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CAMPAGNA ELETTORALE

La sinistra che prende ordini da Emma Bonino

Emma Bonino non ha un partito alle spalle, in pratica rappresenta solo se stessa. Eppure è in grado di dettare le sue condizioni al centrosinistra di Renzi, forte delle sue relazioni internazionali. Come faranno moderati e cattolici a farsi dettare l'agenda Bonino su scuola, vita, famiglia, immigrati? Lo faranno, per colpa del sistema elettorale.

Politica 15_11_2017
Emma Bonino

Non ha un partito alle spalle, quando era ancora in vita Marco Pannella riuscì a litigare perfino con lui, suo storico compagno nel Partito Radicale, e, allo stato, rappresenta fondamentalmente solo se stessa. Eppure l’ex leader radicale Emma Bonino sembra in grado di dettare le condizioni al centrosinistra e di puntare i piedi prima di intrupparsi in quella coalizione, in vista delle prossime elezioni.

Si ironizza tanto sulle percentuali da prefisso telefonico di molte formazioni politiche, mentre nessuno dice che la Bonino, forte soltanto di solide relazioni internazionali con mondi riconducibili alle ideologie più nichiliste e contrarie alla cultura della vita, sembra tenere in scacco la sinistra e continua a sferzarla sull’emergenza immigrati, accusandola di portare avanti una linea “inumana”, riecheggiando peraltro le accuse mosse dall’Onu all’Unione Europea.

Fa specie che Matteo Renzi dichiari di voler puntare al 40% e poi si lasci condizionare dalla Bonino, che non è a capo di alcuna forza politica e che non può vantare alcuna consistenza elettorale. Non meno imbarazzante appare l’atteggiamento dei cattolici come Pierferdinando Casini e Angelino Alfano che, pur sapendo di potersi ritrovare in coalizione con l’ex esponente radicale, sempre stata dall’altra parte della barricata rispetto alle grandi battaglie sui temi etici e sensibili, perseguono la strada di un’alleanza di centrosinistra. Qualora quello schieramento prevalesse nelle urne, che tipo di convergenze potrebbero esserci tra Casini, Alfano, Renzi e Bonino sulla scuola, la famiglia, gli immigrati, i temi del lavoro? Purtroppo questa domanda resterà senza risposta perché l’intento chiaro di entrambi gli schieramenti, vista la legge elettorale, appare quello di aggregare forze di ogni tipo, senza preoccuparsi del loro programma da presentare agli elettori. Prevarrà una logica puramente numerica, che magari consentirà a qualcuno di ottenere una maggioranza relativa, ma che poi non garantirà la governabilità. Questa tendenza appare particolarmente accentuata a sinistra.

La batosta rimediata in Sicilia e i sondaggi non incoraggianti hanno spinto Matteo Renzi a cambiare strategia, mettendo da parte, almeno apparentemente, i toni ultimativi nei confronti di avversari interni ed esterni. In particolare dentro il Pd il segretario sta cercando di tessere la tela del dialogo con i seguaci del Ministro della giustizia, Andrea Orlando e del governatore pugliese, Michele Emiliano, per poi tentare di ricucire un’alleanza con le altre anime della sinistra, che però sembrano restie a cedere alle sue lusinghe.

Il Rosatellum impone le coalizioni e premia, soprattutto nei collegi uninominali, chi riesce ad essere aggregante e non divisivo. Fino ad oggi Matteo Renzi si è dimostrato incapace di allargare il perimetro del centrosinistra, anzi, dopo la scissione di Mdp, non ha mai recitato alcun “mea culpa” e si è sempre detto sicuro del percorso intrapreso. Ora è costretto a chiedere aiuto proprio a coloro che aveva marginalizzato nel suo partito e che, forse, sarebbero pronti a rientrarvi se ci fosse un altro segretario. Ma sia Pierluigi Bersani che Giuliano Pisapia che gli altri leader delle forze minoritarie di sinistra si sono detti indisponibili. Senza contare che i presidenti delle due Camere, particolare che deve far riflettere, sono entrambi dichiaratamente antirenziani. Il Presidente del Senato, Pietro Grasso è uscito dal Pd ed è confluito nel gruppo Misto di Palazzo Madama. Laura Boldrini, Presidente della Camera, che appoggia Pisapia, ha chiuso le porte ad ogni alleanza col Pd.

Al momento, è vero, la leadership di Renzi, almeno dentro il Pd, non è in discussione. In vista delle elezioni politiche i dem cercheranno di serrare i ranghi all’interno per poter arrivare a comporre un mosaico di alleanze che contenda a centrodestra e Movimento Cinque Stelle la guida del Paese. Il cantiere del centrosinistra appare, però, ancora molto indietro, al punto che qualcuno profetizza un rinvio della data del voto, da marzo a maggio, per dare più tempo a Renzi di fare accordi con partitini e cespugli vari. C’è chi dice che anche Silvio Berlusconi punta sullo slittamento, al fine di avere più chance di riabilitazione europea dopo la condanna per la legge Severino. Con due mesi di tempo in più, sussurrano ad Arcore, magari la Corte europea potrebbe anche accelerare il verdetto e consentire all’ex Cavaliere di candidarsi. Ma al Quirinale che ne pensano dell’ipotesi di allungare la vita alla legislatura?