La Santa Sindone e casa Savoia, un dialogo antico
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Nel 1983 Umberto II, ultimo re d’Italia, donò al Papa la più importante reliquia della Passione, che per secoli era stata custodita dalla dinastia, dapprima a Chambéry e poi a Torino.

Case reali, nobili famiglie e fede: è un tema che affascina e merita sempre attenzione. Oggi è la memoria liturgica del Beato Umberto III di Savoia (Avigliana, Torino, 1136 - Chambéry, Savoia, 4 marzo 1188) che si racconta avrebbe voluto vestire l’abito religioso piuttosto che vivere alla corte sfarzosa di Chambéry: uomo di forte spiritualità e dedito alla preghiera, il conte Umberto III. Ma, certamente, non avrebbe mai immaginato che a distanza di 265 dalla sua morte, la famiglia Savoia sarebbe stata protagonista di una delle pagine più complesse e affascinanti della storia della Chiesa: la storia riguarda addirittura la Sacra Sindone, il sacro telo che avvolse il Cristo dopo la crocifissione.
Ma per comprendere come tutto ebbe inizio è necessario volgere le lancette dell’orologio della storia al 1453 quando il duca Ludovico di Savoia e sua moglie Anna di Cipro acquisirono una reliquia che già all’epoca cominciava a essere la reliquia più importante della Passione di Gesù: la Sacra Sindone, appunto. Il telo nel quale – a detta di papa Giulio II nella sua Bolla di approvazione della liturgia della Sindone del 1506 – è possibile osservare «chiaramente i resti dell’umanità di Cristo a cui la divinità si è congiunta, ossia i resti del suo vero sangue».
La festa della Sacra Sindone fu fissata al 4 maggio. Oggi, quando si pensa alla Sindone, si pensa soprattutto a un culto pubblico: tutti abbiamo nella mente la parola “ostensione”. Ma all’inizio dell’acquisizione dei Savoia non era certo così. In questo caso era un culto prima di tutto privato: assieme alle altre reliquie possedute dalla famiglia Savoia, la Sindone veniva trasportata da una dimora all’altra, seguendo la corte del duca Ludovico. Solo quattordici anni dopo, nel 1467, Amedeo e lolanda di Savoia pensarono di collocare l’importante reliquia in una cappella che avevano fatto erigere all’interno del castello di Chambéry. E fu proprio nel castello di Chambéry che la Sindone si salvò da un incendio che l’avrebbe potuta distruggere completamente. Era la notte tra il 3 e 4 dicembre del 1532. Sempre riguardo alle ostensioni, è importante precisare che solamente in speciali occasioni (oltre a quella “canonica” della festa del 4 maggio) da qui in poi (soprattutto dopo il trasferimento a Torino) le ostensioni pubbliche riguarderanno particolari avvenimenti della famiglia Savoia: fra queste, ricordiamo ad esempio quella del 1665 in occasione del secondo matrimonio del duca Carlo Emanuele II con Maria Giovanna Battista di Nemours; oppure quella del 1722 per il matrimonio del principe Carlo Emanuele III con Anna Cristina Luigia di Sultsbach. Matrimoni, battesimi, particolari funzioni che riguardavano la dinastia Savoia erano l’occasione per le ostensioni pubbliche.
Ma torniamo alla storia della collocazione della Sacra Sindone da parte dei sabaudi. Sotto il duca Emanuele Filiberto la capitale del ducato di Savoia fu spostata da Chambéry a Torino, la città che tutt’oggi ospita la famosa e importante reliquia. Nel 1578, allora, il sacro lino arrivò nella città piemontese: il primo luogo dove venne accolta fu l’antica cappella di San Lorenzo, vicino le mura nord della città. Successivamente, lo stesso Emanuele Filiberto, la fece trasferire in una piccola cappella nel suo palazzo ducale. In questo scenario, entra nella storia della Sindone un importante personaggio per il districarsi della storia: è il cardinal Carlo Borromeo, il futuro santo arcivescovo di Milano. Nel suo animo vi era il profondo desiderio di poter fare in modo che la Chiesa di Torino potesse – in una certa misura – “presidiare” anch’essa il sacro lino. Per il santo cardinale il luogo più adatto era un reliquiario monumentale da tenere nella cattedrale. Di altro avviso era il duca Emanuele Filiberto che aveva pensato, invece, di far erigere una chiesa e un monastero nella centralissima e nota piazza Castello per poter posizionare la Sacra Sindone. Questo progetto non si realizzò, per vedere poi la sua definitiva collocazione in una speciale cappella disegnata dal padre teatino Guarino Guarini solo nel 1694 (prima tale cappella era stata commissionata a Carlo Castellamonte, per poi passare al figlio Amedeo, e successivamente a Bernardino Quadri). Interessante la collocazione di questo edificio: tra Palazzo Ducale (il futuro Palazzo Reale) e l’abside della cattedrale di San Giovanni Battista. Una collocazione, quindi, che potrebbe definirsi una sorta di compromesso fra i due poteri: quello della Chiesa e quello di casa Savoia.
Prima ancora della realizzazione di questa cappella, questo connubio tra Sindone e Savoia è espresso nel testo della cosiddetta “Liturgia della Sindone” (in latino) approvata sotto il pontificato di Giulio II (1506): «Gaude felix leta Sabaudia, Syndonis dans mundo gaudia. Gaude tota mater Ecclesia» («Gioisci, o felice, lieta Savoia, nel dare al mondo le gioie della Sindone. Gioisci, o madre Chiesa tutta»).
La Sindone, dunque, fino alla morte di re Umberto II (18 marzo 1983) era di proprietà di casa Savoia: il re fece testamento e la donò al Papa. All’epoca, san Giovanni Paolo II. Lo stesso pontefice che il 24 maggio 1998 davanti alla Sindone (posizionata ormai, dove tuttora si trova, nel duomo di Torino a seguito dell’incendio della cappella di un anno prima) pronunciò queste parole: «La Sindone è provocazione all'intelligenza. Essa richiede innanzitutto l'impegno di ogni uomo, in particolare del ricercatore, per cogliere con umiltà il messaggio profondo inviato alla sua ragione ed alla sua vita. Il fascino misterioso esercitato dalla Sindone spinge a formulare domande sul rapporto tra il sacro Lino e la vicenda storica di Gesù. Non trattandosi di una materia di fede, la Chiesa non ha competenza specifica per pronunciarsi su tali questioni. (...) Ciò che soprattutto conta per il credente è che la Sindone è specchio del Vangelo».
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