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NO FLY ZONE

La Turchia vuole entrare in Siria per controllare i curdi

Turchia e Usa sarebbero vicini a un accordo per l'istituzione di una zona cuscinetto nel Nord della Siria, controllato da forze turche. In teoria si tratta di una mossa contro lo Stato Islamico, che ormai è un pericolo anche per la Turchia. In pratica l'obiettivo principale è impedire la nascita di uno Stato curdo.

Esteri 17_08_2015
Turchi ammainano la bandiera a Suleiman Shah, Siria

Turchia e Stati Uniti potrebbero essere vicini a un accordo sull’istituzione di una zona cuscinetto nel nord della Siria per una lunghezza di un centinaio di chilometri e una profondità di almeno 40  tra le città di Marea e di Jarabulus. In realtà da settimane Ankara annuncia di aver raggiunto un’intesa con gli statunitensi regolarmente smentita da Washington: pare che su molti dettagli le discussioni bilaterali siano ancora in stallo, come ad esempio l’estensione di una no fly-zone sulla “zona cuscinetto” e l’integrazione dei cacciabombardieri turchi nelle forze della Coalizione. Resta però singolare che nessuno parli della necessità che siano le Nazioni Unite ad autorizzare una simile limitazione alla sovranità siriana.

Le forze di Damasco sono infatti già fin d’ora invitate a tenersi alla larga dalla zona cuscinetto che ufficialmente dovrebbe impedire all’Isis di rafforzarsi lungo il confine turco ma sembra sia stata concepita più che altro per impedire ai curdi siriani di saldare le aree sotto il loro dominio con quelle controllate dai curdi iracheni costituendo il bastione e l’embrione di un futuro Stato curdo.

Un funzionario del ministero degli Esteri turco ha infatti rivelato al quotidiano locale “Hurriyet” che Turchia e Stati Uniti sarebbero concordi nell’impedire a membri del Partito dell’Unione democratica del Kurdistan (Pyd) di entrare nella zona cuscinetto. "Non vi è alcuna esitazione sui punti riguardanti l’intesa con gli Stati Uniti che prevedono che il divieto per i membri del Pyd (Partito democratico curdo) di non attraversare l’area ad ovest del fiume Eufrate”, ha dichiarato il funzionario, giustificando la mossa come un tentativo di impedire la pulizia etnica adottata dai curdi in altre aree della Siria. Infatti, per il funzionario lo scopo della zona cuscinetto è quello di permettere agli sfollati di etnia araba e turcomanna, attualmente in Turchia, di rientrare nelle loro terre. “Il Pyd conosce le aree da non oltrepassare” ha detto il funzionario, sottolineando che il messaggio è stato trasmesso al gruppo attraverso gli Stati Uniti e anche attraverso vari canali. Come ha ricordato un’analisi dell’Agenzia Nova, in questi mesi le Unità di difesa del popolo curdo (Pyg), braccio armato del Pyd, hanno ottenuto importanti vittorie contro lo Stato islamico sostenendo insieme alle truppe di Assad gran parte del peso della lotta contro i jihadisti.

Ankara, che in più occasioni ha aiutato o non ha comunque ostacolato l’Isis (come durante l’assedio di Kobane), accusa le milizie curde di compiere una politica di pulizia etnica nelle aree siriane di confine cacciando e perseguitando le popolazioni di etnia turcomanna e araba (accusa reiterata ai curdi iracheni anche dal governo di Baghdad in relazione alla regione di Kirkuk) con il fine di rendere i curdi maggioranza in tutta la regione. L’intervento turco contro l’Isis che prese il via dopo l’attentato di Suruc, quasi un mese or sono, pare quindi sempre più un pretesto per colpire i curdi turchi del Pkk  (Partito dei lavoratori del Kurdistan) e limitare lo spazio di manovra dei curdi siriani creando nella zona cuscinetto un’area in mano ai turcomanni e protetta dalle forze di Ankara anche se il ministro degli Esteri uscente di Ankara, Mevlut Cavusoglu, ha ribadito che l'impiego di truppe di terra in Siria nell'ambito delle operazioni di contrasto all'Isis è "improbabile".

Nei giorni scorsi il premier incaricato, Ahmet Davutoglu, non aveva escluso l'invio di contingenti precisando però  che "se le forze moderate siriane avranno abbastanza potere non sarà necessario per la Turchia o altri Paesi inviare truppe sul terreno". Il problema è però intendersi sul termine di “forze moderate siriane”. Se con questo termine si intendono i ribelli delle formazioni confluite nell’alleanza Esercito della Conquista si tratta di islamisti ben poco “moderati” tra cui anche i qaedisti di al-Nusra, gruppi salafiti e i Fratelli Musulmani. Milizie ideologicamente non meno jihadiste dell’Isis.

Se invece per “moderati” ci si riferisce alle milizie addestrate di fresco dagli istruttori statunitensi in Turchia, meglio non farsi troppe illusioni. Il programma finanziato dal Pentagono con 500 milioni di dollari per addestrare 3 mila reclute non è riuscito a trovare più di qualche decina di volontari. I primi 60 combattenti “moderati” sono stati attaccati da al-Nusra appena entrati in Siria provocando raid aerei statunitensi che sono però stati contestati dagli stessi combattenti addestrati da Washington, probabilmente già affiliatisi ad al-Nusra per evitare guai ulteriori.

Nei fatti quindi la tanto sbandierata operazione statunitense di addestramento di milizie moderate siriane da opporre all’ISIS sembra essere già naufragata nel ridicolo così come l’offensiva militare turca non sembra costituire una particolare minaccia per lo Stato Islamico e altri gruppi jihadisti ma solo per i curdi e le loro aspirazioni. Allo stesso tempo anche il via libera di Ankara all’impiego della base di Incirlik da parte degli F-16 statunitensi, rischierati dalla base italiana di Aviano, non ha per ora coinciso con una radicale escalation della blanda offensiva aerea della Coalizione che in un anno non sembra aver fatto molto per fermare l’Isis.

La disponibilità di Incirlik abbrevia i tempi (e i costi) delle operazioni sulla Siria che hanno visto finora i jet alleati decollare da Giordania e Kuwait, ma senza un deciso incremento dei raid sarà difficile ostacolare seriamente l’avanzata dell’Isis, contenuta finora in Siria solo dalle truppe di Assad e dai curdi. Del resto che l’Isis rappresenti oggi una seria minaccia anche per la Turchia è confermato dal sequestro di 30 vesti suicide nelle ultime retate della polizia contro sospetti miliziani dell'Isis. In base a quanto dichiarato da fonti ufficiali, più di 2.500 persone sarebbero state arrestate nelle retate che hanno avuto luogo dopo l'attentato attribuito all’Isis di Suruc, il 20 luglio scorso. Di queste la maggior parte sarebbero sospettati di avere legami con i ribelli separatisti curdi del Pkk (che continuano gli attacchi a forze militari e di polizia nel sud della Turchia) e con gli estremisti di sinistra del Dhkp-C mentre solo il 22 per cento dei fermati sarebbe legato allo Stato Islamico nonostante dall’inizio dell’anno Ankara abbia espulso oltre 700 “foreign fighters” che cercavano di entrare in Siria.

Un giro di vite, quello sui volontari stranieri dell’Isis, ben esemplificato dal fatto che i turchi fermarono l’anno scorso 520 aspiranti jihadisti e dal 2011, quando prese il via il conflitto siriano, ne hanno fermati meno di 2mila mentre si stima che il Califfato venga raggiunto da un migliaio di volontari ogni mese che transitano soprattutto attraverso la Turchia.