La ricerca di Dio nell'orrore del conflitto
L’esperienza della precarietà non annienta, anzi accentua il desiderio d’infinito e di eternità del poeta. Educato religiosamente fin da bambino, soprattutto grazie alla madre, Ungaretti si distacca più tardi dalla fede per assumere una posizione di tipo ateo, pur sempre animata da una viva domanda sul senso della vita e della realtà. Ma tornerà alla fede.
L’esperienza della precarietà non annienta, anzi accentua il desiderio d’infinito e di eternità del poeta. Educato religiosamente fin da bambino, soprattutto grazie alla madre, Ungaretti si distacca più tardi dalla fede per assumere una posizione di tipo ateo, pur sempre animata da una viva domanda sul senso della vita e della realtà. Esemplare al riguardo è il brevissimo componimento intitolato «Dannazione», riportato qui di seguito:
Dannazione
Mariano il 29 giugno 1916
Chiuso fra cose mortali
(Anche il cielo stellato finirà)
Perché bramo Dio?
La forma grafica assume una grandissima importanza. I tre versi sono separati da uno spazio bianco e iniziano tutti con la lettera maiuscola, come se la poesia fosse strutturata in tre stanze di un solo verso.
Nell’esperienza della guerra Ungaretti sente ancor più il sentimento della precarietà dell’esistenza e della caducità di tutto: persone, cose, lo stesso cielo stellato sono destinati a finire. Eppure, una domanda è insopprimibile all’interno del suo animo. Nonostante, il poeta non creda in Dio, nel suo cuore persiste incrollabile il desiderio di Lui.
Nella raccolta L’allegria dopo «Dannazione» Ungaretti colloca la poesia «Risvegli» in cui, ricordati i tanti amici morti, si chiede: «Ma Dio cos’è?». Ecco il componimento.
Mariano, il 29 giugno 1916
Ogni mio momento
io l’ho vissuto
un’altra volta
in un’epoca fonda
fuori di me
Sono lontano colla mia memoria
dietro a quelle vite perse
Mi desto in un bagno
di care cose consuete
sorpreso
e raddolcito
Rincorro le nuvole
che si sciolgono dolcemente
cogli occhi attenti
e mi rammento
di qualche amico
morto
Ma Dio cos’è?
E la creatura
atterrita
sbarra gli occhi
e accoglie
gocciole di stelle
e la pianura muta
E si sente
riavere
Anche in questi versi il ricordo degli amici scomparsi si traduce in una domanda che il poeta spera possa trovare risposta: è una domanda su Dio, ma che, nel contempo, è rivolta a Dio stesso, anche se in questi anni difficili di guerra Ungaretti ancora non crede. È come se nel poeta sgorgasse in maniera spontanea quest’attesa di Dio, proprio come in modo naturale in «Fratelli» era scaturita la coscienza di una fratellanza universale. La creatura mortale, «atterrita», è per sua natura «religiosa», da sempre, dalla notte dei tempi. Nella percezione del Creatore attraverso le stille di stelle che dal cielo piovono nel cuore Ungaretti inizia a vedere la realtà in modo diverso («la pianura muta») e riprende coscienza di sé. Il poeta non lo esprime ancora a parole, probabilmente non ne ha ancora piena consapevolezza: solo nel rapporto con il Padre creatore, solo in questo senso di dipendenza, l’uomo può davvero respirare e vivere.
La domanda del poeta troverà risposta soltanto alcuni anni dopo. Nel 1928 Ungaretti si reca nel monastero di Subiaco con un amico e si compie il suo cammino di conversione. Scriverà più tardi: «Oggi il poeta sa e risolutamente afferma che la poesia è testimonianza d’Iddio, anche quando è pura bestemmia. Oggi il poeta è tornato a sapere, ad avere gli occhi per vedere, e, deliberatamente, vede e vuole vedere l’invisibile nel visibile».
L’anno successivo alla conversione di Ungaretti muore sua madre. Ora il mistero della morte è contemplato alla luce di una speranza più grande. Il poeta scrive allora una delle poesie più toccanti e belle, «La madre», in cui ben emerge l’influenza che la religiosità materna, stampata nella sua memoria fin da piccolo, ebbe, poi, nella formazione della sua persona, anche se la conversione lo avrebbe toccato solo a quarant’anni, dopo aver incontrato nuovamente il cristianesimo. La lettura di questi versi riempie di commozione:
E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d'ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.
E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.
Così Ungaretti parla della persona a lui più cara non in termini memoriali, ma a colloquio con lei ancor viva e che si trova finalmente davanti all’eterno. Il componimento confluirà nella seconda raccolta del poeta, Il sentimento del tempo, caratterizzata da una riscoperta della tradizione (su tutti Petrarca e Leopardi), del verso e delle forme metriche passate oltre che dalle suggestioni della filosofia di H. Bergson.