La sconfitta del terrorismo è nelle mani dei musulmani
La delegittimazione dell’estremismo islamista, è innanzitutto un compito degli stessi musulmani di buona volontà. È venuto il momento che costoro non si limitino più a deprecare l’estremismo ma si impegnino anche a combatterlo attivamente. Parla mons. Onaiyekan, Nigeria.
Il contrasto e la delegittimazione dell’estremismo islamista, e del terrorismo che ne deriva, è innanzitutto una responsabilità e un compito degli stessi musulmani di buona volontà. È venuto il momento che costoro non si limitino più a deprecare l’estremismo ma si impegnino anche a combatterlo attivamente. Gli altri, i cristiani e gli occidentali in genere devono sostenerli e aiutarli, ma non possono sostituirli. È questo quanto ha detto tra l’altro il cardinale John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, capitale della Nigeria, prendendo la parola nel Duomo di Milano la sera di lunedì 9 scorso, al termine di un momento di preghiera per le vittime della violenza e delle guerre oggi in atto nel mondo.
Davanti ai fedeli che malgrado il freddo (per le sue dimensioni l’edificio non può venire riscaldato) avevano riempito la cattedrale ambrosiana, mons. Onaiyekan, ospite del cardinale Scola, ha parlato della Chiesa in Africa, dell’Africa e in particolare della Nigeria; non però a partire dal caso di Boko Haram ma arrivandovi solo dopo aver delineato un ampio quadro di quel grande Paese, quasi 160 milioni di abitanti per metà musulmani e per metà cristiani (in crescita, e in maggioranza relativa cattolici).
Tutto ciò ha consentito di capire due cose che raramente si vengono a sapere: da un lato che quello di Boko Haram, delle sue incursioni sanguinarie e delle sue conquiste territoriali è un caso tragico ma modesto relativamente alle dimensioni della Nigeria; dall’altro che la Nigeria è cruciale agli effetti del confronto e della costruzione della convivenza tra cristianesimo e islam, un problema che non riguarda soltanto il mondo arabo.
Il cardinale nigeriano proveniva da Amman dove aveva partecipato, a fianco del sultano di Sokoto, massima autorità spirituale dei musulmani della Nigeria, a un incontro di autorità religiose di varie fedi promosso dal re di Giordania Abdullah II. Oggetto dell’incontro: la comprensione reciproca tra le varie fedi religiose e il comune impegno contro il fanatismo.
Potendo contare sullo straordinario prestigio che deriva alla sua famiglia dall’essere discendente diretta di Maometto (condizione che condivide solo con la dinastia reale del Marocco), già da tempo il re di Giordania ha dato il via a un processo di aggiornamento dell’islam e di mobilitazione contro l’estremismo islamista che meriterebbe di trovare maggiore eco sul circuito massmediatico mondiale e maggiore simpatia e attenzione nel resto del mondo, e in primo luogo in Occidente.
Nel novembre 2004 aveva in tal senso pubblicato un manifesto, il Messaggio di Amman (“The Amman Message” nella versione in inglese) inteso a “definire che cosa è l’islam e che cosa non lo è, quali azioni sono coerenti con esso e quali no”, nonché a “chiarire al mondo moderno la vera natura dell’islam e la natura del vero islam”. Il documento era stato poi sottoposto a una procedura di verifica e di completamento cui parteciparono in una prima fase 24 tra i più autorevoli teologi musulmani di ogni scuola di pensiero e di ogni parte del mondo, poi sei assemblee internazionali di teologi appositamente convocati finché entro il luglio 2006 oltre 500 autorevoli teologi musulmani di ogni parte del globo lo sottoscrissero.
Con questa iniziativa, la prima di tale autorevolezza e dimensione da oltre mille anni a questa parte, ci sono le basi perché un processo di aggiornamento e di confronto con la modernità possa mettersi in moto all’interno del mondo islamico. Sin qui però il Messaggio di Amman non aveva dato tutti i risultati che ci si sarebbero potuti attendere. Adesso il feroce assassinio del pilota giordano prigioniero dell’ISIS sembra aver finalmente provocato un sussulto nel mondo del cosiddetto “islam moderato”.
Chi lo ha spietatamente bruciato vivo dopo averlo rinchiuso in una gabbia di ferro, e lo ha cinicamente videoripreso mentre veniva divorato dalle fiamme, ha ottenuto un effetto opposto a quello che sperava. Oggi la volontà della Giordania di spazzare via lo pseudo-califfato dell’ISIS sta raccogliendo consensi inattesi e tali che potrebbero anche superare il machiavellico desiderio della Turchia di vederlo sussistere come spina nel fianco sia della Siria che dell’Iraq.
Ieri Obama ha chiesto al Congresso i “poteri di guerra”, ossia i poteri avvalendosi dei quali George W. Bush attaccò l’Afghanistan sotto governo talebano. Ci sono dunque tutte le condizioni perché il cosiddetto Stato Islamico, che controlla un territorio ben più esiguo e strategicamente accerchiato dell’Afghanistan, possa venir spazzato via. Alla facile vittoria militare - dopo la quale occorre però che gli Usa e l’Occidente escano di scena il più presto possibile - dovrebbe poi far seguito la ben più difficile vittoria culturale. A tale riguardo risulta decisiva l’entrata in campo di chi nel mondo musulmano è su posizioni come quelle che si raccolgono attorno al Messaggio di Amman. La certezza del non ritorno dell’ISIS nonché della successiva disfatta degli Shabaab in Somalia, dei Boko Haram in Nigeria e del terrorismo islamista in Europa e altrove sta nelle loro mani.