Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
EDITORIALE

La tragica normalità degli sbarchi

In soli 3 giorni recuperati nel Canale di Sicilia 7mila migranti in 17 diverse operazioni di salvataggio. Decine i morti. È ormai chiaro che l’afflusso via mare di migranti irregolari verso la Sicilia e altre mete possibili, tende a diventare la via “normale” dell’immigrazione dall’emisfero Sud nell’Unione Europea. È ora di contrastare seriamente il fenomeno.

Editoriali 07_05_2015
Sbarchi

Mentre in Italia per qualche giorno non se ne è parlato più (tutti presi come eravamo dall’inaugurazione dell’Expo, di cui altrove si parla pochissimo, e dalle nostre cronache politiche) i disperati in viaggio verso la Sicilia sui gommoni continuano a naufragare e spesso a morire. Il caso più recente mentre scriviamo è quello di un gommone carico di quasi 140 persone che si è sgonfiato mentre si avvicinava alla nave mercantile maltese che si apprestava al loro recupero.

Soltanto circa cento sono riuscite a salire sulla nave mentre le altre risultano disperse, ovvero morte annegate. Secondo fonti della nostra Guardia Costiera,  nei tre giorni in cui la nostra stampa si è occupata d’altro sono stati recuperati nel Canale di Sicilia circa 7mila migranti in 17 diverse operazioni di salvataggio. Dall’inizio dell’anno i morti accertati sono invece 1829. Frattanto giunge anche la notizia che la Guardia Costiera turca ha raccolto in mare al largo di Smirne più di 600 migranti che stavano cercando di raggiungere isole greche. Di questi, 400 erano siriani e mentre gli altri provenivano da Iraq, Afghanistan, Myanmar (Birmania) e da diversi paesi dell’Africa.

A questo punto sarebbe il caso di cominciare a rendersi conto che l’afflusso via mare di migranti irregolari verso la Sicilia e altre mete possibili, dalle isole Canarie a quelle dell’Egeo, tende a diventare la via “normale” dell’immigrazione dall’emisfero Sud nell’Unione Europea. Nell’interesse legittimo di tutte le parti in causa, a partire da quello dei migranti, è un fenomeno che ormai occorre cogliere nei suoi esatti termini, e perciò contrastare con fermezza.

Tra l’altro nel totale silenzio dei media questi migranti, non di rado in cattive condizioni di salute e spesso mai vaccinati, stanno riportando in Europa malattie che da noi erano quasi scomparse. Aggiungendosi alla concorrenza sul mercato del lavoro di meno elevata qualifica,  questa notizia, finora censurata perché “politically uncorrect”, quando dovesse diventare di pubblico dominio potrebbe far salire l’ostilità popolare nei loro confronti fino a livelli insostenibili.

In un mondo in cui da un lato sussistono squilibri enormi in quanto sia a reddito che a sicurezza di vita, e in cui dall’altro ognuno sa benissimo dove si sta meglio, è ormai divenuto impossibile bloccare a breve termine, per così dire meccanicamente, l’immigrazione di chi vuole emigrare ad ogni costo nel senso letterale della parola.

Non dobbiamo allora fare altro se non accogliere chi ce la fa a raggiungere le nostre spiagge, o a salire su una nave soccorritrice?  In fin dei conti chi sostiene questa tesi in nome di nobili principi di solidarietà, nella pratica lascia che i malfattori, il deserto, le malattie e il mare scelgano chi lasciar giungere fino a noi.

Lunedì prossimo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – di cui due Stati dell’Ue, la Gran Bretagna e la Francia, sono membri permanenti --  verrà finalmente chiamato a discutere della situazione nel Mediterraneo. C’è da augurarsi che, anche con l’aiuto di Londra e di Parigi,  l’Unione Europea riesca a ottenere ciò che il ministro Alfano definisce il “quadro di legalità internazionale” per adeguati interventi sia sulla costa libica che in altri punti-chiave della lunga catena criminale che i migranti irregolari percorrono anche da Paesi lontani come l’Afghanistan o il Myanmar fino al Canale di Sicilia.

Come già abbiamo avuto modo di scrivere (clicca qui), tale catena non s’interrompe se non viene spezzata in più punti a partire dai primi e più lontani dalle rive del Mediterraneo.

L’ONU dispone poi di un’agenzia, l’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati (UNHCR/ACNUR), che per statuto si occupa di assistenza ai profughi e che invece finora nel caso dell’emergenza nel Mediterraneo si è per lo più ritagliato un confortevole ruolo di osservatore critico delle iniziative degli Stati. Oltre al “quadro di legalità internazionale” che Alfano auspica, sarebbe bene che l’Unione Europea chiedesse alle Nazioni Unite pure un impegno dell’UNHCR/ACNUR sulle coste nordafricane. Se dei campi di raccolta e di selezione degli aspiranti all’ingresso nell’Unione Europea che occorre creare in Libia si occupasse l’Alto Commissariato con la scorta di “caschi blu” nessuno avrebbe motivo di dire che si tratta di un intervento militare occidentale mascherato da intervento umanitario. La Libia resta cruciale non solo come punto di arrivo di diversi itinerari trans-sahariani ma anche perché prima della crisi iniziata con la caduta di Gheddafy era stata meta di una notevole immigrazione  dall’Africa Nera. Molti degli africani che dalla Libia cercano ora un passaggio verso l’Italia provengono da questa massa di gente ivi già stabilita e che ora si ritrova senza lavoro e senza futuro.  

La questione insomma è complessa e va affrontata  nella sua complessità, ovvero tenendo conto simultaneamente di tutti gli elementi di cui si compone.