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POPULISMO

La trappola del Reddito di Inclusione

Reddito di Inclusione: il governo concede briciole, sotto forma di piccoli sussidi, a un numero limitatissimo di famiglie meno abbienti. Ed esso stesso non è certo che arrivi alle persone giuste. Ancor peggio, il Reddito di Inclusione riflette una visione della società futura in cui l'occupazione non viene rilanciata mentre i disoccupati ottengono una mancia di sussistenza.

Editoriali 05_09_2017
povertà

Secondo le stime del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, del nuovo “reddito di inclusione sociale” o Rei, recentemente varato dal governo, potranno fruire circa 660mila famiglie: nell’insieme 1,8 milioni di persone (tra cui 700mila  minori). Malgrado i compiacenti squilli di tromba della stampa amica del Pd,  in un Paese  che conta attualmente 60 milioni e 600 mila abitanti  è insomma il proverbiale topolino partorito dalla montagna.  

Si tratta di un assegno mensile compreso tra un minimo di 190 e un massimo di 485 euro cui dal prossimo gennaio 2018 potranno accedere famiglie con un “indicatore della situazione economica equivalente”, Isee, che non sia superiore ai 6mila euro, che  dispongano di un patrimonio immobiliare, diverso dalla prima casa, non superiore ai 20mila euro nonché di un patrimonio mobiliare massimo tra i 6mila e i 10mila euro a seconda del numero dei componenti del nucleo. Tutto questo considerato, per acchiappare il topolino occorre quindi anche una laurea in scienze amministrative, oppure l’assistenza di Ong e di patronati vari. Ciononostante il legislatore è stato il primo a temere che la complicata fortezza potesse facilmente venire espugnata dai furbastri. Per evitare  gli abusi, ovvero per ridurli al minimo, occorrerebbe  disporre di una pubblica amministrazione di alto livello, il che non è purtroppo il caso nel nostro Paese. Si è perciò stabilito che “Non potranno ottenere il Rei i proprietari di imbarcazioni, o auto e moto immatricolati nei 24 mesi precedenti la richiesta del sussidio”. Si può immaginare un aspirante al Rei con un Isee non superiore ai 6 mila euro che si sia comprato di recente un motoscafo? Evidentemente qualcuno ha temuto che fosse possibile.  

Una macchina amministrativa gigantesca viene messa in moto per distribuire quattro soldi a quattro gatti. Una macchina certamente molto costosa per lo Stato i cui veri e principali beneficiari saranno, come ormai è quasi di regola nel moderno “welfare”,  molto più le burocrazie statali e non statali incaricate del servizio che non gli aventi diritto. Chi fruirà del Rei dovrà  poi partecipare a un “progetto di reinserimento sociale e nel mondo del lavoro”: non si sa con quale vantaggio per gli interessati, ma con vantaggio certo  per chi gestirà tali “progetti”. Soltanto da soggetti con una forte capacità educativa, e anche con un vasto radicamento sociale, ci si possono attendere risultati di rilievo in casi del genere. Per definizione però lo Stato non ha gli strumenti per selezionare i suoi interlocutori in tal senso.

E’ facilmente prevedibile che l’esito di politiche di questo tipo sarà, come sempre è accaduto nei Paesi ove sono già state attuate, la stabilizzazione dei beneficiari in uno stato di dipendenza che tende a divenire permanente. Esattamente l’inverso, insomma, di ciò che a parole si vorrebbe.  Per sfuggire a questa trappola occorrerebbe subordinare comunque il Rei a qualche precisa prestazione. Il Rei insomma dovrebbe configurarsi non come sussidio ma come salario: ne fosse pure il corrispettivo magari anche di un corso di formazione o di riqualificazione con esami. Ci sono già esempi del genere anche in Paesi vicini al nostro; basterebbe andare a vederli.

Il Rei sarà una goccia nel mare e per di più, dicevamo, una goccia mal spesa. Ancor più grave della sua irrilevanza  materiale è però la prospettiva che esso delinea,  quella delle economie avanzate così come le vagheggiano Zuckerberg e gli altri capi supremi delle multinazionali che oggi dominano le reti telematiche. Delle economie dove si fa profitto quasi solo con l’innovazione e con la commercializzazione dei prodotti sul mercato globale, decentrando invece  la manifattura nei Paesi meno sviluppati e a basso costo del lavoro di fabbrica. E dove non ci si preoccupa più di contrastare tutta la disoccupazione strutturale che ne consegue, ma la si tiene a bada tramite la concessione generalizzata di un reddito di inclusione a coloro che si potrebbero definire i “tagliati fuori”. Grazie ad esso costoro se ne stanno buoni, e vengono a disporre delle entrate minime necessarie per sopravvivere, tenendo perciò tra l’altro in moto l’indispensabile macina dei consumi di massa. Se è questo il mondo verso il quale desideriamo incamminarci, come primo passo il Rei va benissimo.