La solidarietà non basta e neppure le foto shock
É ormai sempre più chiaro che quello dei flussi migratori non autorizzati verso l’Unione europea è un fenomeno che non ha più molto a che vedere con quel che poteva essere all’origine. Non si tratta cioè di un’emergenza cui far fronte appunto con politiche emergenziali. Qualcuno, ovvero la Turchia, ne ha assunto la gestione trasformandolo in uno strumento di politica estera e controllandolo in tutte le fasi “sommerse”.
É ormai sempre più chiaro che quello dei flussi migratori non autorizzati verso l’Unione europea è un fenomeno che non ha più molto a che vedere con quel che poteva essere all’origine. Non si tratta cioè di un’emergenza cui far fronte appunto con politiche emergenziali. Qualcuno, ovvero la Turchia, ne ha assunto la gestione trasformandolo (cinicamente) in uno strumento della sua politica estera. E in tale prospettiva non ha esitato a dare spazio a forze oscure, al confine tra terrorismo e malavita internazionale, che si incaricano con grandi profitti di gestirlo logisticamente in tutte le fasi “sommerse”.
Non c’è dubbio che, se non ci fossero delle gravi crisi e delle guerre, non si troverebbero migliaia di famiglie pronte all’esodo in condizioni di grave disagio a rischio della vita e a costo di ogni loro risparmio. Tutto questo però è soltanto per così dire la materia prima del fenomeno. Nella condizione moderna nemmeno il più disagiato degli esodi è possibile semplicemente muovendosi a piedi, nutrendosi di frutti raccolti nei campi e pernottando al riparo degli alberi. Senza vettovagliamento, senza trasporto con veicoli a motore e senza disponibilità di posti tappa non si va da nessuna parte.
Le riprese televisive di persone per lo più senza bagagli in cammino a piedi attraverso la campagna o assembrate nei pressi di reti di confine riguardano un segmento molto breve e molto specifico dell’itinerario. Se i telecronisti inviati a realizzare questi servizi fossero più competenti o forse anche solo meglio diretti, sui nostri televisori giungerebbero anche immagini di posti tappa, di viaggi di centinaia di chilometri in treno o autobus, di trasferimenti in taxi dalle stazioni ferroviarie ai luoghi di valico consigliati, di mercatini volanti di generi di prima necessità e così via. E anche i servizi sugli esodi dalla costa turca alle isole greche ad essa vicine sarebbero magari meno spettacolari, ma un po’ più seri se invece di limitarsi alle riprese degli approdi e degli sbarchi tra le onde della risacca si estendessero ai bazar delle città turche dove sono in vendita i gommoni e altre attrezzature per il passaggio via mare; e includessero anche qualche immagine degli agenti di polizia turchi che non muovono un dito per bloccare il mercato illegale di beni e di servizi che prospera attorno a transiti che sarebbero del tutto illegali.
Stando così le cose, il fenomeno non può più venire affrontato facendo esclusivo riferimento alle categorie della solidarietà e dell’accoglienza. O meglio: la solidarietà deve tener conto anche del fatto che ci si trova dinnanzi a persone le cui urgenze, senza dubbio reali, sono state strumentalizzate; e le cui aspettative risultano spesso deformate da informazioni distorte. In un mondo poi nel quale la comunicazione di massa è sempre più uno specchio deforme e ossessionante della realtà, ogni iniziativa che si prende nei confronti di questi migranti deve anche tenere in conto di quale impulso mediatico ne deriverà e di quali ne saranno le conseguenze.
Ieri la prima pagina de l’Unità si apriva con l’immagine in primo piano di due piccoli migranti che passavano carponi sotto una rete di recinzione tenuta sollevata dalle mani di un adulto. Una foto commovente, anche se con molta probabilità costruita. Il titolo a commento era: “Lasciamoli entrare”. Ecco un bell’esempio di strumentalizzazione: al di là dell’emozione immediata chi l’ha detto che aprire incondizionatamente le porte dell’Europa ai due bambini e ai loro familiari sia la miglior stabile risposta possibile al loro bisogno di crescere in pace? Far circolare nel mondo l’idea che immigrare di forza nell’Ue sia la panacea di tutti i mali è una cosa da irresponsabili. Si va a fomentare un processo che ben presto diventerà insostenibile sia per l’Europa che per i Paesi di origine di questi flussi migratori.
Senza pregiudizio per ciò che s’impone per mitigare il fenomeno nell’immediato, la reale via d’uscita consiste nel porre mano in sede sia nazionale, europea e internazionale a una politica strutturale in materia che passi attraverso: la soluzione delle crisi del Medio Oriente; gli inevitabili negoziati con la Turchia; la preparazione di un piano per reggere l’urto prossimo venturo, ossia l’incombente esodo di massa dall’Africa sub-sahariana; e infine la sigla di un nuovo trattato al posto di quello di Schengen, che ad ogni buon conto era stato sottoscritto in un contesto che non ha nulla a che vedere con quello attuale.