non vissuta e incarnata nel quotidiano.

La risposta, però, potrebbe anche essere un’altra. Il testamento era stato, probabilmente, redatto venti o addirittura trent’anni prima e non era mai stato annullato, come proverebbe quanto segue. Tre giorni dopo la morte, il 13 dicembre 1936, Pirandello venne cremato. Corrado Alvaro scrisse ciò che Stefano, figlio di Pirandello, gli aveva riferito: «Avessi visto; un pugno di cenere. Come se fossero passati mille anni». La legge vietava che le sue ceneri venissero disperse. Esse vennero, perciò, deposte nel cinerario comune del Verano.

Nel 1938 l’avvocato Ottavio Lo Presti caldeggiò il ritorno delle ceneri di Pirandello ad Agrigento. Si rivolse, così, a Mussolini che chiese il parere del Vaticano, tramite la sua segreteria. Fu Giovanni Battista Montini (futuro Papa Paolo VI) a rispondere al vescovo di Agrigento, monsignor Giovanni Battista Peruzzo:

Eccellentissima Reverendissima,

è stato portato a conoscenza di questa Segreteria di Stato che, tra non molto, la città di Agrigento tributerà solenni onoranze funebri a Luigi Pirandello, e come non possano, senza scandalo dei fedeli, essere escluse, in tale circostanza, le cerimonie religiose.

A vostra Eccellenza è nota la vita e le opere letterarie del celebre scrittore, e come negli ultimi anni di sua esistenza il Pirandello siassi mostrato non avverso alla Religione; anzi pare che sul suo letto pendeva l’immagine del Crocifisso. D’altra parte il testamento, col quale egli disponeva la cremazione del suo cadavere, risulta anteriore di ben un trentennio al tempo delle sue mutate condizioni di spirito. Ciò posto, […] V. E. potrà permettere, purché ridotta al minimo, la manifestazione religiosa. Questa poi dovrà essere subordinata all’assicurazione che le ceneri dello scrittore siano composte in una cassa funebre.

Montini concludeva che il vescovo avrebbe dovuto comunicare ai fedeli in maniera adatta il cambiamento spirituale di Pirandello avvenuto negli ultimi anni.

La lettera offre importanti informazioni (datazione del testamento a trent’anni prima della morte, cambiamento spirituale di Pirandello, il crocifisso in casa) la cui fonte non può che essere una persona vicina allo scrittore e amica di Montini, ovvero don Giuseppe De Luca.

Come mai le ceneri rimasero a Roma ancora per anni? Perché cambiò in breve tempo il podestà di Agrigento e, nel contempo, il clima storico-politico si avviava verso la Seconda Guerra Mondiale. Anche in Italia si accese il dibattito che avrebbe portato, poi, all’entrata in guerra nel 1940.

Alcuni anni più tardi, nel 1946 il sindaco di Girgenti (divenuta nel frattempo Agrigento), Giovanni Lauricella, rivendicò di nuovo per la propria città le ceneri di Pirandello, a nome di un comitato costituito dall’associazione Corda Fratres affiliata alla Massoneria. La richiesta finì nelle mani del ministro della Pubblica Istruzione, Guido Gonella, che manifestò il suo disappunto. Il vescovo Peruzzo consegnò a Lauricella le lettere di Montini. Allora venne coinvolto nella vicenda il professor Gaspare Ambrosini, appena eletto alla Costituente, che ottenne l’autorizzazione alla traslazione della salma da Alcide De Gasperi.

Il professore Ambrosini si offrì anche di accompagnare le ceneri che furono deposte, d’accordo col figlio Stefano, in un vaso attico a figure rosse del V secolo a. C., acquistato dal padre di Luigi Pirandello tanti anni prima. Alcide De Gasperi ottenne dal Comando militare alleato un aereo militare da trasporto delle Air Forces. Poco prima del decollo dieci siciliani chiesero di poter salire a bordo dell’aereo per ritornare in Sicilia. Quando scoprirono che l’aereo portava le ceneri di Pirandello, vollero scendere dal mezzo, timorosi che proprio quel giorno si potessero compiere le disposizioni dello scrittore. Queste furono le parole di uno dei passeggeri:

«Pirandello, quello che aveva chiesto che le sue ceneri fossero disperse al vento? Non è che il destino ha stabilito di accontentarlo proprio oggi?»

I piloti chiesero le ragioni della discesa dei passeggeri e, conosciutele, decisero di non pilotare più l’aereo adducendo la scusa che un motore non funzionava. Il professore Ambrosini partì col treno in compagnia del vaso greco posto dentro una cassa. Durante il viaggio si addormentò e ritrovò la cassa solo più tardi in un altro vagone: la stavano utilizzando come tavolo per giocare a carte. Il vescovo Peruzzo acconsentì a benedire il vaso greco purché venisse collocato in una bara cristiana. Non essendoci bare pronte ad Agrigento, ci si avvalse di una piccola bara bianca per bambini. La cassa non entrava nella bara, quindi s’estrasse il vaso e lo si collocò dentro la bara. Si celebrò così il secondo funerale di Pirandello, con sfarzo e in forma cristiana, il funerale che lui non avrebbe voluto, almeno in base alle disposizioni testamentarie.

Il vaso greco con le ceneri venne collocato provvisoriamente nella casa natale di Pirandello, in attesa che fosse pronto il monumento funebre nella località Caos. Solo quindici anni più tardi fu, però, pronta l’opera nella quale fu murato un cilindro d’alluminio contenente le ceneri. Fu benedetto il monumento alla presenza di autorità civili e religiose.

Il dottor Zirretta, direttore del Museo Comunale di Agrigento, incaricato del travaso, estrasse a fatica le ceneri che non potevano essere contenute interamente nel piccolo cilindro di alluminio. Le rimanenti vennero sparse da un colpo di vento o per distrazione di Zirretta o per sua deliberata volontà, per adempiere almeno in parte le disposizioni di Pirandello.

Ultima tappa dell’odissea delle ceneri risale al 1994 quando si scoprì che il vaso greco conteneva ancora delle ceneri. Furono sottoposte all’esame del DNA: solo una piccola parte di esse apparteneva a Pirandello, il resto era di altri cadaveri cremati. 

È corretto, però, riferire che il giornalista Ermogene La Foreste dissente sulle ultime tappe dell’odissea delle ceneri qui raccontata. Il 14 giugno 2009 scrisse, infatti, all’amico Dante Bernini, sovrintendente per i Beni Artistici e Storici di Roma, in una lettera pubblicata sulla rivista «Suddovest-Agrigento tra le Alpi e le Piramidi»:

Caro Dante,

            […]

Dalla viva voce dell’artefice della costruzione dell’urna di piombo e della collocazione:

  1. I residui nel vaso non erano le ceneri di Pirandello, bensì i frammenti minuti del coperchio;
  2. Le ceneri, quando ci si accorse che non era possibile collocarle, per mancanza di spazio, nell’urna, nella notte precedente all’inaugurazione, ne venne costruita un’altra, dallo stesso tecnico Bruno Arezzo della Soprintendenza. La collocazione avvenne al chiuso e venne saldata. Nessun vento avrebbe, quindi, potuto portare via le ceneri. […]

Lieto di aver dato un contributo di verità, ti abbraccio e ti auguro buon lavoro.

     Ermogene La Foreste

Cosa avrebbe detto Pirandello di questa vicenda? Probabilmente l’avrebbe considerata degna di un’opera teatrale. Diversi personaggi avrebbero riportato la ricostruzione dei fatti. E poi il drammaturgo avrebbe lasciato al pubblico la scelta: a chi volete credere? Così è, se vi pare.