La vera ecologia per preti? Stare di più in confessionale
Si assiste a un tentativo di eliminare la parola “peccato” dal linguaggio comune, escludendo la necessità di chiedere aiuto a Dio per far fronte al nostro male, come ha ricordato il cardinale Piacenza al XXX Corso sul foro interno. Secondo il penitenziere maggiore, oggi si parla tanto di ecologia ma “nessuno osa parlare” dell’essenziale “ecologia dell’anima”. Da qui il consiglio ai sacerdoti: “Volete essere davvero preti moderni ed ecologisti? State di più in confessionale!”.
Alla fine del mese scorso si è svolto in Vaticano il XXX Corso sul foro interno organizzato dalla Penitenzieria Apostolica. I lavori sono stati aperti dalla lectio magistralis del cardinale Mauro Piacenza imperniata sull’ecologia dell’anima, un concetto molto caro a Benedetto XVI, di cui, non a caso, è stato citato lo storico discorso al Bundestag tedesco del 22 settembre 2011. Il penitenziere maggiore, rievocando le parole del papa emerito, ha affermato: “In questo nostro tempo, nel quale in maniera sempre più ampia ed evidente, da più parti, viene posto al centro del dibattito pubblico, anche ecclesiale, l’urgente tema dell’ecologia, penso sia molto conveniente che la Penitenzieria Apostolica intervenga su ciò di cui forse nessuno osa parlare: l’ecologia dell’anima, che altro non è se non un aspetto essenziale della più ampia ecologia dell’uomo”.
L’unico rimedio all’adeguamento al male dell’uomo contemporaneo va rintracciato nella purificazione: questo è il cuore dell’intervento del cardinal Piacenza che se l’è presa, quindi, con una tentazione diffusa anche in molti teologi moderni, quella di “abolire” il peccato. “L’uomo contemporaneo - ha scritto il porporato - che ha eliminato o ha comunque archiviato il problema di Dio, non parla più di ‘peccato’, ma di ‘errore’, compiendo in tal modo una duplice, suicida operazione; da un lato, infatti, egli attribuisce unicamente a se stesso la responsabilità dei propri atti negativi, escludendo l’esistenza di un peccato originale e la conseguente inclinazione al male, alla quale siamo chiamati a resistere, ma che siamo chiamati umilmente a riconoscere; dall’altro, escludendo la presenza e l’aiuto di Dio e della sua grazia, l’uomo contemporaneo si auto-condanna a una drammatica solitudine nel proprio male”.
Per Piacenza la volontà di eliminare il peccato persino nel linguaggio comune sarebbe collegata a quella di emarginare Dio nella società. E mette in guardia, quindi, dalla coerenza concepita come unico criterio di giudizio dell’agire umano al posto dell’obbedienza alla verità e al bene. L’intervento del penitenziere maggiore si è poi soffermato a sottolineare l’importanza (troppo trascurata oggi) del sacramento della Riconciliazione e i doveri a cui sono chiamati i sacerdoti: “Ogni singola assoluzione sacramentale costituisce il più grande contributo che si possa dare all’ecologia umana, all’ecologia dell’anima e, attraverso di esse, all’ecologia del mondo e dell’universo”, ha affermato il porporato, concludendo con un appello sferzante: “Volete essere davvero preti moderni ed ecologisti? State di più in confessionale!”.
Il Corso sul foro interno ha ospitato relazioni su temi di stretta attualità nella vita ecclesiale. Padre Ambrogio Nguyên Van Si, ad esempio, ha parlato dell’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati. Il presidente del Collegio dei Penitenzieri Lateranensi ha specificato che il divieto non deve essere interpretato come una condanna, né come un giudizio sulle coscienze “dove solo Dio vede”. Queste persone non devono essere escluse dalla vita della Chiesa, ha scritto il religioso, e devono poter fare cammini di fede che “li rendano partecipi e attivi nella comunità ecclesiale” ma “ciò non significa però lasciare tutto al giudizio e alle decisioni private o individualistiche; al contrario tutti devono confrontarsi con l’insegnamento della Chiesa”.
Padre Ambrogio Nguyên Van Si ha fornito, poi, la sua interpretazione dell’ottavo capitolo dell’Amoris Lætitia: «La dottrina sul matrimonio indissolubile non cambia, ma cambia l’impostazione pastorale centrata sul primato della persona e sulla logica “della misericordia e dell’integrazione”». Secondo Nguyên Van Si, «il Papa usa il condizionale, dunque non dice che bisogna ammettere ai sacramenti, sebbene non lo escluda in alcuni casi e ad alcune condizioni. Non vi è quindi nessuno automatismo e l’accesso ai sacramenti, che non è un diritto da rivendicare, va garantito in alcuni casi sulla base di una visione misericordiosa e indulgente verso le fragilità umane». Il presidente del Collegio dei Penitenzieri Lateranensi ha sostenuto che «non c’è un “permesso” generalizzato, ma si lascia aperta la possibilità di accedere al sacramento caso per caso dopo un rigoroso discernimento anche nel caso che i divorziati risposati non vivano in continenza, cioè non si comportino come fratello e sorella». Va ricordato tuttavia che per i “divorziati risposati”, ove per gravi motivi (come l’educazione dei figli) non possano separarsi, proprio la condizione di vivere come fratello e sorella rimane necessaria per poter accedere validamente al sacramento della Comunione, secondo l’insegnamento di sempre ribadito nella Familiaris Consortio di san Giovanni Paolo II (FC 84).