La recita del Santo Rosario nell’insegnamento di Wojtyla
Nella lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae, san Giovanni Paolo II offrì una sorta di vademecum per contemplare Gesù con Maria attraverso il Santo Rosario. Dalla corona alla meditazione dei misteri, dall’ascolto della Parola al silenzio, vediamo come il grande pontefice polacco suggeriva di recitare quella che chiamava la sua «preghiera prediletta».
Contemplare Cristo con Maria. Questo il programma di vita di ogni mariano, cioè di ogni cristiano. Maria vive ogni secondo nei piccoli grani del Rosario che scorrono tra le dita delle donne e degli uomini che lo recitano ogni giorno. La contemplazione di Cristo ha in Maria il suo modello insuperabile. Questo il pensiero più volte enunciato da san Giovanni Paolo II nelle sue omelie, nei suoi scritti e nei suoi Angelus. Ed è proprio il papa polacco ad insegnarci nella sua lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae come si prega la catena d’amore che ci annoda a Maria e a Gesù. Potremmo definirlo una sorta di vademecum per la recita del Santo Rosario, piccoli suggerimenti a cui si deve dare ascolto per poter meglio comprendere il fascino e la bellezza di questa antica e semplice preghiera.
Karol Wojtyla, già all’inizio del suo pontificato, dichiarava apertamente il suo legame con la Vergine del Rosario. Infatti, disse: «Il Rosario è la mia preghiera prediletta. Preghiera meravigliosa! Meravigliosa nella sua semplicità e nella sua profondità. In questa preghiera ripetiamo molte volte le parole che la Vergine Maria udì dall’Arcangelo e dalla sua parente Elisabetta. A queste parole si associa tutta la Chiesa». Era il 29 ottobre del 1978 quando Giovanni Paolo II, da poco eletto al Soglio di Pietro, ricordava ai presenti all’Angelus la sua predilezione per il Rosario.
Poi, nel 2002 pubblicò appunto la lettera Rosarium Virginis Mariae, che risponde - in una certa maniera - alla domanda: cos’è il Rosario? E come si prega? Il Rosario è una preghiera - scrive Giovanni Paolo II - che «nella sobrietà dei suoi elementi» concentra «la profondità di tutto il suo messaggio evangelico» e dalla quale «il credente attinge abbondanza di grazia, quasi ricevendola dalle mani stesse della Madre del Redentore».
Ma come si recita il Rosario? Quali sono le “linee guida” da seguire? Sappiamo bene che lo strumento tradizionale per recitare il Rosario è la corona. Nella pratica più superficiale, questa finisce purtroppo per essere spesso un semplice strumento di conteggio per registrare il succedersi delle Ave Maria. Ma non è affatto così. Il ripetersi del famoso annuncio dell’angelo alla Vergine esprime - invece - qualcosa di più grande, di più importante: un simbolismo che aiuta il fedele ad accostarsi ai misteri della vita di Gesù attraverso Sua Madre, Maria. Ed è proprio grazie a questo ripetersi della preghiera che si può avere quella vera contemplazione che il Santo Rosario dovrebbe indurre in ogni fedele.
Troviamo un centro importante, nella corona. Il centro di tutto. Molte volte, non ci facciamo neanche caso: è la Croce. Il Rosario, le Ave Maria convergono verso il Crocifisso che apre e chiude così il cammino stesso della preghiera. I grani convergono verso la Croce, pilastro dello stesso Cristianesimo. Dirà, infatti, Giovanni Paolo II nella sua lettera apostolica: «In Cristo è centrata la vita e la preghiera dei credenti. Tutto parte da Lui, tutto tende a Lui, tutto, mediante Lui, nello Spirito Santo, giunge al Padre. In quanto strumento di conteggio, che scandisce l’avanzare della preghiera, la corona evoca l’incessante cammino della contemplazione e della perfezione cristiana. Il beato Bartolo Longo la vedeva anche come una 'catena' che ci lega a Dio. Catena, sì, ma dolce; tale sempre si rivela il rapporto con un Dio che è Padre. Catena 'filiale', che ci pone in sintonia con Maria, la “serva del Signore” (Lc 1, 38), e, in definitiva, con Cristo stesso, che, pur essendo Dio, si fece “servo” per amore nostro (Fil 2, 7)».
