La Ue alimenta la guerra in Siria
La decisione dei 27 di revocare l’embargo sulle armi alla Siria è stata presa sulla scorta delle pressioni di Londra e Parigi, intenzionati ad armare i ribelli anti-Assad. Hanno vinto i franco-britannici e ha perso l’Europa.
Alla fine hanno vinto i franco-britannici e ha perso l’Europa, ancora una volta incapace di essere convincente, di parlare con una voce unica, in una parola di essere protagonista almeno in una crisi in atto alle porte di casa.
La decisione dei 27 di revocare l’embargo sulle armi alla Siria è stata presa martedì al termine di un lungo dibattito nel quale le pressioni di Londra e Parigi, intenzionati ad armare i ribelli anti-Assad, hanno avuto il sopravvento sugli atteggiamenti più riflessivi e cauti degli altri partner e soprattutto di Austria, Svezia, Repubblica Ceca, Finlandia e Romania.
L’indicazione emersa dalla Ue precisa che eventuali forniture di armi ai ribelli potranno essere decise dai singoli Stati solo a partire da agosto per lasciare spazio a un’eventuale soluzione politica che dovesse emergere dalla conferenza di pace prevista in giugno a Ginevra. Paradossalmente però proprio la decisione della Ue rende più difficili i negoziati e potrebbe addirittura metterli in forse dal momento che la prospettiva di un maggiore flusso di armi potrebbe indurre i ribelli a rifiutare ogni negoziato anche in virtù delle crescenti divisioni interne tra diverse concezioni politiche (laici, islamici moderasti e salafiti) e le fratture tra la dirigenza politica e i combattenti.
Quattro componenti non islamiche dell'opposizione siriana hanno duramente attaccato la Coalizione, il movimento che riunisce molti gruppi confessionali che combattono il regime di Assad, affermando che i suoi dirigenti "hanno fallito" e non sono riusciti "a prendere le loro responsabilità e a incarnare la rivoluzione avviata dal popolo siriano".
Quattro movimenti laici nati dalle grandi manifestazioni per la democrazia del 2011 "non possono più riconoscere la legittimità di un gruppo politico che tradisce la rivoluzione e non riesce a tenere conto dei sacrifici del popolo". La Coalizione, dominata dagli islamici e vicina al Qatar, non riesce né a vincere la guerra, né a porsi come interlocutore rappresentativo di tutta l’opposizione in vista della conferenza di pace di Ginevra.
Le spaccature tra i ribelli sono "notizie non buone" come le ha definite lucidamente il ministro degli Esteri italiano Emma Bonino, per la quale i contrasti nella coalizione anti-Assad rilanciano i dubbi sui reali destinatari finali delle armi che gli europei vogliono fornire.
I franco-britannici, che considerano l’impegno da attendere fino ad agosto prima di inviare armi ai ribelli solo un “auspicio”, rischiano di armare il fronte al-Nusrah e le milizie salafite: gruppi jihadisti, legati ad al-Qaeda, colpevoli di efferati atti terroristici e massacri di civili.
Rispetto al governo Monti l’approccio italiano alla crisi siriana sembra più pragmatico e meno appiattito sulle posizione degli anglo-francesi. ''Non è stato un momento glorioso per l'Europa'' ha detto la Bonino annunciando che Roma non armerà i ribelli siriani e criticando le spaccature interne alla Ue e le indecisioni della Ashton perché “presentare opzioni e non proposte certamente non ci aiuta ad arrivare a una conclusione”.
Mentre la Russia, alleata del regime di Bashar Assad, ha bocciato la scelta dell'Ue di far decadere l'embargo sulla vendita di armi in Siria, gli Stati Uniti la sostengono pienamente. "Sosteniamo l'alleggerimento dell'embargo sulle armi come parte degli sforzi della comunità internazionale per dimostrare il suo pieno appoggio all'opposizione siriana", ha dichiarato il portavoce del dipartimento di Stato Patrick Ventrell. L’arrivo di armi europee si affiancherà così alle massicce forniture saudite, turche e del Qatar che da tempo aiutano i ribelli: solo il Qatar ha fornito 3.500 tonnellate di armi per un valore di oltre 3 miliardi di dollari finite per lo più in mano ai gruppi estremisti islamici.
Il risultato più probabile della decisione della Ue sarà un’ulteriore internazionalizzazione della crisi. La fine dell'embargo Ue sulle armi è "benzina sul fuoco" ha detto l'ambasciatore della Russia presso la Nato, Alexander Grushko, mentre per il ministro degli Esteri, Serghei Lavrov, si tratta di “una minaccia” che pone ostacoli all'organizzazione della conferenza di pace.
Mosca teme probabilmente che si tratti di un primo passo in vista di un intervento militare internazionale simile a quello attuato dalla Nato contro la Libia nel 2011 e per scongiurarlo ha confermato la fornitura a Damasco del sistema di difesa antiaerea e antimissile a lungo raggio S-300 che viene visto come una minaccia da Israele che finora si è riservato il diritto di colpire con i suoi jet in territorio siriano per colpire armi dirette alle milizie libanesi di Hezbollah.
Facile prevedere quindi che le armi dei franco-britannici comporteranno un maggiore impegno dell’Iran, di Hezbollah e del governo sciita iracheno al fianco di Assad aumentando il livello di tensione di conflittualità che però non comporterà una svolta nel conflitto.
Dall’andamento attuale delle operazioni militari sembra anzi imminente un significativo successo campale dei lealisti che stanno conseguendo progressi in diversi settori da Damasco a Homs a Qusayr. Un successo che difficilmente porterà però le forze di Assad a sbaragliare definitivamente la ribellione prolungando così il conflitto e accentuando il rischio di un suo allargamento al Libano, già sconvolto da scontri tra sciiti e sunniti.
La decisione della Ue non contribuirà quindi a obbligare i contendenti a negoziare e inoltre non attribuirà all’Europa un ruolo più incisivo e determinante nella guerra siriana e più in generale nella crisi mediorientale.