La traslazione di Pio IX, perseguitato anche da morto
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Dopo averlo osteggiato da vivo, i massoni impressero anche su una medaglia l'"immortale odium" verso Papa Mastai per premiare i facinorosi che tentarono di gettarne la salma nel Tevere. Era il primo atto di una damnatio memoriae che ancora colpisce il Pontefice dell'Immacolata.
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San Lorenzo fuori le mura, una delle basiliche più antiche di Roma. La vecchia basilica – detta “Basilica maior” – addirittura risale al IV secolo e fu costruita dall’imperatore Costantino. Vicino, sorge il cimitero monumentale del Verano. La facciata della basilica è austera. All’interno vi sono le tombe di tre importanti martiri cristiani: il protomartire santo Stefano, san Giustino e, ovviamente, san Lorenzo (tutti e tre riposano nello stesso sarcofago). Ma fra le illustri tombe della basilica romana, una soprattutto ha una storia del tutto eccezionale: è la tomba del beato Pio IX (Senigallia, 13 maggio 1792 - Roma, 7 febbraio 1878) di cui oggi ricorre la memoria liturgica.
Era stato lo stesso pontefice a scrivere nel suo testamento: «Il mio corpo divenuto cadavere sarà sepolto nella Chiesa di S. Lorenzo fuori le mura, e precisamente sotto il piccolo arco esistente contro la la così detta graticola, ossia pietra nella quale si designano anche adesso le macchie prodotte dal martirio dell’illustre Levita (San Lorenzo). La spesa del monumento non deve eccedere quattrocento scudi. Fuori del modesto monumento si vedrà scolpito un triregno con le chiavi: poi una epigrafe concepita nei termini seguenti: – Ossa et cineres Pii P.IX Sum: Pont: vixit ann: … in Pontificatu an: … Orate pro eo – Lo stemma gentilizio sarà un teschio di morte». Era, dunque, questo il sito designato per la sepoltura dell’ultimo papa re: papa Mastai Ferretti, quando morì, aveva 85 anni e il suo regno era durato 31 anni, 7 mesi e 25 giorni.
Alla morte del beato Pio IX l’Italia ancora viveva forti lotte intestine, scia dei violenti e cruenti venti della Repubblica romana e soprattutto dell’instaurazione del nuovo Regno d’Italia. Paolo Gulisano spiega bene il clima che si respirava nella Città Eterna in quell’epoca nel suo O Roma o morte! Pio IX e il Risorgimento (Il Cerchio iniziative editoriali, 2000, Rimini): «La morte del Papa aveva lasciato Roma e l’intero mondo cattolico nel dolore: specialmente il popolino sapeva che un grande uomo, in odore di santità, lo aveva lasciato per il cielo. Si guardava con timore alle possibili interferenze politiche italiane o di altre potenze avverse al cattolicesimo». Una situazione, dunque, che non permetteva certo di adempiere al volere di un papa di una propria sepoltura fuori dalla basilica vaticana.
E così fu, tanto che il corpo di papa Pio IX venne temporaneamente deposto nello spazio all’interno della basilica di San Pietro deputato alle sepolture provvisorie dei papi. Intanto i lavori nella basilica di San Lorenzo per ospitare il corpo di Pio IX cominciarono e durarono ben tre anni. Il nuovo pontefice, Leone XIII, scelse la data della traslazione del corpo di Mastai Ferretti per portarlo all’agognata San Lorenzo fuori le mura: il 13 luglio 1881. Le autorità della Prefettura di Roma avevano espressamente richiesto che il trasporto avvenisse di notte per evitare eventuali incidenti. Più che una traslazione, in questa maniera congeniata, poteva sembrare una sorta di “ritirata”: il pontefice, ultimo papa re, se doveva uscire da San Pietro doveva farlo di nascosto.
Da questo momento in poi comincia quella che potrebbe definirsi una triste storia che, forse, ancora oggi continua: una “damnatio memoriae” che vuole il grande pontefice del dogma dell’Immacolata Concezione vittima di menzogne e di una storiografia azzardata, di parte e non veritiera. La triste storia riguarda la traslazione della sua salma poiché incidenti e disordini sono stati protagonisti del percorso del carro funebre dalla basilica di San Pietro a quella di San Lorenzo fuori le mura.
