La Resistenza e lo sguardo di un bambino
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Usciti dall'esperienza forte – della guerra, e della guerra civile – che non aveva risparmiato nessuno, c'era una smania di raccontare che instaurava un’immediatezza di comunicazione tra lo scrittore e il suo pubblico. Di qui le origini del romanzo "Il sentiero dei nidi di ragno".
Un’occasione spinta, direbbe Montale, è sempre all’origine di una poesia. Per scrivere una poesia significativa, ovvero che lasci il segno e che rimanga nel tempo, è necessario che il poeta viva un avvenimento.
Ungaretti confessò di aver scoperto la vocazione poetica a Parigi, ma che comprese di aver una poesia originale nell’Isonzo, perché solo i grandi eventi, attraversati e meditati, possono far sorgere versi epici e universali.
Allo stesso modo Calvino ammise che occorreva qualcosa di forte da raccontare per iniziare a scrivere: «La Resistenza mi ha messo al mondo, anche come scrittore. Tutto quel che scrivo e penso parte da quell’esperienza». Calvino aveva vissuto in prima persona la Resistenza, ma tutti in Italia avevano vissuto l’esperienza drammatica della guerra, tutti avevano storie da raccontare sui treni, nelle osterie, nei luoghi di incontro. Tante storie orali che aspettavano qualcuno che le mettesse su carta. Terminata la Seconda guerra mondiale c’era una smania di raccontare. Spiega Calvino:
L’essere usciti da un’esperienza – la guerra, la guerra civile – che non aveva risparmiato nessuno, stabiliva un’immediatezza di comunicazione tra lo scrittore e il suo pubblico: si era faccia a faccia, alla pari, carichi di storie da raccontare, ognuno aveva avuto la sua, ognuno aveva vissuto vite irregolari drammatiche avventurose, ci si strappava la parola di bocca. La rinata libertà di parlare fu per la gente al principio smania di raccontare: nei treni che riprendevano a funzionare, gremiti di persone e pacchi di farina e bidoni d’olio, ogni passeggero raccontava agli sconosciuti le vicissitudini che gli erano occorse (prefazione all’edizione del 1964 de Il sentiero dei nidi di ragno pubblicato per la prima volta nel 1947).
Nell’intervista rilasciata al giornalista Roberto de Monticelli nel 1959 Calvino riconobbe come fosse nato il suo primo romanzo Il sentiero dei nidi di ragno:
Dopo la guerra ci fu in Italia un’esplosione letteraria che prima che un fatto d’arte fu un fatto fisiologico, esistenziale, collettivo. Avevamo vissuto la guerra e noi più giovani – che avevamo fatto appena in tempo a fare i partigiani – non ce ne sentivamo schiacciati, vinti, «bruciati», ma vincitori, depositari esclusivi di qualcosa. Non era facile ottimismo o euforia, però; era d’un senso tragico della vita che ci sentivamo depositari, d’un rovello problematico generale, […] ma l’accento che vi mettevamo era quello d’una spavalda allegria.
Come riconosceva nella prefazione del 1964, Calvino aveva tre importanti punti di riferimento da cui partire per la stesura del suo primo romanzo: I Malavoglia di Verga, Conversazione in Sicilia di Vittorini, Paesi tuoi di Pavese.
Vittorini e Pavese rappresentavano i suoi maestri: Pavese era il primo a leggere tutto quello che Calvino scriveva, era il suo «lettore ideale» (intervista di Roberto de Monticelli del 1959). Verga aveva, invece, descritto fatti e vicende nei racconti e nei romanzi veristi in modo impersonale e oggettivo, con una sapienza di scrittura per cui era stato definito da Pirandello «poeta di cose» (in contrapposizione a d’Annunzio «poeta di parole»).
Calvino aveva un paesaggio tutto suo, «gelosamente» suo, ancora non descritto nella letteratura, se non da Montale che si era soffermato però sulla riviera di Levante, mentre Calvino era della riviera di Ponente. Per descrivere il suo paesaggio Calvino sentiva l’esigenza di rappresentare fatti e persone che divenissero più importanti rispetto ai luoghi. «La Resistenza rappresentò la fusione tra paesaggio e persone» (prefazione del 1964).
Il paesaggio ordinario e quotidiano divenne «interamente straordinario e romanzesco» attraverso storie di uomini armati che si nascondevano e si inseguivano durante la Resistenza. A distanza di quasi due decenni dalla prima pubblicazione del romanzo Calvino avvertiva ancora una sorta di disagio per aver raccontato fatti tanto più grandi di lui, emozioni che avevano «coinvolto» tanti suoi «contemporanei», «e tragedie, ed eroismi, e slanci generosi e geniali, e oscuri drammi di coscienza».
Calvino sentiva l’esigenza di scrivere il romanzo della Resistenza, pur sapendo che tanti avvenimenti storici erano passati «senza ispirare nessun gran romanzo». Calvino sentiva questa responsabilità come particolarmente impegnativa ed anche per questo decise di affrontare le vicende «non di peso ma di scorcio», ossia attraverso gli occhi di un bambino. Inventò «una storia che restasse in margine alla guerra partigiana, ai suoi eroismi e sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse il colore, l’aspro sapore, il ritmo».
Riuscì nel suo intento? Fu soddisfatto del risultato? Ne tratteremo nella prossima puntata.