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PAESE PERDUTO

La tragedia degli interpreti afgani, rischiano l'abbandono

Migliaia di afgani hanno aiutato il contingente italiano, come interpreti o impiegati nelle nostre basi. E così è stato per gli altri contingenti alleati. Ora, se rimanessero in Afghanistan, dopo il ritiro della Nato, rischierebbero di essere uccisi dai talebani. L'appello del generale Battisti a fare in fretta. Troppa burocrazia rallenta l'evacuazione.

Esteri 11_08_2021 English
Kabul, murales sull'ambasciata Usa

"L'avanzata repentina dei talebani in Afghanistan impone di agire in fretta. Gli interpreti locali che per venti anni ci hanno aiutato rischiano di morire in balia dei terroristi. Devono essere portati in Italia subito". A lanciare l'appello all'agenzia Adnkronos per evacuare al più presto gli afgani che hanno collaborato con il contingente militare in Afghanistan e i loro famigliari per un rientro di massa urgente dei collaboratori Nato è il generale Giorgio Battisti.

L’ufficiale italiano, oggi non più in servizio ma che in Afghanistan ha ricoperto diversi incarichi di comando fino a divenire vice comandante delle forze alleate, ricorda che "i primi 225 afgani sono già arrivati da oltre un mese ma c'è un'altra aliquota di oltre 300 persone che deve essere recuperata”. Occorre farlo in fretta perché “la repentina avanzata dei talebani che hanno già conquistato cinque città, fa sì che alcuni di questi, all'interno di queste città controllate dai talebani, non possono uscire. E' una corsa contro il tempo, spero che le nostre istituzioni preposte a recuperali siano consapevoli che qualsiasi piano è stato stravolto da questa rapida avanzata talebana. Bisogna muoversi presto, dare certezze a queste famiglie, farle venire in Italia perché rischiano di essere ammazzati tutti".

Come annunciato dal Ministro della Difesa Lorenzo Guerini, nel corso della cerimonia di ammaina bandiera ad Herat, infatti, per una parte degli interpreti afgani sarebbero state necessarie ulteriori verifiche prima di accordare un loro trasferimento in Italia, contestualmente al rientro del contingente militare. Questo per accertare che non siano doppiogiochisti, cioè collusi coi talebani o con organizzazioni criminali. Le truppe italiane hanno lasciato definitivamente l’Afghanistan da oltre un mese e oggi la gestione delle operazioni di evacuazione dei nostri collaboratori è gestita dall’ambasciata italiana a Kabul che ha ricevuto personale aggiuntivo di rinforzo per sveltire le pratiche.

"E' chiaro che su 300 persone qualcuno può non aver avuto un profilo pulito - conferma il generale - Tuttavia non possiamo tenere bloccate centinaia di collaboratori fidati, amici ormai, persone che ci hanno aiutato, in un Paese dove rischiano di venire uccisi. E' gente che conosciamo, che ha prestato servizio come interprete o che ha gestito negozietti all'interno delle basi, e il cui profilo sicurezza è già stato verificato. Basta chiedere ai comandi militari che si sono alternati nelle basi, sicuramente avranno file o database che li riguardano". Battisti, che ha ricoperto importanti incarichi anche in ambito NATO, non risparmia critiche all’apparato burocratico messo in piedi per gestire l’evacuazione degli afgani che hanno collaborato con l’Italia. "Non capisco l'esigenza di valutare il loro livello sicurezza quando poi centinaia di migranti arrivano sulle nostre coste senza alcun controllo preventivo. Portiamoli via prima che li sgozzino, poi li controlliamo in Italia. Quanti delinquenti, quanti terroristi, come quello del mercatino a Berlino, arrivano dal mare? Gli interpreti che stiamo lasciando in balia di una guerra civile dove la resa è fatale, almeno li conosciamo. Dietro di loro ci sono famiglie che ci hanno aiutato per 20 anni. Dietro agli immigrati non abbiamo idea di chi ci sia, eppure entrano in massa ogni giorno". 

Il problema non riguarda solo i collaboratori degli italiani ma di tutti i contingenti alleati: I tedeschi hanno già portato via i loro interpreti mentre britannici e statunitensi hanno ancora migliaia di persone a rischio di rappresaglia talebana presenti in Afghanistan. “Il ritiro repentino e senza condizioni delle truppe alleate ha sparigliato tutti i piani di recupero: adesso si tratta di fare presto e mandare aerei charter dedicati per portare via gli interpreti, poi si verificherà il loro profilo. Bisogna accettare questo margine di tolleranza e controllarli dopo"

Il 6 agosto il Ministero della Difesa ha confermato che sono pienamente in corso da giorni le attività per il recupero di ulteriori 391 afgani di cui sono stati verificati i requisiti di legge per entrare nel programma di protezione e accoglienza. Con l'operazione Aquila 1 dello scorso giugno in 228 sono stati inseriti nel programma. Con l'operazione Aquila 2, è stato predisposto, ed è già operativo, un team rinforzato presso l'Ambasciata di Kabul dedicato ad agevolare le operazioni di recupero, di identificazione, rilascio visti e passaporti, in collaborazione con il governo afgano, per il successivo arrivo in Italia, in sicurezza, di ulteriori 391 afghani ma le condizioni sul terreno vanno deteriorandosi e, ad esempio, non consentono più il pieno utilizzo dell'aeroporto di Herat, dove sono concentrati molti collaboratori del contingente italiano. La città è di fatto circondata dai talebani che tengono sotto tiro con razzi e mortai la pista dell’aeroporto. A Centocelle (Roma) il Covi - Comando Operativo di Vertice Interforze - è al lavoro per accelerare le procedure e garantire il rientro presumibilmente entro la fine del mese. Sempre che Herat non cada prima in mani talebane.