Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
caso orlandi

La Santa Sede reagisce in ritardo al fango su Papa Wojtyla

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Senza la netta risposta del card. Dziwisz chissà se oltretevere avrebbero reagito alle insinuazioni lanciate in diretta tv su Giovanni Paolo II. L'editoriale di Tornielli è preciso e puntuale nelle argomentazioni, ma il silenzio vaticano lascia sgomenti.

Editoriali 15_04_2023

C'è voluto l'intervento di un arcivescovo emerito di 83 anni che vive in Polonia per sollecitare una reazione dalla Santa Sede alle gravissime insinuazioni su San Giovanni Paolo II fatte in diretta nazionale a DiMartedì da Pietro Orlandi.

Senza il risoluto comunicato del cardinale Stanisław Dziwisz che ha bollato come «accuse farneticanti» e «criminali» quelle ventilate dal fratello dell'adolescente scomparsa nel 1983, sarebbe arrivato l'editoriale pubblicato ieri su L'Osservatore Romano a firma del direttore del Dicastero per la comunicazione, Andrea Tornielli?

É lecito domandarselo visto che la prima presa di posizione ufficiale della Santa Sede arriva ben tre giorni dopo la trasmissione della vergogna, nella quale non solo si è data una ribalta nazionale a maldicenze infondate da bar su un uomo venerato santo dai cattolici di tutto il mondo ma si è mandata in onda pure una vecchia registrazione di un ex autoproclamato criminale che riproponeva il solito minestrone noir con dentro Banda della Magliana e Vaticano per dare la "sua" soluzione al caso Orlandi: Enrico De Pedis esecutore, cappellani carcerari intermediari, il cardinale segretario di Stato Agostino Casaroli mandante e Giovanni Paolo II responsabile morale. Su quest'audio e sulla sua diffusione ha colto bene il punto Dziwisz che nel suo comunicato ha tuonato contro «suddette insinuazioni, che si vorrebbero all’origine scaturite da inafferrabili ambienti della malavita romana, a cui viene ora assegnata una parvenza di pseudo-presentabilità». 

L'editoriale di Tornielli è totalmente condivisibile, specialmente laddove stigmatizza i comportamenti visti in studio nello stesso momento in cui venivano sollevate accuse così gravi (e, soprattutto, senza prove né indizi) nei confronti di una figura come Karol Wojtyla, tra sorrisi allusivi e dichiarazioni assertive. Il grande affetto popolare che ha accompagnato la lotta quarantennale per far luce su questo mistero non deve essere scambiato per uno scudo che consente di lanciare in aria qualsiasi accusa e ricostruzione anche se prive di prove e soprattutto di razionalità.

Il grave affondo contro Giovanni Paolo II dovrebbe indurre gli organi di informazione a cambiare l'approccio finora adottato nella gestione mediatica del caso Orlandi: è proprio giusto dare spazio – e dunque credibilità – alle decine e decine di presunte indiscrezioni che spuntano fuori ogni anno? È corretto non dare conto dei numerosi buchi nell'acqua su piste presentate ciclicamente con toni sensazionalistici? 

È un tema che, per certi versi, deve porsi anche la giustizia vaticana. In un'intervista uscita sul Corriere della Sera proprio poche ore prima dell'incontro con Pietro Orlandi, il promotore di giustizia, Alessandro Diddi ha detto di aver ricevuto direttamente dal Papa l'incarico di indagare su questo caso. Uscendo dal colloquio, il fratello della ragazza ha parlato di «giornata storica» lodando il fatto che «per la prima volta» è stato «interrogato in maniera approfondita». L'incontro è stato richiesto - ha fatto sapere la Sala Stampa della Santa Sede - da Orlandi «al fine di rendere proprie dichiarazioni e offrire eventuali informazioni in suo possesso».

