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La Sindone, primo selfie della storia

La moda del selfie è l'ultimo stadio del narcisismo. Ma il primo selfie della storia fu "scattato" circa 2000 anni fa: la Sacra Sindone. Questo celebra non il solipsismo, ma la donazione totale, non l’egocentrismo, ma un atto oblativo assoluto.

Cultura 02_06_2014
Sindone

Si è chiuso il Festival di Cannes, ma la modernità con la sua techne riesce a perpetuare non più solo il ricordo degli avvenimenti ma gli avvenimenti stessi. Uno dei modi per cristallizzare per sempre il Festival e nel frattempo per iperpersonalizzarlo è il famigerato selfie. Questo sta all’autoscatto come lo smartphone sta alla macchina fotografica. Ma la facilità e l’immediatezza del riprendersi in digitale senza aiuto di terzi stravince sul laborioso autoscatto, fatto di plurimi posizionamenti della camera e altrettante messe in posa dei soggetti da immortalare. Senza poi contare l’incognita sulla riuscita dell’operazione. Il selfie scavalca tutto questo e la sua comodità di esecuzione figlia scatti infiniti, un’autogenerazione del Sé senza limiti. Ed ecco che a Cannes tutti erano diventati filo-selfie o selfie-dipendenti: attrici, registi e pure il popolino lì attorno ai primi. Il salto di status è avvenuto grazie al celebre selfie della notte degli Oscar che ha incorniciato in un solo click più volti noti, un salto che ha permesso a questo vezzo digitale di uscire dal ghetto di una moda frivola delle teenagers, relegata a venire vissuta tra le mura domestiche, per approdare ai red carpet calcati dai vip.

Il selfie è forse una delle migliori espressioni di noi postmoderni e quindi come tale effimera, perché presto verrà superata da qualche altra fantasia tecnologica (paradossale che sia effimera una foto, che per sua natura è fatta per rimanere nel tempo). Sì, il selfie è cifra caratteristica della contemporaneità perché questa come è noto officia di continuo il mito dell’Io, cioè dell’hummiano “individuo”, monade chiusa in se stessa, così distante concettualmente da quel mondo di relazioni di cui è intessuto il lemma “persona”. Con il selfie sono Io che fotografo me stesso, che incardino la scena del mondo nell’ego, nel myself. L’occhio dello smarthpone non è rivolto a terzi o a monumenti o piazze storiche, ma concupisce solo il mio volto. E quand’anche nello spettro visivo di questo si volesse ricomprendere un altro ovale diverso dal mio – un attore, un politico, un papa - ciò accade solo per enfatizzare ancora una volta me stesso. Il selfie supera il frustro slogan del “Io c’ero” e s’invola nell’iperuranio dell’unica idea che sta a cuore dei veri accoliti del selfing: il narcisismo diventa luogo esistenziale. Come Narciso morì annegato in quello specchio d’acqua che rimandava la sua bella forma – perché la sete di sé è letale - così anche noi post-moderni rischiamo di annegare in noi stessi, specchiati nei pixel che rivedremo sullo score dei nostri cellulari. Un narcisismo sterile proprio perché per sua essenza concluso in sé: infatti Narciso, nella forma ellenica del mito, era omosessuale, condizione di per sé infeconda. E dunque il mondo si riduce e converte nel nostro io e la sua estensione è solo pari a quella delle nostre braccia: più lunghe saranno meglio verrà il selfie.

Una curiosità. Il primo selfie della storia fu fatto circa duemila anni fa ed oggi è conservato nella Cattedrale di Torino. È la Sindone. Ma di tutt’altro selfie si tratta. Questo celebra non il solipsismo, ma la donazione totale, non l’egocentrismo vanitoso, ma un atto oblativo assoluto e disinteressato, non la tensione nevrotica di eternare all’infinito noi stessi con altrettanti infiniti scatti, ma la passio di un Uomo per ogni singolo uomo. Dal’io divinizzato al Dio incarnato.  L’effige del sacro lino pare quasi divinamente pensata per noi contemporanei immersi nell’era dell’immagine, disponibili a credere solo se tommasamente vediamo. Quel primo autoscatto che si fece l’Uomo della Sindone rimanda a noi un volto non vezzosamente atteggiato e in posa da duck-face (“faccia da papera” a motivo delle labbra sporgenti protese a dare un bacio, tipica posa delle selfiste), ma austero e regale, magnifico e misterioso. Non un viso perfetto perché impreziosito dalla nuance giusta dell’eyeliner, ma perfetto perché segnato dalla sofferenza, vero tratto distintivo dell’umano. Un click non effimero ma, per chi crede, capace di catturare un’istantanea di eternità.