D’importanza rilevante è la meditazione del mistero. Com’è possibile porre la propria concentrazione nel mistero enunciato? Giovanni Paolo II ci indica la strada: nel momento in cui si entra nel mistero, bisognerebbe avere l’opportunità di fissare un’icona che lo raffiguri. Parola e immagine vanno di pari passo. In questo consiglio di Wojtyla potremmo trovare tutto il suo passato di uomo d’arte, di profondo conoscitore della poesia. Infatti, se ci pensiamo, la stessa poesia non può che non evocare le immagini nate nel poeta. Il Rosario, in fondo, è il più bel poema che si possa dedicare alla Vergine.
L’ascolto della Parola di Dio è un altro caposaldo a cui la lettera dedica un paragrafo: «Per dare fondamento biblico e maggiore profondità alla meditazione, è utile che l’enunciazione del mistero sia seguita dalla proclamazione di un passo biblico corrispondente che, a seconda delle circostanze, può essere più o meno ampio. Le altre parole, infatti, non raggiungono mai l’efficacia propria della parola ispirata. Questa va ascoltata con la certezza che è Parola di Dio, pronunciata per l’oggi e “per me”.
Il silenzio diviene la “culla” propria del Santo Rosario: il dialogo con il Signore, infatti, non può che avvenire che nel silenzio. Fare spazio a Dio, mettere da parte le preoccupazioni e i pensieri della giornata è operazione fondamentale per poter entrare nei misteri del Santo Rosario. Solamente nel silenzio è possibile potersi concentrare e far sì che le parole pronunciate abbiano il proprio peso, il vero senso. Giovanni Paolo II, infatti, scrive: «L’ascolto e la meditazione si nutrono di silenzio. È opportuno che, dopo l’enunciazione del mistero e la proclamazione della Parola, per un congruo periodo di tempo ci si fermi a fissare lo sguardo sul mistero meditato, prima di iniziare la preghiera vocale. La riscoperta del valore del silenzio è uno dei segreti per la pratica della contemplazione e della meditazione. Tra i limiti di una società fortemente tecnologizzata e mass-mediatica, c’è anche il fatto che il silenzio diventa sempre più difficile». La contemplazione, sempre come nella poesia, nasce dal silenzio interiore, e il Rosario, proprio a partire dall’esperienza di Maria, che è stata donna del silenzio, è una preghiera spiccatamente contemplativa. Privato di questa dimensione, ne uscirebbe snaturato. Lo aveva già sottolineato san Paolo VI: «Senza contemplazione, il Rosario è corpo senza anima, e la sua recita rischia di divenire meccanica ripetizione di formule».
Dopo il momento dell’ascolto della Parola è quasi naturale che l’animo si innalzi verso il Padre. È il momento del Padre Nostro: Gesù, in ciascuno dei suoi misteri, ci porta sempre al Padre, a cui continuamente si rivolge. È come la corrente del fiume che va verso la foce. Unica differenza: il Padre è fonte e foce, allo stesso tempo, del fiume della preghiera, dell’esistenza umana di ciascuno: «Il Padre nostro, posto quasi come fondamento alla meditazione cristologico-mariana che si sviluppa attraverso la ripetizione dell’Ave Maria, rende la meditazione del mistero, anche quando è compiuta in solitudine, un’esperienza ecclesiale».
L’angelo porta l’Annuncio alla Vergine Maria. E noi, grazie al Santo Rosario, portiamo l’annuncio al mondo della bellezza incontaminata della Madre di Cristo. Le dieci Ave Maria - che compongono ogni mistero - cadenzano, allora, il passo del cristiano che senza la Madre può vacillare nel cammino. Il fedele è come se si appoggiasse a quella catena d’Amore e, nella ripetizione di quell’Ave, lo porta in dialogo con il Mistero di Dio divenuto Carne: «La prima parte dell’Ave Maria, desunta dalle parole rivolte a Maria dall’angelo Gabriele e da sant’Elisabetta, è contemplazione adorante del mistero che si compie nella Vergine di Nazareth. Esse esprimono, per così dire, l’ammirazione del cielo e della terra e fanno, in certo senso, trapelare l’incanto di Dio stesso nel contemplare il suo capolavoro, l’incarnazione del Figlio nel grembo verginale di Maria».
E, in quel santo grembo, tutti possiamo ritrovarci, vivendo e vedendo Maria, la Madre di tutti. A noi è data la possibilità di contemplarla, così come poeticamente Paul Claudel esprime nella sua “La Vergine a mezzogiorno”:
Guardarvi, piangere di felicità, dire questo,
che io sono vostro figlio e che voi siete là.
Solo per un momento mentre tutto si ferma.
Mezzogiorno! Essere con voi, Maria, in questo luogo dove voi siete.
Non dire nulla, guardare il vostro viso,
lasciar cantare il cuore nella sua propria lingua.