Prime luci dell’alba di quel 13 luglio 1881. Roma ancora sonnecchiava quando le voci della possibile traslazione si aggiravano già tra le vie capitoline. Possiamo solo immaginare il “tam tam” fra il popolino. Non era certo quella l’epoca di telegram ma il passaparola era uno dei mezzi più efficenti. Roma era letteralmente divisa in due gruppi, in due blocchi avversi: c’erano i liberali che non aspettavano altro che gettare ancora più fango sulla figura del pontefice e, poi, invece c’era chi, fedele al romano pontefice, era ancora legato a un passato abbastanza recente. Per questo motivo, fu imposto alle autorità della Santa Sede che la processione avvenisse di notte. Precisamente a mezzanotte. E il tutto doveva avvenire in assoluto silenzio e senza alcuna solennità.
Il carro funebre, al rintocco della mezzanotte, partì da San Pietro. Quattro cavalli, neri, trainavano la carrozza funebre sormontata da un drappo rosso. Dietro, uno sciame di altre carrozze che trasportavano il seguito dei cardinali. La folla si era già radunata nel pomeriggio nella piazza del Bernini. Impossibile passare inosservati. Il popolo cattolico volle allora seguire il feretro recitando il Santo Rosario: il suono sommesso delle preghiere riempiva la piazza. Era il loro ultimo saluto al papa che era stato il successore di Pietro per così tanti anni. Al quartiere di Borgo, vicinissimo alla piazza della basilica, cominciò un vero e proprio corteo funebre con torce: la notte tra il 13 e il 14 luglio fu una notte che mai Roma potrà dimenticare nella sua storia. Le luci dei cattolici volevano essere spente dall’oscurità.
Fin qui l’ossequioso silenzio. Ma poi, d’un tratto, il corteo dovette affrontare mille peripezie. Giunto all’altezza di piazza Rusticucci, una folla di fanatici (tutti assoldati dalla massoneria) cominciarono a gridare contro il corteo: «Il Papa nel Tevere». Subbuglio e strida dominavano la triste scena che si ripetè all’altezza di castel Sant’Angelo. I facinorosi che parteciparono agli scontri furono persino “premiati” con una medaglia fatta coniare dalla massoneria appositamente per loro. Su una facciata c’era scritto «Ai Romani che giudicarono il papato. La sera del 13 luglio MDCCCLXXXI»; nell’altra facciata vi era scritto «Immortale odium et nunquam sanabile vulnus». Ma il percorso era ancora lungo e il carro funebre si fermò più volte prima di raggiungere San Lorenzo fuori le mura: un’altra rissa avvenne nei pressi di palazzo Braschi (vicino la famosa piazza Navona); e ancora, a piazza del Gesù; e poi piazza Venezia. Questi luoghi erano ancora lontani dalla destinazione finale. Uno scontro molto forte avvenne nei pressi del luogo dove ora sorge la stazione Termini: si arrivò persino alle pietre lanciate contro il popolo orante che seguiva il feretro. Una notte di diosordini che provocarono, il giorno dopo, le proteste della Santa Sede. Il governo del neonato Regno d’Italia prese le distanze dagli accaduti: anche se, nella realtà dei fatti, in quella notte, le forze pubbliche non si opposero poi così tanto ai facinorosi.
Il carro funebre, dopo tanto pellegrinare, arrivò infine alla basilica di San Lorenzo fuori le mura. Papa Pio IX finalmente poteva vedere esaudito il suo desiderio. Chi entra oggi nella basilica romana può pregare davanti al suo corpo che riposa in una cripta sotto l’altare maggiore. Nella parete in fondo, dietro il corpo esposto, vi è un tondo: rappresenta Cristo che porta sulle spalle una pecora del gregge di Dio: è la figura del “Pastor gregis”. Poco vicino a questo luogo, sono sepolti i resti dei santi citati, Stefano, Giustino e Lorenzo. Con il beato Pio IX, martire per mano di una certa cultura che ancora oggi infanga il suo nome attraverso pagine di falsata storia. Ma il Signore conosce la fedeltà dei suoi servi.
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