La variante Delta smaschera le falle della vaccinazione
In Israele o Gran Bretagna i casi di variante Delta sono ormai 15.000 al giorno e mostrano che i decessi sono contenuti, ma proprio questo dato rappresenta il colpo di grazia alla teoria dell’immunità di gregge: la campagna vaccinale massiva non ferma i contagi. Il vaccino può rappresentare un beneficio individuale, personale per lo stesso vaccinato, ma non per gli altri. Anzi, è possibile che questi asintomatici diventino diffusori del virus. Eppure, anche di fronte a tali evidenze, le indicazioni governative continuano a non cambiare, ad inseguire il mito della vaccinazione globale, totale.
-AFRICA, L'APOCALISSE CHE NON ARRIVA MAI di Anna Bono
Negli ultimi giorni i professionisti del procurato allarme hanno un nuovo strumento per alimentare la paura, in una fase molto delicata della pandemia, cioè l’estate, un momento in cui le temperature giocano tutte a sfavore del virus. L’anno scorso di questi tempi i morti si contavano sulle dita di una mano, tanto che il Direttore stesso dello Spallanzani doveva ammettere che c’erano grosse difficoltà nel portare avanti le sperimentazioni vaccinali per scarsità di casi di Covid.
L’estate ha portato anche un po’ più di ottimismo, di voglia di normalità, e questo sembra dare terribilmente fastidio alle cassandre dell’emergenza continua. Così, oltre ad annunciare catastrofi venture con il prossimo autunno, si è trovato un potente strumento ansiogeno nelle varianti del virus, in particolare la cosiddetta Delta, che non è altro che la variante indiana cui è stato cambiato il nome per motivi di politically correctness. La questione delle varianti del Covid è presente fin dal marzo del 2020. Questo è un virus che presenta fin dagli inizi la caratteristica di mutare, e le mutazioni avvenute sono già diverse decine.
Tuttavia, pur presentando delle diverse caratteristiche rispetto alla contagiosità e alla diffusione più rapida, la patogenicità di queste varianti non sembra diversa dal Covid-19 originario. E soprattutto, queste varianti si possono curare con le stesse modalità e con gli stessi farmaci usati da più di un anno in qua. Un dato confermato dai medici delle terapie domiciliari che abbiamo contattato. Dagli antinfiammatori agli integratori, dall’Ivermectina all’Idrossiclorochina, le sindromi da variante Delta rispondono benissimo, come sempre, alle cure domiciliari precoci. Se invece la “gestione” dei malati Covid è consegnata alla solita Tachipirina con attesa annessa, è chiaro che la variante Delta ha il consueto campo libero per far danni anche gravi.
Tuttavia, l’esistenza delle varianti obbliga ad una riflessione sulla loro origine, e in particolare sulla relazione coi vaccini.
Un dato impressionante viene da uno dei Paesi col più alto tasso di vaccinati, e dove la variante Delta si sta diffondendo in modo preoccupante, Israele. Nello Stato Ebraico infatti il 40% dei casi di Delta è stato vaccinato con due dosi di Pfizer.
Un dato che non può non suscitare interrogativi sull'efficacia dei preparati che in questo anno sono stati annunciati come la soluzione al problema del Covid. Se Israele fino a oggi è stato il laboratorio del mondo per misurare l'efficacia della campagna vaccinale, ora può diventarlo per esaminare un'altra questione: che ne è dell’effetto dell’immunità di gregge? E ora come si comporteranno le persone che pensavano di essere al sicuro perché immunizzate, nel momento in cui emerge la possibilità che il virus possa superare il cosiddetto scudo vaccinale?
Una situazione che è stata presa in considerazione anche dal celebre microbiologo professor Crisanti, che talvolta si pone in posizione critica rispetto all’establishment. Quella della variante Delta è una di queste occasioni. Crisanti ha dichiarato che la probabilità che una variante emerga è direttamente proporzionale al livello di trasmissione. Se a questo dato sovrapponiamo la vaccinazione, si crea la situazione in cui si selezionano le varianti resistenti al vaccino. E il professore di Padova ha ricordato anche una delle norme fondamentali dell’Immunologia, sottolineata più volte da qualche voce fuori dal coro, sistematicamente tacitata: non si vaccina con alti livelli di trasmissione di un virus. Più c’è moltiplicazione virale più crescono le probabilità che aumentino le varianti e in particolare che possa emergere una variante resistente al vaccino. In sostanza, non si dovrebbe vaccinare in presenza di varianti.
Una indicazione che sappiamo bene non essere stata ascoltata, con le conseguenze a cui assistiamo proprio nei Paesi più vaccinati, come Israele o Gran Bretagna, dove i casi di variante Delta sono ormai 15.000 al giorno. Certo, i decessi sono proporzionalmente contenuti, ma proprio questo dato rappresenta il colpo di grazia per la teoria dell’immunità di gregge: la campagna vaccinale massiva non ferma i contagi. Il vaccino può rappresentare un beneficio individuale, personale per lo stesso vaccinato, ma non per gli altri. Anzi, è possibile che questi asintomatici diventino diffusori del virus.
Eppure, anche di fronte a tali evidenze, le indicazioni governative continuano a non cambiare, ad inseguire il mito della vaccinazione globale, totale. Ancora una volta emerge con forza l’urgenza di frenare l’avanzata del vacciniamo ad oltranza per lo meno impedendo che si scenda sotto l’età dei dodici anni, un limite che dovrebbe essere considerato invalicabile, anche per evitare che proprio tra i bambini si possano selezionare - a causa dei vaccini - ulteriori varianti, anche più pericolose delle attuali.