E su cosa vertessero queste informazioni è stato lo stesso familiare di Emanuela a dirlo alla stampa uscito dal colloquio: oltre ai presunti screenshot di una chat che sarebbe avvenuta nel 2014 (ovvero 31 anni dopo la scomparsa) e in cui il cardinale Santos Abril Y Castello e monsignor Lucio Vallejo Balda  avrebbero parlato di inventari da preparare e tombaroli da pagare, c'è la pista di Londra che si regge su una documentazione svelata dal giornalista Emanuele Fittipaldi e che la Santa Sede ha già bollato nel 2017 come «falsa e ridicola» fino all'accusa di «pedofilia». Quindi prenderla in considerazione nell'indagine in corso significherebbe l'ammissione di aver sbagliato o persino mentito sei anni fa.  Poi l'accusa della pedofilia tra gli alti prelati con l'invito ad indagare «dal più piccolo al più grande» che sembrerebbe essere stata esplicitata poco dopo negli studi televisivi da Giovanni Floris.

Orlandi ha detto di aver portato a Diddi anche l'audio dell'ex membro della criminalità romana più volte trasmesso su La7 con le parole su Wojtyla che hanno fatto arrabbiare il suo segretario storico Dziwisz  e tanti fedeli. In base alle dichiarazioni di Orlandi, però, il promotore di giustizia avrebbe accettato di prendere in considerazione tutte le piste da lui indicate nel colloquio, non escludendone alcuna. Il fratello di Emanuela, addirittura, ha sostenuto che il promotore gli avrebbe detto queste parole in riferimento al loro lungo colloquio: «tu ci hai aperto dei mondi nuovi con le cose che ci racconti».

A tre giorni da queste dichiarazioni, da parte della Sala Stampa della Santa Sede non c'è stata ancora alcuna smentita o precisazione. Così come, prima dell'editoriale di Tornielli seguito al comunicato di Dziwisz, non c'è stata alcuna nota per stigmatizzare le allusioni su Giovanni Paolo II. Un silenzio pesante e che segna un cambiamento rispetto al passato, anche recente, quando di fronte a nuove indiscrezioni stampa senza fondamento che parlavano di coinvolgimento del Vaticano nella scomparsa della ragazza, la Sala Stampa della Santa Sede non aveva esitato ad emanare note per smentire con sdegno: era successo, come ricordato, nel caso del dossier di Fittipaldi. Nel 2008, sempre in riferimento al caso Orlandi, la Santa Sede era intervenuta seccamente per respingere le «accuse infamanti senza fondamento nei confronti di S.E. Mons. Marcinkus, morto da tempo e impossibilitato a difendersi». Un trattamento, quello all'epoca riservato al discusso (almeno dalla stampa) presule americano, che questa volta non si è visto per un Papa canonizzato dall'attuale Pontefice.

Nelle stesse ore in cui regnava il silenzio dopo le gravi accuse contro Wojtyla, la Sala Stampa della Santa Sede provvedeva però ad inviare comunicati di eventi di fondazioni a lui intitolate. Se si ritiene non necessario respingere immediatamente e sdegnosamente accuse così gravi contro un Papa regnante fino a diciotto anni fa, se si ritiene non urgente confermare o meno la veridicità delle dichiarazioni di Orlandi che lasciavano intendere la disponibilità dell'incaricato dell'indagine vaticana a prendere in considerazione anche l'insinuazione relativa a Giovanni Paolo II, allora si potrebbe pensare che l'ombra del sospetto su una delle figure più importanti della Chiesa nel Novecento sia tollerabile. Ma se veramente ci fosse una qualche possibilità di un coinvolgimento del santo polacco nella "schifezza" attribuitagli in questi giorni, in Vaticano bisognerebbe chiudere baracca e burattini per sempre anziché mandare i comunicati delle fondazioni che portano il suo nome.
Ovviamente non è così ed è per questo che intervenire – e non dopo tre giorni - per condannare quelle che il cardinal Dziwisz ha definito «accuse criminali» non era solo opportuno, ma piuttosto inevitabile.